Lili (7di13)

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commento
 

"Voglio volere
Io voglio un mondo all’altezza dei sogni che ho
Voglio volere
Voglio deciderlo io se mi basta o se no"
 
Voglio volere, Ligabue
Il breve periodo di separazione sembra aver rinvigorito i reciproci appetiti sessuali, complice forse quel crepaccio emotivo aperto tra loro che non sembra per nulla facile da superare. Parcheggiati nello spiazzo di terra battuta del locale, tra un tir proveniente dalla Germania e un trattore con rimorchio, mentre Schopen è impegnato con la vaschetta d’alluminio piena d’avanzi che gli hanno portato, Graziano e Lili abbassano le tende e si trasferiscono nel letto a due piazze in fondo al van, uscendo soltanto un paio d’ore dopo per far cagare il cane. Sono in anticipo rispetto all’ora prefissata con i ragazzi dell’Uccellino, e quindi si possono permettere di passeggiare in tutta tranquillità.
Forse è l’aria che tira in quelle mattinate pre-invernali nei paesini di campagna, anche se il cielo è limpido e la luce attenuata del sole mette comunque a fuoco ogni particolare, ma è difficile non scivolare lentamente in uno stato di malinconia che rende silenziosi e distratti. Graziano ci è cresciuto in luoghi come questo, conosce bene i vecchi che li abitano e danno più importanza al piccolo, decrepito cimitero che non ai luoghi di ritrovo, considerando forse quello il vero luogo di ritrovo, anche se definitivo (21).
Basta guardarsi attorno, del resto, e osservarli seduti nei bar che giocano a carte, leggono il giornale o guardano semplicemente la strada da dietro i vetri delle finestre, infagottati dentro giubbotti che hanno visto giorni migliori, con berretti che tolgono il respiro ai pochi capelli rimasti. Uno più brutto dell’altro, le bocche rattrappite, i ventri protesi come vesciche piene di vino, oppure flaccidi come gli stracci di pelle appesa agli scheletri cruciformi degli spaventapasseri, dei quali sembrano imitare il contegno sinistro e pezzente.
Loro lo sanno.
Sanno di dover morire, e anche presto. Per la maggior parte hanno goduto della fortuna di avere figli comprensivi che hanno smussato con delicatezza l’impatto della globalizzazione, frapponendosi tra loro e l’indifferenza brutale dell’ipercapitalismo. Figli che li hanno preservati dalla svolta liberticida della digitalizzazione nascente – dalle password, dai pin, dall’indifferenza meccanica dei server - mentre i nipoti alzavano di sfuggita gli occhi dallo smartphone e li guardavano come si guarda la carcassa di una balena spiaggiata, arricciando il naso per la puzza.
È difficile osservarli ora e non pensare a sé stessi a quell’età. È difficile non fare, di conseguenza, delle valutazioni di percorso. Lui e Liliana hanno lo stesso senso dell’umorismo un po’ cinico e irriverente, in genere roba da maschi, di quella che si condivide sul luogo di lavoro o al bar la sera, non fosse che in cantiere Graziano non parla granché e al bar non ci va, la sera, mentre con Lili si sono sempre capiti al volo quando scherzano o si prendono per il culo, o prendono per il culo qualcun altro; e poi il cinismo maturato negli anni, fatte le debite proporzioni, nello squallido commercio che sembra aver permeato ogni cella dell’alveare sociale e ogni individuo all’interno di essa, dalle anime nere della politica clientelare e dell’imprenditoria spregiudicata alla massa incolore di tutti quelli che se potessi lo farei anch’io (22); nel rumore di fondo di un’onnipresente propaganda di qualsiasi genere e nella tetra rassegnazione comune del massì andate pure sulla luna, su Marte e dove cazzo vi pare, anche se qui c’è ancora gente che muore di sete e di fame e che sarà mai; costruite pure altre centrali nucleari e poi sovvenzionate qualche staterello di merda a rischio default perché si prenda le scorie; e poi date il via a ‘sta terza guerra mondiale di merda, che tutte ‘ste bombe c’avranno pure la data di scadenza e come diceva mio padre non si butta via niente, e chissenefrega se la coreografia di Blade Runner a confronto con lo scenario post guerra Usa-Cina, sembrerà quella di Laguna blu.
Su molte cose Graziano e Lili sono compatibili, su altre addirittura complementari, ma ci sono domande sull’ipotetico formulario della loro coscienza alle quali non sempre barrerebbero la stessa casella. Una virtuale crocetta da nulla in un virtuale quadratino minuscolo, che però frappone tra loro insormontabili blocchi di pensiero.
Domanda: Qual è il tuo scopo nella vita?
Lili: Avere uno scopo, e dannarmi l’anima per raggiungerlo.
Graziano: Nessuno, tanto si muore lo stesso.
Liliana direbbe che sono solo parole, e che le parole non fanno mai la differenza, ma non è vero. Le parole fanno sempre la differenza, alla grande. Le parole sono lì per definire i pensieri, per dar loro un corpo affinché possano essere condivisi. Le parole non ne fanno soltanto le veci, ma li modificano, ne sciolgono i nodi, li rendono coerenti. Le parole dirimono le azioni, uniscono e dividono le persone. Le parole rendono reale lo spirito, così com’è reale il corpo. La risposta di Lili a quell’ipotetica domanda enfatizza il tempo perché è ovvio che lo scopo di cui parla va raggiunto prima di morire, e quindi non c’è un secondo da perdere. Una considerazione che di per sé le mette addosso un’ansia notevole con implicazioni più o meno evidenti (23). Quella di Graziano, invece, il tempo lo annulla e disinnesca quell’ansia, la paura del fallimento e qualsiasi tipo di frustrazione ad esso collegata. Lui pensa di vivere meglio ma, in fin dei conti, è soltanto una sua scelta; non c’è modo di verificarla, e tutto sommato nessun bisogno perché scegliere di per sé significa vivere e tanto vale. Non ha bisogno di dimostrarne la bontà, né di enfatizzarne il valore o il dis-valore.
Lili vuole vivere, laddove vivere per lei significa accendere e consumare ogni emozione, come un cero. Il suo avere uno scopo e la stessa enfasi implicita nella generalizzazione usata – come dire che non è lo scopo in sé che fa la differenza, ma l’averne uno (le parole contano eccome, anche e soprattutto il modo in cui le si organizza) - sottintendono come l’obiettivo reale sia quello di allontanare da sé l’idea della morte, alla quale non vuole pensare perché vede la vita e la morte come due entità opposte, l’una la nemesi dell’altra. E malgrado abbia un cuore d’oro sotto la sua scorza dura, quell’esasperato voler volere la induce a volte a pensare troppo a sé stessa, diventando aggressiva per imporre la propria presenza.
Graziano di sicuro non vuole volere, e in ultima analisi non può dire nemmeno di voler vivere, ma ciò nonostante vive, coltivando una certa diffidenza per le sue stesse emozioni, anche in virtù dell’esperienza. La sua mancanza di desiderio gli fa dimenticare se stesso, a volte, e tutto ciò che vorrebbe trovare in un’altra persona non è qualcosa di speciale, ma soltanto tranquillità, un buon autocontrollo e una disinteressata gentilezza. Praticamente un miracolo, di quei tempi, il che suona contraddittorio perché in effetti cosa c’è di più speciale di un miracolo?
 
(continua)   




(21) Logico. Parliamo di persone cresciute nell’ambito di una solida tradizione familiare, con tutte le luci e le ombre del caso, ed è normale che a un certo punto - quando nonni e genitori muoiono e figli e nipoti appartengono già a un mondo diverso dal loro -, queste persone si sentano più a loro agio in un cimitero, vicino ai propri cari, piuttosto che altrove.

(22) Più degli arresti, delle intercettazioni e dello svilimento della politica che è diventata puro tatticismo propagandistico, credo che l’acquiescenza di massa ai dis-valori della corruzione e dell’arraffare tutto ciò che si può quando si può, sia la vera causa della rassegnazione e del legittimo cinismo che mi pare abbia segnato le nuove generazioni. In realtà, quella che è venuta meno, dopo la fiducia nella classe dirigente, è la fiducia nella natura stessa dell’essere umano.

(23) Parlo sostanzialmente di paura: paura di non essere all’altezza, paura che le cose ci girino nel modo sbagliato, paura di non piacere alle persone giuste, paura di soccombere. Morandi cantava Uno su mille ce la fa e magari è anche vero, ma gli altri novecentonovantanove dovranno necessariamente fare i conti col fallimento, o magari anche soltanto con l’anonimato, che del fallimento è ormai considerato un sinonimo.
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