Bambolina Pt.10 - Fine

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[CC23] Una bella serata - Joker - Costruttori di Mondi




Bambolina Pt.10



Le parole gli uscirono come enunciate da qualcuno di esterno a lui, le udì provenire da una voce che stentava a riconoscere.
- Ah! Bambolina era qui? Ma bene. Che bello! È un po' che non la sento, come l'hai trovata?
Dentro migliaia di spilli acuminati gli scorticavano selvaggiamente le vene.
Si trova bene col nuovo lavoro? - continuò con un automatismo
Benissimo, 'sta in forma smagliante e va alla grande.
Dovette usare le due mani per reggere la tazzina col caffè, poiché il tremito delle estremità rischiava di fargli strabordare la bevanda.
Pensa che quello con cui 'sta insieme, per altro, gran bell'uomo, è il titolare dell'azienda. Si sono innamorati e messi insieme già dalla prima settimana in cui lavorava lì.
Magnifico! - disse lui che sentiva una vertigine – Se la senti salutamela.
Non riuscì a finire il caffè, non riusciva a deglutirne neppure una goccia: gettò tazzina e contenuto nel cestino dei rifiuti accanto al distributore.


Che c'è non stai bene? - Chiese Angelica vedendolo turbato – Sembri pallido.
No, tranquilla, mi è rimasto indigesto il tramezzino del pranzo. Infatti non ho voglia neppure del caffè.
Sì giustificò cercando di mascherare quello tsunami che aveva nello stomaco, le salutò entrambi congedandosi per tornare alla sua postazione.
Ma la vertigine si fece più forte: dovette deviare per i bagni, fece appena in tempo a raggiungere una tazza e rimettere il tramezzino del pranzo.
Il pomeriggio lo trascorse fuori dall'ufficio, perché in azienda si sentiva soffocare: inventò un giro ispettivo nei loro negozi del centro, per verificare se seguivano correttamente le indicazioni d'immagine vetrina che aveva pianificato per la stagione in corso.
In realtà non visitò alcun punto vendita: se ne andò al Valentino, in riva al Po.
Guardare scorrere il fiume e fumare era l'unica cosa che pareva dargli un lieve sollievo.

Nel mezzo dei suoi dubbi e infiniti pensieri su come affrontare le scelte dolorose che avrebbe richiesto quella loro storia, lei, più razionale e decisa aveva scelto per tutti e due. Pensò che fosse meglio così.
In fondo le donne sanno sempre quale sia la cosa migliore da fare.
Aveva fatto la scelta più giusta, per la sua vita e il futuro di loro due.
Posto che ci fosse mai stato, per entrambi, un pensiero di futuro comune,
cosa che i fatti tendevano a escludere.
Quindi quando si erano incontrati a Pitti, lei stava già col suo recente amore.
Mentre lui l'aspettava in piazza di Santa Maria Novella, lei forse già stava nella camera di lui a fare l'amore.
Ma non gli aveva detto nulla, l'aveva solo baciato sulla guancia come un fratello; aveva visto bene che nel suo atteggiamento vi era qualcosa di strano, certo non avrebbe mai supposto fino a che punto.
Gli spiaceva che fosse stata reticente, perché non gli era chiaro se lo fosse stata per un senso di colpa, o peggio: perché provava compassione per lui.
E questa seconda ipotesi gli faceva, dentro, maggior male della prima.


Gli veniva quasi da ridere, dalla commedia romantica alla farsa più smaccata.
Che imbecille era stato, forse a sedici anni non si sarebbe montato le testa fino a quel punto.
Tutta la storia finiva con l'essere unicamente un film di cui era stato regista e unico attore: la colpa era solo sua, e quindi ben gli stava.
Lui era stato solo un episodio nella vita di Bambolina, un'insignificante parentesi sentimentale, una piccola cosa, più in su, d'una semplice amicizia: un ballo e un bacio di una sera magica, complici il vino e la nostalgia.
Ma non sentiva del rancore verso lei, non riusciva a vederlo neppure come un tradimento, nella sostanza a guardala con gli occhi della realtà, tra loro c'era stato poco più che un flirt.
Ora lei poteva vivere la sua felicità e guardare al futuro, e lui poteva tornare sano e salvo a proseguire la sua vita passata.
Per lei era stata una semplice passeggiata.
Quattro passi sul suo cuore calzando scarpe da golf.
Il problema era che i chiodi, affondando, lasciavano segni che non rimarginavano rapidamente.
Gli faceva male, inutile fingere che non fosse così. Faceva davvero un male cane.

Quella sera tornò a casa, non finse allegria: fece anche l'amore con sua moglie. Nella foga con cui si amavano, cercava un calore che sciogliesse quella spina di gelo che aveva dentro, cercò nell'amore di lei un unguento, che lenisse l'ustione che portava nel petto.
Si aggrappò a lei disperato come un naufrago che cerchi scampo su una roccia affiorata tra i flutti.
Avrebbe voluto urlare: “Perdonami amore, mi sono innamorato di un'altra.
Non so come sia successo, sono malato, debole, non so più chi sono, mi sono perso.
Salvami da questo male. Salvami da questo dolore, dal fondo di questo abisso.”
Ma nulla avrebbe potuto dirle, nulla di questo avrebbe potuto comprendere.

Dopo si chiuse nel bagno: aveva bisogno di una doccia calda, di lavare dal suo corpo e dall'anima le scorie di quell'amore sbagliato.
Aprì l'acqua al massimo: quando il getto divenne bollente e il vapore saturò l'ambiente del box, confondendone i contorni; sedette a terra nel piatto doccia, con le braccia strinse le gambe al petto e si sciolse.
Le scosse del pianto lo scossero come una foglia nel temporale.

Lasciò scrosciare le lacrime come un grido muto, che scese a mischiarsi nel vortice d'acqua, con l'impeto di una diga che si arrenda alla piena.

Fine


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