"Il suono del traffico mattutino sul ponte pulsava nella caverna come l’eco smorzata di un sogno, e se il cenciaiolo avesse avuto un animo più saggio avrebbe letto in quel perpetuo ritorno, il presagio di eventi futuri, lo spettro di una proliferazione meccanica e di un flagello universale."
da "Suttree" di Cormac McCharty.
«Riposo?» ripete l’imprenditore, come se la notizia gli giungesse nuova. Anzi, di più, come se il senso della parola gli fosse ignoto.
«Eh.»
Nel corso dei successivi venti minuti, Grimaldi prima lo lusinga menzionando le sue ineguagliabili capacità professionali, poi tenta di farlo sentire in colpa per il danno irreparabile all’azienda che la sua assenza comporta, infine si rassegna e fa l’offeso, buttandola sul personale.
«Senti Graziano, se hai preso un lavoro per conto tuo non ne faccio una questione, ma ti sarei grato se non mi raccontassi balle.»
«Non ti sto raccontando balle.»
«Ok, allora te l’ha chiesto lei. Vuole fare un viaggio o devi ristrutturare il resto della casa?»
«Lei non c’entra, ci siamo lasciati.»
«Ah, è per questo allora. Potevi dirlo subito.»
«Per questo cosa?»
«Ti ha mollato e sei a pezzi.»
«Ma di cosa stai parlando?»
«Mica ti devi vergognare. Sei uno sensibile, l’ho sempre saputo.»
«Ma vaffanculo.»
«Ecco, appunto.»
«E comunque saranno poi cazzi miei. La vita non è mica soltanto lavoro.»
«No, infatti, la vita è una merda (5) e si lavora per non pensarci. Tu invece vuoi riposare.»
«Ti chiamo la prossima settimana.»
«Fai con comodo. Riposati.»
La vita degli altri non interessa a nessuno, pensa Graziano, a meno che non serva a qualcuno.
I suoi genitori si illudevano entrambi, in modi diversi – l’uno sacro e l’altro profano -, di poter seminare in lui un senso alle loro traballanti esistenze. A nessuno dei due interessava quello che era, soltanto quello che avrebbero voluto che fosse.
Oppure Antonio Grimaldi, il titolare dell’impresa edile per cui lavora in veste di artigiano; ha un brutto carattere ma con lui fa l’amicone perché tra i circa venti dipendenti che annovera a libro paga e gli altri artigiani, quelli in grado di mandargli avanti un cantiere si contano sulle dita di una mano. Per questo a volte finge di interessarsi alla sua vita privata, anche se in realtà non gliene frega un cazzo.
Oppure sua sorella, che gli telefona soltanto quando le servono soldi e non si prende nemmeno il disturbo di informarsi sul suo stato di salute, cosa di cui Graziano le è ogni volta infinitamente grato.
Oppure Liliana, che lo ha chiamato tre volte sul cellulare, forse perché non ha ancora accettato l’idea che tra loro sia finita e si sente sola. Graziano non ha risposto perché confida che in breve tempo i pensieri a lui dedicati le vengano a noia e spicchino il volo verso nuovi orizzonti.
Sposta le coperte ed esce dal futon (6), chino in avanti fino ai primi gradini della scala in arredo, per non picchiare la testa contro i nodosi travi di legno del tetto. Scende in mutande e maglietta nell’ampia stanza che, insieme al bagno, costituisce la modesta porzione ristrutturata della casa colonica circondata dai campi, comprata in parte con la quota dell’eredità lasciatagli dai genitori e in parte coi suoi sudati risparmi. Quarantasei metri quadrati abitabili, cioè meno del trenta per cento dell’intera superfice disponibile. Due stanze di luce e calore all’interno di un imponente edificio diroccato che sa di tempo perduto e solitudini, passate di lì in un’altra epoca ed emigrate in chissà quale landa oltre la vita (7). Le due stanze formano una piccola bolla di hi-fi, parquet riscaldato, termoarredo e lampadine a led che d’inverno si perde nel grande spazio ostile della natura, dove nemmeno la via Rossetta riesce a tracciare nel respiro brumoso della nebbia una demarcazione. Due stanze comode e accoglienti. La Tana.
Accende la stufa a legna e si veste con gli indumenti buttati la sera prima sulla spalliera della sedia. Schopen, che finora ha seguito i suoi spostamenti muovendo soltanto gli occhi, sdraiato al centro della sua personale alcova, si alza e attraversa la stanza, fino alla sedia su cui ha da tempo esteso il proprio diritto di proprietà, anche pisciandoci contro fino a che Graziano non gli ha fatto rudemente capire che non era il caso. Lì rimane in attesa di essere sollevato, perché da solo non riesce ad arrampicarcisi. Una volta sistemato al suo posto, il muso rincagnato del carlino stride sopra la tovaglia come una pietanza bruciata, mentre il suo respiro asmatico sembra la naturale reazione all’ennesima canzone di coppia alla radio. Quando Graziano si siede per consumare la colazione e gli passa un boccone di pancake, il cane ingoia senza masticare, si lecca il muso e rimane in attesa dell’obolo successivo.
A metà mattinata escono insieme incontro al pallido sole che veste la campagna. Nessuno dei due sembra avere qualcosa di particolare da fare, a parte accendersi una sigaretta (l’uomo), annusare il terreno (il cane) e pisciare contro il tronco della grande magnolia che sovrasta il pozzo (entrambi). Entrano nella parte dell’edificio abbandonata a sé stessa, a eccezione di qualche sporadico intervento di necessaria e spartana manutenzione volta a impedirne il collasso strutturale. Il freddo è pungente, le ragnatele penzolano tra le travi come festoni che celebrano nell’abbandono gli anni che passano. Negli angoli delle stanze sono ancora ammassate vecchie suppellettili della precedente occupazione umana, risalente alla metà del secolo precedente. È qui che Liliana provava il suo strumento. Lo ha spronato un’infinità di volte affinché si decidesse a dare una ripulita a quella parte della casa, e pianificare il modo migliore di utilizzarla. Non era difficile intuire come il potenziale cambiamento rappresentasse per lei una tentazione irresistibile. Per chi vive proiettato nel futuro e lega ogni propria azione al conseguimento di un risultato, non è concepibile trovare soddisfazione in quelle esili architetture del pensiero che non hanno apparentemente potere d’acquisto sul mercato della realtà. Quella che prova Graziano è l’intima soddisfazione di essersi ricavato uno spazio nella brutale economia di una natura che cerca incessantemente di riprenderselo. La Tana ha un valore, per lui, che trascende quello immobiliare e anche la mera necessità di avere un tetto sulla testa. Un santuario del quale sentirsi legittimati a pretendere l’inviolabilità.
Schopen gironzola tra il vecchio pavimento a tavelle di quella che è stata a suo tempo la cucina, e quello di cemento della stalla, e lo fa con una certa disinvoltura perché è qui che passa le sue giornate quando l’uomo va a lavorare, potendo scegliere tra dormire al riparo oppure attraversare la gattaiola installata nella porta della rimessa e gironzolare fra l’erba, all’esterno. Graziano rimane in piedi, nella penombra, con il cappuccio sollevato e le mani in tasca. Spia dalle finestrelle della vecchia stalla, ancora sezionate dalle originali grate di ferro arrugginito, gli ultimi residui di nebbia che vengono riassorbiti dal terreno. Valuta le solite, vecchie contraddizioni del suo vivere. L’ineluttabilità del perdersi e del ritrovarsi.
(continua)
(4) Pensatela come vi pare, ma io sono dell’idea che i momenti più felici della vita si passino a letto, anche da soli.
(5) Posso testimoniare che, nell’ambito dei cosiddetti lavori usuranti, è un concetto piuttosto diffuso.
(6) Non è poi così strano che uno come Graziano abbia subito il fascino dell’estetica orientale. Oggi non so, ma nel breve periodo di tempo in cui frequentavo il bar vicino a casa, in gioventù, era normale vedere i vecchi giocare sia a mahjong che a briscola e beccaccino. Io credo che la fascinazione dell’oriente sull’occidente sia analoga a quella che la cultura europea ha esercitato sull’America per un certo periodo del secolo scorso, al quale il trumpismo avrebbe poi messo fine autocompiacendosi dell’ignoranza e dell’individualismo belluino tipici di un certo populismo americano e funzionali alle guerre commerciali poi poste in atto. È mio parere, per quel che può valere, che entrambe le suggestioni, del modello orientale e di quello europeo, derivino da un complesso di inferiorità - spirituale nel primo caso, culturale nel secondo - di cui il capitalismo ha cominciato a soffrire successivamente alla sua indiscussa vittoria storica. Complesso ampiamente fondato, direi, in entrambi i casi.
(7) È facile vedere disseminati qua e là nella campagna della provincia ravennate ruderi di questo tipo ed è impossibile, quando ci si imbatte, non pensare alle famiglie che vi hanno vissuto in un’altra epoca con mezzi e modalità completamente diverse dalle nostre: prive di un sistema mediatico, della rete di informazioni di cui noi disponiamo, e delle possibilità di scelta in campo alimentare e professionale di cui godiamo (o godevamo). Ma soprattutto prive della spesso frustrante necessità di dare un senso alla propria vita, in quanto sopravvivere, a quei tempi, era già un’impresa a tempo pieno.