Bambolina Pt.6

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  (2) Il Pettirosso - Costruttori di Mondi



Bambolina Pt.6


I giorni trascorrevano in uno stato interiore simile a un fastidio, un disagio, un soffocamento, un'insofferenza a ciò che aveva intorno.
Come avesse addosso una pelle di due misure più stretta del proprio corpo.
Si gettò controvoglia nel lavoro, l'unico mezzo che avesse per distogliere la mente e ingannare la lentezza del tempo.
Aveva chiuso una paratia di distacco, una sorta di schermo d'apatia ai dilemmi sulle scelte future che lo attendevano: non era in grado, in questo momento, di immaginare o progettare ciò che sarebbe venuto, non aveva risposte o soluzioni.
Smise di pensare a ciò che da lui si sarebbe attesa Bambolina, di come lui avrebbe potuto soddisfarle, di come avrebbe affrontato la cosa con la sua famiglia.
Ormai si trovava al centro del fiume: nell'acqua alta, ora poteva solo provare a non annegare.
La corrente lo trascinava verso la foce: quando sarebbe stato in mare aperto, avrebbe fronteggiato le onde in arrivo.


Fece subito prenotare alla sua segretaria una matrimoniale, invece della solita singola, all'hotel Baglioni di Firenze, dove lui e i colleghi aziendali pernottavano di consueto, in occasione dei vari Pitti.
Quello che più gli pesava era di non poterla sentire almeno al telefono.
Lei, poiché era appena entrata nella nuova azienda, preferiva che non la si chiamasse in ufficio: per un fatto d'immagine, non voleva dare l'impressione di distrarsi sul lavoro con chiamate private.
Più volte aveva sentito la tentazione di chiamarla, fregandosene di che avrebbero pensato quelli dell'azienda di lei: prendeva in mano la cornetta del telefono e iniziava a comporre il numero, ma poi, per rispettare il suo bisogno e non arrecarle motivi d'imbarazzo, lasciava l'apparecchio e frenava quell'ardore egoistico.
Lei, a Firenze, avrebbe pernottato al Croce di Malta, un albergo d'alto livello nel cuore della città, nei pressi di Santa Maria Novella.
Avevano fissato l'appuntamento per la sera antecedente l'apertura del salone: si sarebbero trovati nella piazza antistante l'omonima basilica.
Non avrebbero cenato insieme quella sera, perché, per opportunità, tutti e due dovevano fermarsi a cena con il gruppo delle rispettive aziende.
Si sarebbero incontrati più tardi, verso le ventidue e trenta, e avrebbero trascorso insieme la notte.


Mancavano meno di una decina di giorni ormai, aveva raddoppiato il numero di sigari giornalieri fumati e dei caffè consumati, fortunatamente il lavoro in quel momento non era pressante, perché faticava a concentrarsi anche nelle cose più semplici.
In casa aveva un atteggiamento sfuggente, tentava di mascherare la tensione interiore parlando poco ed evitando di guardare negli occhi sua moglie. Giustificava quel suo essere distratto e scostante con falsi problemi di lavoro che lo assillavano pressanti in quel periodo.
A letto con sua moglie era un disastro: i sensi di colpa gli inibivano ogni tentativo d'effusione, la scusa degli assilli per gli impegni professionali rendevano plausibile la cosa, fortunatamente funzionavano.
Si davano la buonanotte come una coppia d'anziani coniugi, dopo un bacetto spegnevano la luce: lei dormiva e lui restava nel buio a guardare il soffitto e immaginare l'incontro atteso.


Giunse, finalmente, il giorno della partenza.
Trascorse in uno stato di torpore catatonico la mattina in ufficio a preparare le cose da portare con sé: biglietti da visita personali e aziendali, biglietto d'invito per entrata al salone, fotocamera con pellicole di ricambio, carta di credito aziendale, telepass autostradale, il trolley con la biancheria e gli accessori personali se li era portati da casa.
Alle due del pomeriggio era già in viaggio verso il capoluogo toscano.
La giornata era luminosa e calda, a Firenze si prevedevano temperature oltre i trenta gradi, turisti di ogni parte del globo ne avrebbero invaso le strade fino a notte fonda, accalcandosi davanti alle vetrine di Principe e Luisaviaroma, che esponevano gli anticipi di nuove collezioni della futura stagione.
La Volvo 480 E Turbo, era una freccia d'argento che toccava i duecento orari, fendendo l'aria e divorando il manto stradale sulla A12: aria condizionata al massimo, piede a tavoletta sull'acceleratore e volume della radio a palla.
Mario Volanti sul programma di Radio Italia, l'aveva accompagnato per tutto il percorso: toccò Pisa, restavano una manciata di chilometri all'arrivo.
Nella sequenza dei brani giunse la voce di Antonello Venditti: con la canzone con le parole del biglietto di Bambolina, nel giorno della loro riappacificazione:

“Le cose della vita fanno piangere i poeti
se non le fermi subito diventano segreti.”

La tenerezza gli invase l'anima come miele caldo, si emozionò commosso.
Sentire quella canzone, mentre correva a raggiungerla, pareva un segno del destino, qualcosa che si compiva sotto una buona stella.
Quasi un benvenuto inviato dal fato o da Dio, se esisteva.
L'approvazione per quel loro sentimento che pareva sbagliato, ma che, come tutte le cose che generano amore sulla terra, non poteva essere tale.


Entrare in Firenze era il solito casino: una fila interminabile di veicoli, un traffico caotico e snervate, fatto di fumi di scappamento, motori surriscaldati e clacson impazziti.
Una condizione fissa a ogni visita alla città, che si esasperava in occasione dei vari saloni.
Giunto all'albergo prese possesso della camera, svuotò il trolley e si gettò sotto una doccia fredda, per togliersi il caldo e il sudore di dosso.
Si rasò nuovamente, poiché desiderava avere la pelle liscia e morbida come una pesca, per la serata che lo attendeva.
Chiamò casa per confermare a sua moglie che fosse giunto sano e salvo: augurò a lei e a sua figlia una felice serata.
Mise una camicia fresca: button-down in cotone, con raffinate righine blu; sotto indossò un pantalone chinos, evitò giacca e cravatta, poiché il caldo non lo consigliava.
Scese nella hall e si fermò a chiacchierare con alcuni dei colleghi già arrivati, l'umore di tutti era eccellente: le spedizioni di gruppo, ai saloni, erano sempre piacevoli.
Del resto, cosa era più motivante del trovarsi in una sorta di vacanza retribuita, in una città d'arte tra le più famose al mondo, durante un'evento internazionale, fra la gente più elegantemente abbigliata del pianeta.
Mancavano due ore alla cena, nel solito ristorante, dove erano tutti prenotati. Sfidando l'afa e la calca, decise per un giro in centro con un paio di colleghi, per dare un'occhiata alle vetrine dei negozi d'abbigliamento.
C'erano sempre buone idee vetrinistiche in quelle occasioni, da cui prendere spunto per i negozi aziendali.
La situazione sulle vie dei negozi di classe, era a dir poco vorticosa: da via de' Tornabuoni alle laterali via degli Strozzi e via della Vigna Nuova, si concentravano le boutique di quasi tutti i maggiori stilisti italiani. Da Armani, a Dolce e Gabbana, a Pucci, Gucci e Cavalli.
Frotte di turisti e operatori del settore si accalcavano fuori e dentro i negozi. Fendere la folla per cercare di vedere qualcosa era impresa memorabile.
Tutto sembrava eccessivo: il numero della gente che ingombrava le strade, il lusso delle botteghe, i prezzi dell'offerta.
Anche i consueti visitatori giapponesi, elegantissimi nei loro completi Armani o Ralph Lauren, non erano più quelli di un tempo, ormai il più piccolo di loro superava il metro e ottanta d'altezza.


Lui non vedeva il caos che aveva intorno, non avvertiva il caldo soffocante, ma stava in un limbo sospeso sulla realtà: il tempo aveva perso valore, ormai era lì, col sogno da stringere in mano entro una manciata, sempre più breve, di minuti.
L'attesa interminabile era finita, si sentiva felice, in pace con sé stesso, era a Firenze.

Bambolina e la lunga notte stellata, erano sue.


(Continua)
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