[N2022R] - Atrax robustus Pt.3

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[N2022R] - Atrax robustus Pt.3



Quel titolo su una temibile razza di ragni, che metteva in allarme l'intero paese australiano, meritava d'essere letto con attenzione, quindi lo fece:

“L’Australia è alle prese con una devastante serie di alluvioni, considerate le peggiori degli ultimi decenni. Questi fenomeni hanno provocato anche sconvolgimenti per la fauna locale, con molti animali costretti a uscire dalle proprie tane. Tra questi anche il ragno Atrax robustus, uno degli aracnidi più pericolosi, aggressivi e velenosi al mondo. Questa specie particolare ha, originariamente, il suo habitat in un'area non più vasta di 100 km di raggio dalla città di Sydney, nel Nuovo Galles del Sud, ma ormai lo si può incontrare anche in tutto il Queensland e in alcune foreste tasmaniane.
L'intera area di Sydney, è stata particolarmente colpita dalle inondazioni, e adesso si teme che i ragni possano riversarsi nelle strade, entrando anche nelle abitazioni domestiche. Questi ragni sono attratti dall'acqua e di frequente è possibile trovarli ai bordi delle piscine, in cui talvolta cadono. L'Atrax robustus è in grado di sopravvivere per diverse ore a questi "bagni", trattenendo bolle d'aria attorno a sé grazie alla peluria ed è capitato che abbia morso chi cercava di portarlo fuori dall'acqua.”


La sua proverbiale idiosincrasia per l'argomento lo stimolò a proseguire la lettura, che continuava illustrando le caratteristiche di quel genere di artropode.

Il temibile ragno dei cunicoli

“L’atrax robustus è anche conosciuto come il “ragno dei cunicoli”, è a suo agio in condizioni di umidità e alte temperature. Appartiene alla famiglia degli Hexathelidae ed è noto come “Sydney funnel-web spider”, ovvero “ragno Sydney con imbuto”, infatti la sua tela somiglia a un tubo. I cheliceri con cui inietta il veleno sono particolarmente sviluppati e anche per questo motivo il morso risulta assai doloroso. Il veleno di questa specie agisce in tempi molto rapidi: la morte sopraggiunge per nausea, diarrea, febbre alta, vomito, edema polmonare e shock anafilattico, o per collasso di altri organi vitali.“


Quanto letto, non poteva che confortare la sua naturale avversione per quelle bestie ripugnanti.
Inoltre, con argomenti palesi rafforzava tutti i motivi per detestare quegli esseri repulsivi che sua moglie teneva in casa loro.
Con sconcerto, da lì a poco, rilevò che quella lettura gli stava procurando uno strano languore alle membra: le palpebre si facevano pesanti, i caratteri della rivista prendevano a danzare confusamente, riconobbe la sensazione che precedeva i suoi “colpi di sonno”.
Ebbe solo il tempo di sussurrare a sua moglie, con voce impastata:
- Hai letto cosa fanno in Australia le tue dilette bestiole?...
Ma non udì la risposta: la rivista gli scivolò di mano e il buio calò sulle cose, pesante come una silenziosa saracinesca.

Il mattino seguente si svegliò con la consueta emicrania, stanchezza delle membra e bocca amara.
Era tardissimo per andare al lavoro: le nove e mezza.
Sua moglie era uscita senza svegliarlo, forse aveva anche tentato di destarlo senza riuscirci e alla fine aveva rinunciato: del resto, da sempre si recavano al loro impiego in maniera indipendente.
Avrebbe chiamato la segreteria dell'istituto, inventando una scusa per avvisare che tardava di due ore, si cacciò sotto una doccia bollente.

In cucina si preparò un veloce espresso con la macchina elettrica, mentre lo sorbiva, gli venne da pensare alla strana coincidenza del sonno improvviso e profondo tornato la sera prima.
Era un'idea bislacca, ma ci sarebbe stato da pensare che, come nelle altre volte, fosse avvenuto proprio dopo aver bevuto il proprio distillato.
In effetti, per quanto assurda, non poteva negare che la coincidenza fosse concreta: in effetti, ogni volta che negli ultimi mesi aveva bevuto quel distillato si era addormentato.
Che gli piacesse o no era un fatto evidente!
Gli venne da domandarsi se nel processo di produzione del suo amaro, non vi fosse incidentalmente entrato un qualche prodotto o erba responsabile di quell'esito, oppure un effetto dovuto a un qualche imprevisto deperimento del preparato.
Lo avrebbe escluso a priori, poiché ne seguiva la realizzazione personalmente. Inoltre, i componenti erano rigorosamente naturali: quassia amara, rabarbaro, anice stellato, cannella, coriandolo, giaggiolo, mandorle amare, vaniglia. arancio amaro, genziana, ginepro, sambuco e zenzero.
Il fatto che vi fosse entrato qualcosa d'altro gli pareva poco credibile.
Andava pure detto che quando il diavolo ci metteva la coda anche l'incredibile diveniva possibile.
Come uomo di scienza era tenuto a non escludere alcuna possibilità, quindi la cosa andava analizzata a fondo.
Sarebbe stato il colmo, se dopo tanto chiedersi chi poteva aver alterato cibi e bevande nelle loro cene, si venisse a scoprire che il solo responsabile fosse lui stesso, per una tragica svista nella preparazione del suo amaro.
Decise di far analizzare il contenuto delle sue bottigliette quella mattina stessa.

Prese la bottiglietta da cui aveva bevuto la sera prima insieme ad altre cinque di quelle vuote: perché non essendo state lavate per un nuovo impiego, sicuramente, da qualche residuo rimasto all'interno si poteva risalire ai componenti del liquido.
Prese anche alcune di quelle da stappare, per accertarne la conformità del contenuto.
Se questa ipotesi fosse risultata attendibile, non sarebbe stata comunque risolutiva, infatti, vi era un aspetto che restava comunque in ombra: capire perché il misterioso agente soporifero avesse effetto solo su di lui, dato che lo aveva sempre bevuto insieme al loro amico.
Ma a questo avrebbe pensato in seguito: i problemi complessi andavano risolti un passo alla volta.

Giunto all'università, incaricò uno dei tecnici del laboratorio d'effettuare le analisi delle varie bottigliette e di fornirgli una relazione riservata sui risultati.
L'analista, con sollecita efficienza, la mattina successiva gli fece trovare il dossier richiesto sulla scrivania.
Nel leggerne le pagine, quasi gli venne un mancamento.
Le bottigliette non aperte contenevano unicamente i regolari ingredienti della sua ricetta.
Ma in una di quelle usate e in quella da cui due giorni prima si era versato l'amaro, si trovavano le stesse tracce: un barbiturico ad azione breve, con forti proprietà sedative e ipnotiche.
La nota dell'analista, data la composizione molecolare del prodotto, suggeriva potesse trattarsi di “Secobarbital”, facilmente reperibile farmaceuticamente.
Seguivano alcune note sul farmaco:


“il Secobarbital è un barbiturico ad azione breve con proprietà sedative e ipnotiche, viene impiegato come farmaco preoperatorio, è frequentemente usato nel suicidio assistito dai paesi in cui la legislazione lo permette.
Si prescrive d'evitare di bere alcolici durante l’assunzione, perché se ne accentuano gli effetti negativi secondari."


Citava, inoltre, i possibili “effetti avversi” nell'uso del Secobarbital: nel cui elenco comparivano molti dei sintomi avvertiti ai suoi risvegli.
Ora comprendeva finalmente da cosa fossero generati.


Questa scoperta era come affacciarsi su un'angosciosa voragine di cui non si vedeva il fondo, gli parve che la terra si fosse spalancata sotto di lui per inghiottirlo.
La realtà turbinava intorno come al centro di un uragano: la vertigine gli toglieva il respiro e dovette aggrapparsi al piano della scrivania, per il timore di accasciarsi al pavimento.
Le conclusioni che traeva erano di quelle da affrontare sostenuti da una sonora sbronza, ma lui non beveva altri alcolici al di fuori del suo elisir d'erbe, quindi prese un triplo espresso al distributore di bevande calde nel corridoio.

Aveva bisogno di rimettere ordine in quella esplosiva miscela emozionale che gli impediva di ragionare.
Una cosa gli era chiara: quella situazione non andava affrontata a caldo, tutto doveva essere vagliato con calma e razionalità.
Doveva pianificare il da farsi con glaciale freddezza.
Anzitutto l'autocontrollo: non lasciar intuire in nessuna maniera ciò che aveva scoperto.

(Continua)
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