Lili (2di?)

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"Il suono del traffico mattutino sul ponte pulsava nella caverna come l’eco smorzata di un sogno, e se il cenciaiolo avesse avuto un animo più saggio avrebbe letto in quel perpetuo ritorno, il presagio di eventi futuri, lo spettro di una proliferazione meccanica e di un flagello universale."

da "Suttree" di Cormac McCharty.     
Le sette e qualche minuto di sabato mattina, e Graziano sta ancora sotto le coperte (4). È sveglio da almeno mezz’ora, ascolta i gorgheggi degli uccelli che compiono stravaganti evoluzioni nell’alba, si sfruculiano le ascelle piumate tra le fronde degli alberi mentre lui si palpeggia i testicoli e lascia pascolare i pensieri tra sogno e realtà. Attraverso il lucernaio, dal piano rialzato, vede le cime degli alberi piegarsi al soffio del vento che ha spazzato via la nebbia degli ultimi giorni. La nebbia ritornerà, lo sa, in quanto fenomeno piuttosto comune da quelle parti nel periodo invernale, ma per ora ha allentato la stretta, concedendo qualche giorno di vento e di sole che, oltre ad ampliare il campo visivo, porta lucidità e chiarezza anche nei pensieri. Alle otto passate sospira e prende il cellulare, telefona a Grimaldi per ragguagliarlo a proposito degli ultimi sviluppi del cantiere in via Trento, ormai terminato, e quando lui comincia a parlargli del nuovo lavoro in via Pietrangeli lo blocca subito per ricordargli la propria intenzione di prendersi un periodo di riposo.
«Riposo?» ripete l’imprenditore, come se la notizia gli giungesse nuova. Anzi, di più, come se il senso della parola gli fosse ignoto.
«Eh.»
Nel corso dei successivi venti minuti, Grimaldi prima lo lusinga menzionando le sue ineguagliabili capacità professionali, poi tenta di farlo sentire in colpa per il danno irreparabile all’azienda che la sua assenza comporta, infine si rassegna e fa l’offeso, buttandola sul personale.
«Senti Graziano, se hai preso un lavoro per conto tuo non ne faccio una questione, ma ti sarei grato se non mi raccontassi balle.»
«Non ti sto raccontando balle.»
«Ok, allora te l’ha chiesto lei. Vuole fare un viaggio o devi ristrutturare il resto della casa?»
«Lei non c’entra, ci siamo lasciati.»
«Ah, è per questo allora. Potevi dirlo subito.»
«Per questo cosa?»
«Ti ha mollato e sei a pezzi.»
«Ma di cosa stai parlando?»
«Mica ti devi vergognare. Sei uno sensibile, l’ho sempre saputo.»
«Ma vaffanculo.»
«Ecco, appunto.»
«E comunque saranno poi cazzi miei. La vita non è mica soltanto lavoro.»
«No, infatti, la vita è una merda (5) e si lavora per non pensarci. Tu invece vuoi riposare
«Ti chiamo la prossima settimana.»
«Fai con comodo. Riposati
 
La vita degli altri non interessa a nessuno, pensa Graziano, a meno che non serva a qualcuno.
I suoi genitori si illudevano entrambi, in modi diversi – l’uno sacro e l’altro profano -, di poter seminare in lui un senso alle loro traballanti esistenze. A nessuno dei due interessava quello che era, soltanto quello che avrebbero voluto che fosse.
Oppure Antonio Grimaldi, il titolare dell’impresa edile per cui lavora in veste di artigiano; ha un brutto carattere ma con lui fa l’amicone perché tra i circa venti dipendenti che annovera a libro paga e gli altri artigiani, quelli in grado di mandargli avanti un cantiere si contano sulle dita di una mano. Per questo a volte finge di interessarsi alla sua vita privata, anche se in realtà non gliene frega un cazzo.
Oppure sua sorella, che gli telefona soltanto quando le servono soldi e non si prende nemmeno il disturbo di informarsi sul suo stato di salute, cosa di cui Graziano le è ogni volta infinitamente grato.
Oppure Liliana, che lo ha chiamato tre volte sul cellulare, forse perché non ha ancora accettato l’idea che tra loro sia finita e si sente sola. Graziano non ha risposto perché confida che in breve tempo i pensieri a lui dedicati le vengano a noia e spicchino il volo verso nuovi orizzonti.
Sposta le coperte ed esce dal futon (6), chino in avanti fino ai primi gradini della scala in arredo, per non picchiare la testa contro i nodosi travi di legno del tetto. Scende in mutande e maglietta nell’ampia stanza che, insieme al bagno, costituisce la modesta porzione ristrutturata della casa colonica circondata dai campi, comprata in parte con la quota dell’eredità lasciatagli dai genitori e in parte coi suoi sudati risparmi. Quarantasei metri quadrati abitabili, cioè meno del trenta per cento dell’intera superfice disponibile. Due stanze di luce e calore all’interno di un imponente edificio diroccato che sa di tempo perduto e solitudini, passate di lì in un’altra epoca ed emigrate in chissà quale landa oltre la vita (7). Le due stanze formano una piccola bolla di hi-fi, parquet riscaldato, termoarredo e lampadine a led che d’inverno si perde nel grande spazio ostile della natura, dove nemmeno la via Rossetta riesce a tracciare nel respiro brumoso della nebbia una demarcazione. Due stanze comode e accoglienti. La Tana.
Accende la stufa a legna e si veste con gli indumenti buttati la sera prima sulla spalliera della sedia. Schopen, che finora ha seguito i suoi spostamenti muovendo soltanto gli occhi, sdraiato al centro della sua personale alcova, si alza e attraversa la stanza, fino alla sedia su cui ha da tempo esteso il proprio diritto di proprietà, anche pisciandoci contro fino a che Graziano non gli ha fatto rudemente capire che non era il caso. Lì rimane in attesa di essere sollevato, perché da solo non riesce ad arrampicarcisi. Una volta sistemato al suo posto, il muso rincagnato del carlino stride sopra la tovaglia come una pietanza bruciata, mentre il suo respiro asmatico sembra la naturale reazione all’ennesima canzone di coppia alla radio. Quando Graziano si siede per consumare la colazione e gli passa un boccone di pancake, il cane ingoia senza masticare, si lecca il muso e rimane in attesa dell’obolo successivo.
A metà mattinata escono insieme incontro al pallido sole che veste la campagna. Nessuno dei due sembra avere qualcosa di particolare da fare, a parte accendersi una sigaretta (l’uomo), annusare il terreno (il cane) e pisciare contro il tronco della grande magnolia che sovrasta il pozzo (entrambi). Entrano nella parte dell’edificio abbandonata a sé stessa, a eccezione di qualche sporadico intervento di necessaria e spartana manutenzione volta a impedirne il collasso strutturale. Il freddo è pungente, le ragnatele penzolano tra le travi come festoni che celebrano nell’abbandono gli anni che passano. Negli angoli delle stanze sono ancora ammassate vecchie suppellettili della precedente occupazione umana, risalente alla metà del secolo precedente. È qui che Liliana provava il suo strumento. Lo ha spronato un’infinità di volte affinché si decidesse a dare una ripulita a quella parte della casa, e pianificare il modo migliore di utilizzarla. Non era difficile intuire come il potenziale cambiamento rappresentasse per lei una tentazione irresistibile. Per chi vive proiettato nel futuro e lega ogni propria azione al conseguimento di un risultato, non è concepibile trovare soddisfazione in quelle esili architetture del pensiero che non hanno apparentemente potere d’acquisto sul mercato della realtà. Quella che prova Graziano è l’intima soddisfazione di essersi ricavato uno spazio nella brutale economia di una natura che cerca incessantemente di riprenderselo. La Tana ha un valore, per lui, che trascende quello immobiliare e anche la mera necessità di avere un tetto sulla testa. Un santuario del quale sentirsi legittimati a pretendere l’inviolabilità.
Schopen gironzola tra il vecchio pavimento a tavelle di quella che è stata a suo tempo la cucina, e quello di cemento della stalla, e lo fa con una certa disinvoltura perché è qui che passa le sue giornate quando l’uomo va a lavorare, potendo scegliere tra dormire al riparo oppure attraversare la gattaiola installata nella porta della rimessa e gironzolare fra l’erba, all’esterno. Graziano rimane in piedi, nella penombra, con il cappuccio sollevato e le mani in tasca. Spia dalle finestrelle della vecchia stalla, ancora sezionate dalle originali grate di ferro arrugginito, gli ultimi residui di nebbia che vengono riassorbiti dal terreno. Valuta le solite, vecchie contraddizioni del suo vivere. L’ineluttabilità del perdersi e del ritrovarsi.
(continua)


(4) Pensatela come vi pare, ma io sono dell’idea che i momenti più felici della vita si passino a letto, anche da soli.

(5) Posso testimoniare che, nell’ambito dei cosiddetti lavori usuranti, è un concetto piuttosto diffuso.

(6) Non è poi così strano che uno come Graziano abbia subito il fascino dell’estetica orientale. Oggi non so, ma nel breve periodo di tempo in cui frequentavo il bar vicino a casa, in gioventù, era normale vedere i vecchi giocare sia a mahjong che a briscola e beccaccino. Io credo che la fascinazione dell’oriente sull’occidente sia analoga a quella che la cultura europea ha esercitato sull’America per un certo periodo del secolo scorso, al quale il trumpismo avrebbe poi messo fine autocompiacendosi dell’ignoranza e dell’individualismo belluino tipici di un certo populismo americano e funzionali alle guerre commerciali poi poste in atto. È mio parere, per quel che può valere, che entrambe le suggestioni, del modello orientale e di quello europeo, derivino da un complesso di inferiorità - spirituale nel primo caso, culturale nel secondo - di cui il capitalismo ha cominciato a soffrire successivamente alla sua indiscussa vittoria storica. Complesso ampiamente fondato, direi, in entrambi i casi.

(7) È facile vedere disseminati qua e là nella campagna della provincia ravennate ruderi di questo tipo ed è impossibile, quando ci si imbatte, non pensare alle famiglie che vi hanno vissuto in un’altra epoca con mezzi e modalità completamente diverse dalle nostre: prive di un sistema mediatico, della rete di informazioni di cui noi disponiamo, e delle possibilità di scelta in campo alimentare e professionale di cui godiamo (o godevamo). Ma soprattutto prive della spesso frustrante necessità di dare un senso alla propria vita, in quanto sopravvivere, a quei tempi, era già un’impresa a tempo pieno.

Re: Lili (2di?)

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Ciao,
riprendo qui il mio commento iniziato nel primo capitolo, considerata anche la tua risposta. Ammesso che a qualcuno, oltre a te, interessi il mio commento, questi avrà la bontà e la pazienza di andare a leggere cosa ci siamo detti di là.
Certo che conosco DFW. Non bene come vorrei, ma lo conosco e mi chiedo come ho fatto a non riconoscere questo modo di utilizzare narrativamente i commenti. Nota: (non la numero e non la metto a fondo pagina perché non vorrei che ciò ti sembrasse ironico, ma forse anche i miei prolissi commenti avrebbero bisogno di un “apparato” di note a fondo testo) In effetti lo so come ho fatto: Infinite Jest è una lettura impegnativa, diciamocelo, e io l’ho fatta parecchi anni fa, da lettore ancora sostanzialmente inconsapevole. L’ho letto e poi messo nel mio “scaffale dei libri assolutamente da leggere, letti”. E poi un po’ – devo ammetterlo – l’ho rimosso. Se c’è una cosa che non mi fa rinnegare la mia passione per la scrittura, che ho iniziato a coltivare tardivamente, scarsamente dotato di mezzi tecnici e ancor più scarsamente supportato dal talento, è che (almeno!) mi ha reso lettore molto più consapevole. Solo quando ho capito la fatica e la difficoltà dello scrivere (sottinteso: bene), sono diventato un “vero” lettore. Molti libri letti dovrò tirarli fuori da quello sciagurato scaffale, e considerarli una volta per tutte “Libri non ancora letti”.  Infinite Jest è fra quelli e questo scambio di pareri con te mi ricorda l’incombenza.

Va bene: smetto di tergiversare. Coerentemente con l’approccio che ho avuto al primo capitolo, parto dal mio commento ai commenti. Spero che ti farà piacere conoscere come un lettore li legge.

(4) La penso, sì, come mi pare, e mi chiedo se non si debba dire “soprattutto, da soli”
(5) Anche in molti lavori non usuranti. Ma credo, in tutta franchezza, che non sia la qualità del lavoro, bensì della vita più in generale, a determinare tale pensiero.
(6) Eh, su questo commento forse si potrebbe trarre spunto per scrivere un’intera storia. Molto polemica, molto triste. Molto incazzata. Forse, la scrivessi io, per mia inclinazione molto autocommiserativa per la nostra società e la nostra cultura in declino. Lasciamo perdere.
(7) Nel periodo di chiusura del commento 7 forse c’è una risposta, al giorno d’oggi fondamentale: sopravvivere, proprio fisiologicamente, da troppo tempo non è più un’impresa, per noi. E, in misura inversa alla difficoltà del sopravvivere fisiologicamente, è divenuto, per molti, difficile sopravvivere integri emotivamente, moralmente e mentalmente. Non so se è qui che tu vuoi arrivare, ma (forse) una (dolorosa) decrescita si configura come il male minore che oggi possa affliggerci.
 
E veniamo alle mie impressioni sul testo di questo secondo capitolo.
Bello, ruvido in modo naturale e credibile il dialogo fra Graziano e Grimaldi.
Quasi pleonastico il pensiero che coglie Graziano al termine della telefonata (Certo, che la vita degli altri non interessa nessuno, salvo che non serva a qualcuno, ragazzo. Hai pure bisogno di formularlo come concetto? Che cosa credevi? :asd: Nota: qui il mio dialogo è con il personaggio, non con il suo autore).
La seconda parte del capitolo si apre a un intimismo che ho gradito. Nello stile (a tratti poetico) e nella sostanza.  
Mi pare si delinei lo spettro della decadenza. Il rapporto di coppia già finito (a questo punto della storia), l’abitazione, che, se da un lato conserva una porzione con i requisiti di tana/rifugio, per oltre i due terzi è quasi diroccata, e nei locali nei quali non lo è, vi aleggia il fantasma (delle passioni e della voglia di vivere) di Liliana.
Anche la fine del capitolo è molto bella ed efficace. L’ineluttabilità del perdersi e del ritrovarsi mi dà la sensazione di un respiro. E, tutto sommato, mi consente di chiudere temporaneamente la lettura con un tenue alito di speranza per Graziano, al quale mi sono già affezionato. Merito tuo.

Re: Lili (2di?)

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queffe ha scritto: lun mar 13, 2023 9:58 pmmi chiedo come ho fatto a non riconoscere questo modo di utilizzare narrativamente i commenti
Ciao @queffe. Come spesso mi succede quando do voce ai pensieri, poi mi capita di ri-rifletterci e di giungere a delle considerazioni successive che a volte integrano e a volte contraddicono in parte quelle precedenti. Fermo restando che lo spunto ad usare le note l'ho preso dai libri di Wallace, forse non è proprio esatto quanto detto in proposito la volta precedente, nel senso che pensandoci bene il modo in cui io le uso non è esattamente lo stesso in cui le usa lui (il presente é dovuto al fatto che mi riferisco ai suoi libri e i libri, si sa, non muoiono mai). L'idea di base di creare un flusso di scrittura parallelo a quello principale è la stessa ma Wallace non entra in genere  a commentare quanto scritto in prima persona integrandolo con le proprie opinioni, come faccio io in questo racconto. Se penso a Infinite Jest lui fornisce con le note ulteriori informazioni, ulteriori particolari, sempre attingendo alla sua inesauribile fantasia, dimodoché le note al testo diventano una sorta di cesellatura, di approfondimento creativo che rafforza lo spessore delle sue invenzioni, le rende spesso più plausibili della realtà stessa, anche perché le note al testo in genere appartengono più alla saggistica che alla narrativa e forse per questo vestono di credibilità anche le situazioni più surreali ed assurde. Il mio scopo è diverso e quanto detto la volta precedente lo definisce credo in modo esauriente.
queffe ha scritto: lun mar 13, 2023 9:58 pmMolti libri letti dovrò tirarli fuori da quello sciagurato scaffale, e considerarli una volta per tutte “Libri non ancora letti”.  Infinite Jest
Mi associo. Con gli anni temo di essere diventato un lettore sempre peggiore. Stranamente la mia disponibilità a concedere attenzione e concentrazione è associata alla mia giovinezza, quando di consapevolezze ne avevo ben poche. Oggi poi vivo una sorta di rigetto, spero momentaneo, per cui quando entro in una libreria non vedo più una moltitudine di mondi da esplorare, ma una babele di voci che invocano la mia attenzione. Forse è il momento buono per rileggere i libri che mi hanno davvero dato qualcosa. So per certo che c'è ancora molto da scoprire in un libro già letto una volta soltanto.
queffe ha scritto: lun mar 13, 2023 9:58 pm(4) La penso, sì, come mi pare, e mi chiedo se non si debba dire “soprattutto, da soli”
Ahahah. Forse l'ho pensato anch'io ma sia ben chiaro che l'hai detto tu :D . Vabbè, da lettore tu lo puoi dire, ma se io l'avessi scritto avrei dato l'impressione di voler fare di Graziano un misantropo, che non era assolutamente nelle mie intenzioni.
queffe ha scritto: lun mar 13, 2023 9:58 pmMa credo, in tutta franchezza, che non sia la qualità del lavoro, bensì della vita più in generale, a determinare tale pensiero.
Concordo, ma i muratori soffrono in genere di una sorta di vittimismo che li porta a lagnarsi in continuazione della fatica e dell'essere ultima ruota del carro. Cosa ovviamente non vera.
queffe ha scritto: lun mar 13, 2023 9:58 pmE, in misura inversa alla difficoltà del sopravvivere fisiologicamente, è divenuto, per molti, difficile sopravvivere integri emotivamente, moralmente e mentalmente. Non so se è qui che tu vuoi arrivare, ma (forse) una (dolorosa) decrescita si configura come il male minore che oggi possa affliggerci.
Sì, intendevo questo, ma è una difficoltà tutta privata, e qui sto parlando per esperienza personale perché mi sono dovuto rendere conto con gli anni che, a parte specifici periodi della mia vita oggettivamente difficili, spesso la decisione se star bene o star male erano entrambe dentro di me, disponibili, e oggi che riesco ad apprezzare come non mai gli aspetti più semplici e piacevoli della vita, mi chiedo perché io abbia scelto così tante volte l'opzione più faticosa.
queffe ha scritto: lun mar 13, 2023 9:58 pm(Certo, che la vita degli altri non interessa nessuno, salvo che non serva a qualcuno, ragazzo. Hai pure bisogno di formularlo come concetto? Che cosa credevi? :asd: Nota: qui il mio dialogo è con il personaggio, non con il suo autore).
Quella di Graziano è effettivamente una riflessione che pecca di ingenuità, però credo che sì, lui avesse bisogno di formularla. Perché in fondo è un ex-ingenuo e soltanto con gli anni ha maturato certe consapevolezze in merito alla natura umana che l'hanno indotto a chiudersi, a proteggersi, senza tuttavia diventare cinico. O perlomeno lo spero.
queffe ha scritto: lun mar 13, 2023 9:58 pmMi pare si delinei lo spettro della decadenza.
La decadenza è affascinante, per molti versi, e non sono sicuro noi le si riservi sempre la giusta considerazione. Se osservi bene le facciate degli edifici di cui parlo, non potrai fare a meno di notare una gamma di colori e di sfumature infinitamente più ricche di quanto non siano le abitazioni più moderne.
queffe ha scritto: lun mar 13, 2023 9:58 pmun tenue alito di speranza per Graziano, al quale mi sono già affezionato
Felicissimo di questo.
Grazie dell'attenzione e degli eccellenti commenti, Queffe. Ciao, e alla prossima.  :super:  

Re: Lili (2di?)

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Per non andare troppo fuori tema nel commento al prossimo capitolo, mi ero collegato qui alla tua risposta:
Bob66 ha scritto:Fermo restando che lo spunto ad usare le note l'ho preso dai libri di Wallace, forse non è proprio esatto quanto detto in proposito la volta precedente, nel senso che pensandoci bene il modo in cui io le uso non è esattamente lo stesso in cui le usa lui (il presente é dovuto al fatto che mi riferisco ai suoi libri e i libri, si sa, non muoiono mai). L'idea di base di creare un flusso di scrittura parallelo a quello principale è la stessa ma Wallace non entra in genere  a commentare quanto scritto in prima persona integrandolo con le proprie opinioni, come faccio io in questo racconto.
E avevo scritto un pippone che ho perso pasticciando con l'editor.
Forse è meglio così. :asd:

In breve: sì, riconosco l'originalità nel tuo uso delle note. Se DFW precisa (cinematograficamente direi che inquadra un dettaglio, entrando anche molto-molto nel dettaglio), tu cambi ripresa.
Inoltre io, dal tuo narratore, ho proprio una sensazione di intervento autonomo.
Lo immagino leggere il testo con voce adeguatamente impostata (come seguendo l'originale intenzione in ipotetiche didascalie) e, giunto ai punti nei quali sono le note, lo vedo alzare gli occhi, volgersi al lettore-ascoltatore e, con tono colloquiale (comunque diverso da quello della narrazione), dire la sua.
Sì, sei tu che narri e sei tu che intervieni. Ma io in quelle "intrusioni" ci leggo quasi una seconda voce.
Molto diverso, è vero, ma l'effetto che ciò ha su di me è davvero molto simile a quello delle note di Infinite Jest (sono andato a risifogliarmelo, per riportare qualcosa alla memoria, lo confesso). Ed è comunque quel cambio forzato di ripresa, che mi "costringe" a cambiare focalizzazione: in DFW per cogliere il dettaglio, qui per vedere le stesse cose da un altro punto di vista. Oppure immaginare lo stesso punto di vista per guardare qualcosa di diverso, di più ampio, di personale (o di generale) rispetto al contesto della storia. Per interesse e iniziativa del narratore (laddove DFW pare, invece, intervenire per interesse del lettore).

Re: Lili (2di?)

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queffe ha scritto: gio mar 23, 2023 4:38 pmE avevo scritto un pippone che ho perso pasticciando con l'editor.
Ciao @queffe. Capisco benissimo. Con l'editor di questo forum mi ritrovo perennemente in lotta.
queffe ha scritto: gio mar 23, 2023 4:38 pmSe DFW precisa (cinematograficamente direi che inquadra un dettaglio, entrando anche molto-molto nel dettaglio)
Sì, perfetto, e spesso in un modo tanto esaustivo che sembra voler mettere alla prova il lettore. impressione che in effetti pare confermata da alcune sue dichiarazioni sparse qua e là nelle interviste che ha rilasciato.
queffe ha scritto: gio mar 23, 2023 4:38 pmSì, sei tu che narri e sei tu che intervieni. Ma io in quelle "intrusioni" ci leggo quasi una seconda voce.
 Sono due livelli diversi, credo. Rimettendo mano al testo per adeguarlo alla sezione mi sono ritrovato a spostare alcuni passaggi da quello principale a quello delle note e mi sono reso conto meglio di come, non essendo io in grado di rinunciare in qualità di autore a quell'eccesso di riflessioni che normalmente un editor mi suggerirebbe caldamente di amputare, questo escamotage potrebbe essere una soluzione strategica per liberare il flusso principale, quello narrativo, dal peso delle mie opinioni, dai cazzeggi intellettuali che amo, e dalle riflessioni che sono il fine ultimo del mio scrivere (dico per me che scrivo, ed è un fine di cui mi rendo conto di non poter pretendere la condivisione con il lettore che giustamente legge per altri motivi). L'effetto che si viene a creare in alcuni passaggi (perché la frequenza delle note poi non è sempre la stessa) è quello della coesistenza di un testo e della sua contemporanea dissezione, non so se positivo o negativo per il lettore (ma credo che poi dipenda dal tipo di lettore, com'è normale che sia, e con questo non voglio certo fare delle distinzioni. Ognuno di noi è giusto che legga ciò che preferisce).
queffe ha scritto: gio mar 23, 2023 4:38 pmEd è comunque quel cambio forzato di ripresa, che mi "costringe" a cambiare focalizzazione: in DFW per cogliere il dettaglio, qui per vedere le stesse cose da un altro punto di vista.
   E' quello che intendevo con dissacrazione della scrittura. Rompere l'incantesimo della narrazione e farne un prodotto di consumo più pragmatico, se vogliamo. In genere i non-lettori pensano che ci sia una divisione netta tra le cose "reali" e quelle "di fantasia", tacciando implicitamente le seconde di una certa inutilità, o meglio di una certa incapacità di influire sul vivere quotidiano. Io credo non ci sia nulla di più reale della scrittura, soprattutto in considerazione di come è in grado di influire sul vivere quotidiano.

Ciao e grazie.  :super:
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