Bambolina Pt.7

1
[CC23] L'ora del corvo - Il Medico della peste - Costruttori di Mondi




Bambolina Pt.7


La cena andò per le lunghe, nel menù c'erano pappardelle al ragù di cinghiale, ossibuchi alla fiorentina o la classica fiorentina alla brace, che corrispondeva a un quarto di manzo, per secondo.
Lui non prese nulla di questo, non intendeva appesantirsi con cibi troppo calorici per il dopocena; chiese una porzione di panzanella: la tipica, deliziosa, insalata regionale.
Fu meno parco nelle bevande, il Pinot Grigio San Angelo, presente in tavola nel secchiello del ghiaccio, fu riassortito per tre volte.
Vero che erano in diversi a berlo, ma lui sapeva di essersene versato nel bicchiere, almeno tre quarti di bottiglia.
Si erano fatte le ventidue e ancora si stava in attesa del dolce, lui si sentiva sufficientemente brillo: chiese in anticipò un caffè, si scusò di congedarsi anzitempo, ma salutò tutti e lasciò il locale.
Non c'era molta strada per il luogo del loro appuntamento, ma accelerò il passo perché non voleva rischiare di trovarla già in attesa.

Ci teneva a giungere per primo sul posto, l'avrebbe vista arrivare con quel suo incedere spigliato, con lo sguardo trasognato e la mente assorta nei suoi pensieri: avrebbe alzato lo sguardo solo all'ultimo, a pochi passi da lui.
Allora i loro sguardi si sarebbero incrociati, e senza una parola avrebbero spalancato le braccia: stese come ali d'Angelo di Lione in Santa Croce, e sarebbero volati dentro quell'abbraccio che attendevano da troppi giorni.
Nel pensarla, gli parve di avvertire la tenerezza del suo corpo, il tepore della sua pelle e quel profumo, lieve e soave, che sempre la circondava.
Le strade erano zeppe di girovaghi, in gruppi, in coppie o singoli; i dehors dei locali erano strapieni, tutti avevano l'aria rilassata di una vacanza.
Le risate e il vociare festoso riempivano l'intera città: dai quartieri periferici a piazza della Signoria e lungarno.
Lui era parte di quella kermesse, partecipe di quella esultanza corale e gioioso nell'intimo.
Nel suo giro del centro, nel tardo pomeriggio, si era fermato all'Officina profumo-farmaceutica di Santa Maria Novella: dove aveva acquistato un botticino d'essenza alla vaniglia, il profumo prediletto di Bambolina, poi, da un fiorista, aveva fatto confezionare un bouquet di delicate roselline, alle quali insieme a un bigliettino di benvenuto, aveva unito il profumo acquistato.
Il fioraio si sarebbe occupato di far recapitare tutto alla stanza d'albergo di lei: già immaginava la sua espressione sorpresa e raggiante nel trovare quell'omaggio entrando alla sua camera.


Era profondamente soddisfatto: quell'attesa infinita di giorni era finalmente terminata, era stata come una ripida salita verso una vetta altissima, ora era giunto sul tetto della montagna, e sotto i suoi passi si apriva una larga strada in discesa.
Adesso, lui la stava percorrendo con facilità: non erano più giorni, né ore, ma una manciata di minuti per la realizzazione dell'impresa.
Si fermò al centro di piazza Santa Maria Novella con l'occhio rivolto verso la strada che conduceva all'albergo di lei.
Se fosse passata in camera a darsi una rinfrescata prima di raggiungerlo, l'avrebbe vista provenire da quella direzione: era assai soddisfatto d'essere riuscito ad arrivare prima di lei.

La campana di Santa Maria Novella rintoccò le ventitré, Bambolina era in ritardo e a lui iniziava a svanire la leggera euforia del vino bevuto: per riflesso butto un occhio allo Jager Le coultre reverso che portava al polso, la cosa non parve grave più che tanto.
Il caldo afoso, anche dopo il tramonto, non mollava la presa, si passò tra viso e collo una delle salviette rinfrescanti che aveva dietro; poi, trasse di tasca il portasigari in pelle che conteneva sei mezzi Antico Toscano, e ne accese uno.
Di certo, lei si era dilungata più del previsto con la cena del gruppo, il tempo a tavola correva rapido, inoltre, essendo da poco in azienda, avrà ritenuto indelicato lasciare il convivio prima del termine.
Quando si progettano a tavolino le cose future, è difficile rispettare alla lettera i tempi previsti: bastano piccole sciocchezze per vanificare tempi e modi ipotizzati.


Fumando e passeggiando su e giù per la piazza, cercò d'ingannare l'attesa riesumando i suoi ricordi liceali di Storia dell'Arte.
Impossibile non rammentare che stava davanti alla basilica di Santa Maria Novella: uno dei monumenti fiorentini più rilevanti e conosciuti al mondo.
Se la memoria non lo ingannava, ricordava ancora che fu il ricco mercante Giovanni di Paolo Rucellai, intorno alla metà del quindicesimo secolo a farsi carico del completamento della facciata, affidandone il progetto al suo architetto di fiducia: Leon Battista Alberti.
Inoltre, gli sovvenivano alcuni dei principali rapporti modulari: la linea di base della chiesa era uguale all'altezza della facciata, con la quale formava un quadrato; la parte inferiore era esattamente la metà della superficie del quadrato; dividendo la superficie in quattro si ottenevano dei sedicesimi di superficie nei quali si inscrivevano le volute laterali.
Il “Sol Invictus” sul timpano era lo stemma del quartiere di Santa Maria Novella, ma anche un simbolo di forza e ragione: il trionfo della luce sulle tenebre.
Il diametro del tondo del Sole misurava esattamente la metà del diametro del rosone ed era uguale a quello dei cerchi nelle volute.
In Storia dell'Arte era sempre stato tra i migliori della sua classe, mentre in matematica fioccavano le insufficienze: bei tempi quelli, quanta leggerezza nella vita di allora.


Erano trascorsi due sigari e tre quarti d'ora, di lei ancora non si vedeva traccia.
Iniziava a sentirsi stanco e anche un po' infastidito dal ritardo, non aveva più voglia di deambulare lungo le diagonali della piazza, ormai ne aveva assimilato le misure in larghezza e profondità, avrebbe potuto calcalarne a mente la dimensione dell'area interna.
Per riposare la gambe sedette sul gradino alla base dell'obelisco in fronte alla basilica, c'era ancora molta gente in giro, la movida fiorentina sarebbe andata avanti oltre il cuore della notte.
Il tocco della mezzanotte lo riempì di sconforto, un'ora e mezza di ritardo era davvero troppa: gli venne da preoccuparsi che fosse accaduta qualcosa.
Magari nulla di grave, ma un intoppo imprevisto che l'avesse bloccata da qualche parte.
Ricordava che in passato, non sempre, nel venire al Pitti, si erano fermati a cena in città; diverse volte per variare avevano cenato in trattorie o piccoli ristoranti, in realtà assai belli e accoglienti, che si trovavano a pochi chilometri fuori porta in località quali: Scandicci, l'Impruneta, Fiesole o altre della zona.
Erano tutti locali suggestivi e nei quali la cucina era eccellente.
Poteva essere che si fossero recati in uno di quelli, che magari fosse stata lei stessa a suggerire di andarci, e che l'auto su cui era ospitata al ritorno avesse forato o subito qualche problema di motore, per cui quel ritardo era più che giustificato.
Potevano essersi trovati in un tratto di strada isolata fra le colline, senza traffico e la possibilità immediata di chiamare un autosoccorso o un taxi.


Oppure si era creato un qualche altro genere di disguido che al momento non gli veniva in mente, in certi casi valeva il detto: “la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo”, quindi c'era poco da stupirsi.


(continua)

Rispondi

Torna a “Racconti a capitoli”