Lili (5 di?)

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commento

“Più conosci te stesso e sai quello che vuoi, meno ti lasci travolgere dagli eventi.”

Bill Murray alias Bob Harris in Lost In Translation
Graziano ferma il van davanti alla chiesa di Alfonsine, perché Liliana vuole avvisare sua madre che starà via un paio di giorni, con lui. A furia di insistere è riuscita a farle comprare un cellulare e insegnarle perlomeno le funzioni di base, ma quando Rosetta entra in chiesa - tutte le mattine alle dieci, il suo personale momento di preghiera - lo spegne. Graziano aspetta fuori, si accende una sigaretta dietro il volante, mentre Schopen punta lo sguardo sulla porta da cui Liliana è uscita dal suo campo visivo e nulla potrebbe schiodarlo dall’attesa fiduciosa e fremente che al momento ne assorbe tutta l’attenzione. Lo ignora, il vagabondo, da quando è rifiorito l’idillio con Lili.
Graziano avrebbe voluto entrare in chiesa, per salutare Rosetta. Per qualche strana ragione, la madre di Lili lo ha preso in simpatia malgrado lui sia – vuoi per l’età, vuoi per la mancanza di un titolo di studio e di una professione più facoltosa, vuoi per lo storico scetticismo che nutre nei confronti della religione - l’esatto opposto del moroso (14) che sperava per sua figlia. Glielo avrebbe fatto volentieri, un saluto, ma ha sempre avuto rispetto per i luoghi di fede altrui e ritiene inopportuna la disinvoltura con cui alcuni vi accedono senza poterne vantare la minima appartenenza. A sua volta prova simpatia per Rosetta, in parte per le eccellenti qualità culinarie, lo ammette, ma anche perché non è una di quelle persone che si ritengono in dovere di farti pesare la loro fede e non ha quella presunzione di poterti e doverti salvare, che è spesso un modo di imporre il proprio ego. In altre parole, l’esatto opposto di sua madre, le cui vessazioni psicologiche gli sono diventate, col senno di poi, più comprensibili: quale miglior vittima di un figlio, dopotutto, per un’esaltazione religiosa così difficile da contenere? Su banchi simili a quelli dove ora Liliana si sarà seduta a sussurrare all’orecchio della madre, la sua lo faceva inginocchiare accanto a sé e gli insegnava a pregare in silenzio, la domenica, mentre il marito se ne andava al bar, a giocare a carte (15). Per un po’ Graziano ci ha persino creduto, in Dio, come un bambino può credere a Babbo Natale, poi ha smesso, adolescente, più o meno nello stesso momento in cui ha cessato di credere nei genitori, quando si sono rivelati per quello che erano: due persone come tutte le altre, con le loro debolezze, la loro fallibilità, le loro umane bassezze. Quando sua madre lo esortava a raccogliersi in preghiera, lui sgranava in silenzio rosari di bestemmie ardite e inaudite. L’insistenza di sua madre è riuscita a renderlo impermeabile alla fede religiosa.
Fede e futuro sono complementari tra loro (16), pensa, ma tutto questo non lo riguarda, perché di futuro non vive più. Reagisce agli stimoli per quello che sono, non sulla base dei potenziali sviluppi. Non coltiva visioni nel suo futuro perché non ha futuro (17), e non ce l’ha perché non ha più sufficiente immaginazione. Questa è probabilmente la conseguenza più diretta della grande disillusione maturata negli anni, un poco alla volta. La botta di cui parlava Bukowski, il sentirsi finalmente spezzati. Graziano ha la presunzione di credere che ciò che Lili apprezza di lui, ciò che la induce a essere ancora lì invece di passare oltre, sia proprio la sua ruvida sincerità, il suo essere sempre presente in tempo reale, ma sono le stesse caratteristiche, paradossalmente, che la disturbano quando vorrebbe essere assecondata nei voli di fantasia. Entrambi hanno mostrato l’uno all’altro una considerevole parte di sé, ma se ora si sono allontanati, non è perché lui abbia rifiutato qualcosa di lei, semmai il contrario. O perlomeno questo è quello che pensa Graziano, ed è convinto che Lili abbia bisogno di un po’ di tempo, ora, per soppesare la fatica necessaria a ricominciare altrove, con qualcun altro, per non parlare dei rischi impliciti. Forse non sarà molto romantico, ma lui sa che se lei è lì è soltanto per tenerlo legato a sé fino a che non avrà deciso se illudersi ancora di avere un futuro o accettare il presente.
Quando esce dalla chiesa, con grande gioia del carlino che scodinzola di felicità, Lili non viene verso di loro ma si muove in direzione del bar più vicino, facendogli un cenno con la testa. Graziano scende dal van, lascia il cane ad abbaiare istericamente dietro il parabrezza e la raggiunge. Di qualsiasi tipo sia il viaggio che hanno intrapreso, cappuccino e brioches non possono certo essere di cattivo auspicio.

(continua)

(14) Moroso/a sono sinonimi, in Romagna e altre regioni dell’Italia settentrionale, di fidanzatoa. La parola sembra che nasca come aferesi di amoroso/a ma è curioso che lo stesso termine venga poi usato in italiano per indicare chi si trovi in stato di mora. Dico questo perché l’idea che il partner risulti in qualche modo sempre e comunque debitore nei confronti della sua metà è in genere piuttosto comune. Una coincidenza perlomeno sospetta, mi viene da dire.

(15) Che in un certo senso è un altro tipo di fede. Quello che hanno fatto i genitori di Graziano è quello che in fondo fa la maggior parte della gente: aggregarsi ai gruppi di persone con i quali ci si sente più a proprio agio, sposandone gli ideali in essere e poi cercando latentemente, nelle rispettive interazioni sociali, di diffonderli in modo più o meno esplicito. Certo, stando a quanto racconta Graziano, la madre era più fanatica, il padre più pressapochista, ma fondamentalmente potrebbero essere due facce della stessa mediocrità.

(16) Per quello che può valere, io sono dell’idea che l’impossibilità di verifica sia il principio fondamentale che sottende la fede. Logico: che bisogno ci sarebbe, in fondo, di credere in qualcosa che già si realizza e consuma davanti agli occhi? Nulla di verificabile potrebbe mai gratificare l’appetito umano di eternità. Il disegno di Dio deve necessariamente essere imperscrutabile, l’ambita ricompensa spirituale lontana sull’orizzonte. Mentre boccheggia tra i flutti della vita, come tutti, il credente beneficia perlomeno della propria determinazione (che potrebbe manifestare anche in assenza di Dio, se non significasse rassegnarsi all’idea di essere soli, e quindi all’idea della morte). Non equivochiamo: capisco benissimo le ragioni del credere e ho il massimo rispetto di chi coltiva la propria fede nell’intimità del proprio spazio interiore, consapevole di aver fatto una scelta di vita, non certo unica tra le tante possibili. Allo stesso tempo, però, non mi sfugge l’arroganza intellettuale di chi si sente in dovere di diffondere il verbo. In altre parole, se per alcuni la fede è espressione di un’etica, per altri è soltanto presunzione e motivo di aggregazione, e sai che novità.
Tornando sulla questione dell’imperscrutabilità, io credo che sul versante del consumismo sussistano forti analogie con la religione. La facoltà di desiderare propria degli esseri umani demanda la propria soddisfazione a un futuro magari più vicino, ma ugualmente incompatibile col tempo presente, ugualmente inconoscibile. In quel futuro, in quello spazio vergine, consumismo e religione promettono la stessa cosa: starai bene. Quello spazio è necessario alla fantasia per spiccare il volo verso la felicità. Ad personam, naturalmente. La facoltà di desiderare umana è il business dell’era moderna e in questo senso mi pare sempre più sovreccitata e sfruttata a fini commerciali, foraggiata e derubata non proprio in egual misura, con tragiche conseguenze a livello sociale in termini di depressione, paranoia del fallimento, ansia, mancanza di autostima, azzeramento dell’istinto solidale. Il potenziale emotivo di qualsiasi desiderio si spegne nella sua stessa realizzazione, lo sappiamo, ragion per cui finita una corsa ne deve cominciare subito un’altra. L’illusione del consumismo, il suo anelito all’eternità - e qui sta l’analogia di fondo con l’ideale religioso - è semmai quella di pensare che la corsa possa ripetersi all’infinito.

(17) Lo so, suona come la sentenza di una mortalità imminente, ma soltanto perché in genere si dà per scontato che il futuro sia una dimensione reale, una sorta di presente appeso a distanza di anni in attesa di verificarsi, ma quello che intendo quando parlo di illusione di avere un futuro è che fino a che non si realizza, il futuro è soltanto un’astrazione, un’idea nella nostra mente, mentre nel momento stesso in cui lo fa non è più futuro, è presente. Nessuno di noi ha un futuro, in questo senso, soltanto l’evolversi di un presente costantemente problematico e corroborato da aspettative più o meno fantasiose.

Re: Lili (5 di?)

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Ciao, volevo solo dirti che non mi sono arenato nella lettura, ma solo nei commenti.
Visto che abbiamo iniziato questa sorta di dialogo, quasi avessimo davanti (e tra noi) una bottiglia di buon vino e due bicchieri, e traendo spunti da questa tua storia, vorrei continuare così. Ma finché si parla di cose come il suicidio, posso permettermi di dire la verità, nient'altro che la verità e cioè che non ho un'idea da esprimere sull'argomento.
Se, invece, andiamo a parlare di Fede non posso (e non voglio) "liquidare" il tema nello stesso modo...
Quindi, porta pazienza e continua nella pubblicazione, io ti leggo e (con calma) arrivo a commentare. Continua, perché voglio sapere come va a finire (ho visto che il racconto è reperibile anche sul tuo sito, ma non so se qui pubblichi la stessa versione, o se lo hai ulteriormente rivisto, quindi io vado avanti qui in Officina).
A presto.

Re: Lili (5 di?)

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queffe ha scritto: quasi avessimo davanti (e tra noi) una bottiglia di buon vino e due bicchieri
:festeggiamo: Ciao. Non trovo un emoticon che beva vino, quelli del CDM solo birra a quanto pare. Ma opto per il vino pure io.
queffe ha scritto: Ciao, volevo solo dirti che non mi sono arenato nella lettura, ma solo nei commenti.
Mi sono arenato pure io per altri motivi, ma ho tutta l'intenzione di postare anche il resto, non appena ritrovo il mio abituale equilibrio.
queffe ha scritto: Se, invece, andiamo a parlare di Fede non posso (e non voglio) "liquidare" il tema nello stesso modo...
Mi rendo conto che il racconto va a toccare temi delicati - a questo punto credo sia chiaro che filosofeggiare è la sua ragion d'essere, al di là della storia sentimentale che rimane sullo sfondo - e la mia più grande paura, con il mio agnosticismo ma anche con altre mie posizioni su altri argomenti,  è quella di mancare di rispetto alle persone serie che credono o che la pensano diversamente da me. Cioè, non che io a mia volta non mi reputi una persona seria, ma quello che voglio dire è che ora che scrivo così poco, quando lo faccio devo per forza affrontare temi di un certo spessore, per motivarmi, e lo faccio in modo diretto, probabilmente peccando di indelicatezza. Ci sono alcune righe, in questo racconto, che mi sono uscite come se le avesse scritte un'altra persona, o meglio come se rileggendole mi avessero sorpreso allo stesso modo in cui a volte mi sorprendono le parole di un altro scrittore, ma che sono state illuminanti in merito a certi miei atteggiamenti  nei confronti degli altri ma anche della vita stessa. Se prendi un pezzo come quello che tratta del fatto che la vita faccia schifo o meno, io così lo vedo, come un pezzo, una prova di scrittura, una disquisizione letteraria fine a se stessa, una tesi che cerco di argomentare il meglio possibile. Non certo come una bandiera intellettuale da sventolare ai quattro venti, o di un'idea da difendere a spada tratta. E questo è il punto. Accantonate definitivamente le aspirazioni di pubblicare, mi ritrovo a scrivere occasionalmente per chiarire le mie contraddizioni, e poi a condividere per il piacere che danno le conversazioni intelligenti, ma se questo deve comportare il disagio del mio interlocutore allora mi fermo subito. E tu me lo devi dire, nel caso. Mi raccomando.
queffe ha scritto: (ho visto che il racconto è reperibile anche sul tuo sito, ma non so se qui pubblichi la stessa versione, o se lo hai ulteriormente rivisto,
Sì, questa versione è rivista. I passaggi importanti sono fondamentalmente rimasti quelli, ma meglio leggere questa revisione qui. Il sito, poi, fa parte della scia di account morti di inedia che mi lascio dietro da sempre, compresi quelli di Facebook e Instagram.  :D
Ciao @queffe . Grazie e alla prossima. Cin! 
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