Lili (1di?)

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“Comincio a credere che non conta quanto ami qualcuno. Forse quello che conta è quello che riesci ad essere quando sei con qualcuno.”
W
illiam Hurt alias Macon Leary in The Accidental Tourist.
A dispetto della vena romantica che pulsa nella sua mente fin dalla prima adolescenza, Graziano deve ammettere di non essere cambiato poi tanto dal ragazzino che faceva dell’introversione la cifra principale del suo vivere. Nel momento in cui ritorna a casa, la sera, desidera ancora trovare gli oggetti – ciabatte, pigiama, vaso dello zucchero - come li ha lasciati la mattina, andando al lavoro (1). E poi il silenzio, nel quale scaricare la tensione della giornata lavorativa e ricostruire il proprio equilibrio. Le sue potrebbero essere necessità e abitudini non comuni, se ne rende conto, tuttavia crede anche di aver miracolosamente tenuto in vita la sensibilità che appartiene a quel periodo della vita in cui non si sa niente di niente, ma si ha l’istintiva certezza di sentire tutto. Una sensibilità che, per fortuna o sfortuna, non se ne è andata con la stessa facilità della giovinezza in cui era radicata. Fatto sta che dopo una giornata di lavoro piena e sfiancante, l’idea di sostenere al ritorno una conversazione del più e del meno con Liliana, a volte gli dà la stessa sensazione di un colpo di grazia.
«Ciao amore» esordisce lei, e a lui non va giù di sentirsi chiamare così perché in primo luogo è un’usanza che non appartiene agli uomini della sua generazione e in secondo lo disturba, come qualsiasi altra istituzionalizzazione del sentimento (2). Le ha già chiesto educatamente se sia possibile evitare e usare il suo nome di battesimo, ma Liliana si è scusata con una risatina furba e gli ha spiegato che proprio non riesce a farne a meno, e malgrado la sua intenzione sia quella di far passare la cosa per un esubero affettivo, lui sa benissimo che si tratta di un’ennesima prova di forza. Due settimane prima, già irritato per conto proprio dopo certe discussioni sul lavoro, non ha avuto l’autocontrollo sufficiente per trattenersi.
«Com’è andata oggi, amore?» gli ha chiesto lei, anche se gli si leggeva chiaramente in faccia, a Graziano, che non aveva nessuna voglia di parlare, e probabilmente Lili glielo ha chiesto proprio per quello.
«Una merda, ma che te lo dico a fare? Sarà una merda anche domani e domani ancora, ma lo sarebbe ancora di più - e qui sta il paradosso del cazzo - se per un qualsiasi motivo dovessi perdere il lavoro. Quindi di che vogliamo parlare, amore? Di quanto è bella la vita? Di qualche tipo di fede che non voglio? Dell’escursione in programma per il prossimo fine settimana?»
Liliana è rimasta a guardarlo per qualche secondo, muta, poi si è chiusa in una bolla di silenzio poco compatibile con la sua normale rumorosità, ma alla quale l’ha vista più volte fare ricorso.  E lui, ora - consapevole di come lo sfogo infantile gli possa ancora costare la relazione in essere -, pensa che forse dovrebbe sentirsi in difetto, anche se poi in realtà si sente sollevato dal peso di una finzione che non è più in grado di sostenere. 
Non che sia colpa di Lili, ammesso e non concesso che abbia senso parlare di colpe. Lei è estrosa e intelligente, spiritosa e tollerante. Ha persino sedici anni in meno di Graziano, che ne ha fatti cinquantadue lo scorso aprile, per quel che può valere. Ai suoi occhi, di Graziano, ha solo un difetto: troppa voglia di vivere. Il volume dei suoi desideri lo disturba, allo stesso modo in cui a volte gli dà fastidio il suono eccessivo del violoncello, quando si infervora provando gli ultimi spartiti musicali, nell’ala in disuso della casa. Lui ama quasi tutta la sua musica, ma sta di fatto che accanto al repertorio più armonico, lei coltiva una vena trasgressiva composta in gran parte di dissonanze che proprio non riesce a farsi piacere (3). Tornando alle questioni di carattere, l’esuberanza del suo ottimismo lo infastidisce, come se stesse cercando di provocarlo per fargli ammettere che qualcosa in lui non funziona e sia arrivata l’ora di cambiare. Illusa. La ricetta esistenziale di Lili, al momento consiste in un mix di arte, vita sociale, yoga e natura, e l’unico tassello mancante per completare l’etica di tendenza è una dieta vegana. Logico, considerando quanto le piaccia mangiare.
Fin dall’inizio della loro relazione, malgrado gli orari lavorativi le consentano di alzarsi più tardi - Liliana insegna musica all’Istituto Artistico Privato intitolato a Gianpaolo Boccaccini ed è membro del direttorio musicale del GAE, Giovani Artisti Emergenti, importante associazione culturale nazionale -, non ha mai mancato di puntare la sveglia alle sei del mattino e farsi un dovere di preparare la colazione, condividendola in silenzio con lui che deve essere in cantiere alle sette e venti. E proprio in quel momento, oggi, lo informa della sua decisione di lasciarlo e portare via tutte le sue cose prima di sera.
Bang. Graziano non sa cosa dire. Gli pare doveroso, data la gravità del momento, osservare un minuto di silenzio. Anche due. Nel frattempo pensa che forse si sbaglia, ma ha l’impressione ci sia ancora uno spiraglio nella fermezza della sua decisione, lo spazio di un’ultima possibilità per dimostrarle che tra loro non è rimasta solo routine. L’invito sottinteso che Lili gli rivolge con gli occhi, gli pare, è quello di rimanere a casa e affrontare il problema, farle capire che non può vivere senza di lei.
«Sono in ritardo» mormora con un’occhiata colpevole e imbarazzata. «Ne parliamo questa sera.»
Invece può, è questo il problema.
Graziano non è uno stupido e nemmeno un indifferente. Non gli sfuggono la gravità della situazione e i sentimenti di lei, ma è evidente che la cosa tra loro non funziona più e non vede una soluzione, quindi si mette la borsa del pranzo a tracolla e lascia la stanza, la casa, la donna con cui ha mangiato, bevuto, parlato, dormito, scopato negli ultimi tre anni. Potrà sembrare ingiusto, e magari lo è, ma in poco meno di un minuto è già in auto.
La diversità che li separa, anche, è un problema. Negli anni a venire lei vede una costellazione di possibilità, lui soltanto la confezione dei Cotton Fioc e i barattoli del caffè che si svuotano sempre più rapidamente - uno alla volta, un cucchiaino dopo l’altro, come clessidre, fino a doverli riempire di nuovo. Ciò nonostante non si considera una persona infelice, o pessimista, non soffre nemmeno di misantropia. Legge un sacco di libri e negli ultimi anni ha sviluppato persino una sensibilità poetica. Crede di essere realista, tutto qui. Se è diventata una colpa, allora mea culpa. Sa di non credere a nessuna delle idee che a Lili scaldano il cuore, ma allo stesso tempo lo solleva il pensiero che lei sarà ancora in grado di lasciarsene trasportare, appena superata la crisi in essere. E anche se è convinto che l’essenza dell’essere umano sia soltanto un pugno di vaghe pulsioni – vaga sessualità, vaga affettività, vago senso di autoconservazione - vestite di idealizzazioni mutevoli come tutte le umane illusioni, vorrebbe farle capire che prima troncheranno la loro relazione e prima ognuno di loro potrà tornare a sentirsi comodo nei propri abiti, a godersi le proprie inclinazioni. Illuso. Da convinta idealizzatrice della vita qual è, teme che Liliana sia intenzionata ad assaporare anche quell’esperienza fino in fondo e non se ne andrà prima di aver pianto fino all’ultima lacrima.
(continua)
 





Note dell'autore:

(1) Il fatto è che il contesto della vita fuori e quello dentro il lavoro sono spesso così diversi tra loro che è un po’ come vivere due vite parallele.

(2) La cosa non è così irragionevole come sembra se consideriamo che a tutt’oggi non esiste una collocazione precisa della parola amore e che il vocabolo – stra-usato, stra-idealizzato, stra-banalizzato – si usa per coprire un ampio numero di situazioni che vanno dai legami di sangue, all’innamoramento, al rapporto di coppia, al sesso, alla religione, all’atto di carità, alla gratitudine, all’altruismo, alla generosità. Tutte cose molto diverse tra loro per le quali esiste già una definizione specifica, il che rende legittimo il sospetto che l’uso superficiale del vocabolo in questione sia analogo a quello di uno slogan pubblicitario, ovvero non dire quasi niente per lasciar immaginare quasi tutto.
Promemoria a uso interno: ricordarsi di non ricorrere mai alla parola amore a meno che, come nel caso specifico, non venga pronunciata da uno dei personaggi.

(3) Ai suoi tempi, o meglio ai miei, ho comprato Metal Machine Music, il famigerato album di Lou Reed, allora in vinile, e non nascondo di essermi sentito un coglione mentre pensavo ai soldi spesi e ascoltavo i primi dieci minuti di rumori di fondo elettronici, per poi scoprire che quello era il mood dell’intero lp, per giunta doppio.


commento

Re: Lili (1di?)

2
Ciao Roberto, è un bel pezzo che non ti leggo (mea culpa :asd: ).
E – confesso – capito per caso su questo tuo nuovo capitolo che, devo dirti subito, trovo molto interessante.
Dato che la tua scrittura non ha bisogno di commenti, mi soffermo sulla principale particolarità di questo testo: le note dell’autore.
Premesso che (parlo per me, per la mia scrittura) se devo mettere delle note, se devo spiegare qualcosa, allora vuol dire che la mia scrittura non è stata efficace (in altre parole: ho fallito), in questo caso (escluso che tu voglia chiarire o sottolineare concetti che già il testo consente di cogliere), mi piacerebbe capire se le “Note dell’autore” fanno parte del testo, oppure no (e, in tal caso, se quello che cerchi è un dibattito "tecnico-narrativo" su tali idee. Non certo un dibattito “OT”, bensì una ricerca di spunti e pareri per approfondire ed eventualmente “affinare il tiro” del sottotesto).

Ma: lasciami condurre questo commento nell’ottica della mia interpretazione: i commenti fanno parte del testo. Proprio "organici" alla storia narrata.
Infatti, mi è tutt'altro che sgradito leggere questo capitolo come una sorta di metaracconto nel quale l’autore-narratore si intromette nella storia. Una sorta di “Personaggi in cerca d’autore”… anzi: di “Autore in cerca di personaggi”, nel quale la storia – che è quella che è: una pura situazione, la fotografia di un rapporto “amoroso”, la rappresentazione dell’agonia di una relazione – nel quale la storia, dicevo, è “arricchita” dalle considerazioni del suo creatore, in una sorta di dialogo (potenzialmente allargato al lettore) con i personaggi, mentre la situazione (“che è”, carverianamente parlando e rappresentando) diventa “storia”: filtrata, plasmata e svolta, secondo punto di vista, sensibilità, ed esperienze pregresse dell’autore.
Magari i personaggi non possono “sentire” (non so immaginare se, dopo questo primo capitolo, gli interventi dell’autore rimarranno così, "sospesi" – in un certo senso – su un piano che è fuori dalla situazione che vivono i personaggi, oppure se si faranno più “invasivi” e potranno essere se non proprio sentiti, almeno percepiti dai personaggi).
Ma il lettore (che stai accompagnando e che, grazie al tuo svolgimento, entra nella storia), sì che può “sentirli” (vabbé: “leggerli”).

Ecco, magari non è proprio questo il tuo intento, e io sto clamorosamente fraintendendo, ma in una costruzione del racconto così, io vedo una certa potenzialità.

E, dato che da ciò che ho letto e visto di tuo nelle presenti e passate officine dei "nostri" forum, ti conosco come autore poliedrico e originale, non mi stupirei se io “ci avessi preso”. Perché queste “note dell’autore” (che normalmente vedrei molto male), mi aprono, invece, a una lettura nuova e diversa… Perché non sono intromissioni nella mia interpretazione di lettore, sono una dimensione (proprio una dimensione fisica) in più della storia.

Che mi dici?

Re: Lili (1di?)

3
Ciao @queffe    e innanzitutto grazie per il passaggio molto, molto gradito.
queffe ha scritto: Che mi dici?
Ti dico che ci hai preso eccome.
Mettiamo un attimo da parte questo mio scritto, così riesco a parlare in modo più obbiettivo (da lettore a lettore, diciamo) e partiamo dal punto in cui la cosa ha avuto il suo inizio. So che conosci DFW. Io penso che lui, come scrittore, sia ineguagliabile, un genio assoluto. Mi viene da dire, sì vabbè, capirai, i gusti sono gusti e probabilmente il suo lato nerd tocca indubbiamente le mie corde, ma non sarei completamente sincero perché quello che penso (opinabile come sempre) è che se ogni autore da me letto ha vestito la natura umana di un abito di volta in volta in volta diverso, DFW è quello scrittore che ha saputo rappresentarla nuda, nuda come mamma l'ha fatta, nella sua disperata bellezza, nella sua contraddittorietà, nella sua tragicomica complessità. Detto questo, veniamo alla questione "note". Non so se riesco a spiegare come io ho inteso il modo in cui DFW utilizza le note, ma in sostanza quello che tu hai detto ci si avvicina moltissimo. 
queffe ha scritto: lun mar 06, 2023 5:21 pmuna sorta di metaracconto nel quale l’autore-narratore si intromette nella storia. Una sorta di “Personaggi in cerca d’autore”… anzi: di “Autore in cerca di personaggi”
E' esattamente questo. Si tratta di capire qual è lo scopo che sta alla base di un certo modo di scrivere, perché non ce n'è uno solo. La scrittura di DFW, per esempio, di certo non si prefigge di far immedesimare il lettore in un qualche tipo di fantasia, anche se poi l'universo di Infinite Jest è talmente vasto che la sua fortissima caratterizzazione e quella dei suoi personaggi ti si attacca indissolubilmente alla corteccia cerebrale. Tuttavia DFW non scrive per farci sognare, e di sicuro non scrive per compiacere il lettore. La sua è una scrittura a compiacenza zero e a me viene da dire che paradossalmente è proprio in quel rifiuto che va individuata la sua fortissima ricerca di interazione, di stabilire un contatto abbastanza forte, abbastanza universale da scardinare i gusci in cui tutti noi ci richiudiamo. DFW ha intuizioni geniali che traduce in narrativa e subito dopo ne ha altre di altrettanto geniali  su ciò che ha scritto. Ecco come usa le note: è come se ti si venisse a sedere accanto mentre leggi e disquisisse con te di ciò che ha scritto. Io credo che lui non abbia mai inteso l'atto di scrivere (se non forse ai primissimi esordi) come un obbiettivo, ma come un mezzo. L'obbiettivo è sempre stato altro, forse capire una volta per tutte "che cosa cazzo è un essere umano" (parole sue, più o meno).
queffe ha scritto: lun mar 06, 2023 5:21 pmnel quale la storia, dicevo, è “arricchita” dalle considerazioni del suo creatore, in una sorta di dialogo (potenzialmente allargato al lettore) con i personaggi,
O direttamente con il lettore. Se vogliamo vederla da un altro punto di vista, è una sorta di dissacrazione della scrittura, tutta a favore di un rapporto più diretto con il lettore. Un modo per dire "non sognare, non fantasticare, non è della vita degli altri che stiamo parlando, ma della mia e della tua".
Vabbè, spero di non aver detto qualche sciocchezza e spero anche che avremo altre occasioni di parlare di questo. Lili è un racconto lungo, già scritto per intero, e quindi mi sento di dire con una certa sicurezza che a scadenza settimanale posterò i successivi capitoli, più o meno una decina.
A risentirci, dunque, e grazie ancora. Ciao.  :super:
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