Bambolina Pt.3

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La volpe - Costruttori di Mondi



Bambolina Pt.3


Si era al giovedì della settimana al cui termine ci sarebbe stata la presentazione delle collezioni ai negozianti affiliati.
Il sabato e la domenica si sarebbero tenute le sfilate delle varie linee.
Nella sera di domenica sarebbe avvenuta una cena collettiva, dove i responsabili di linea e i dirigenti aziendali, avrebbero presenziato ai diversi tavoli con piccoli gruppi di affiliati, in veste di padroni di casa.
Bambolina come responsabile della sua linea, avrebbe seguito la sfilata e avrebbe partecipato a quella cena, poi, dal lunedì successivo avrebbe lasciato l'azienda.
Il tempo rimasto per dare un colpo di spugna alle recenti incomprensioni tra loro era pochissimo,
Il venerdì mattino, di buon ora, lui giunse in azienda per primo: la sera precedente all'uscita dal lavoro si era recato in un negozio di peluche, dove
aveva acquistato un piccolo, tenero, orsacchiotto rosa, con occhioni azzurri e una salopette a quadretti che ispirava grande dolcezza.
Prima di giungere in ufficio, passando dal fioraio, si era fatto confezionare un bouquet di rose: lasciò i fiori e l'orsacchiotto, accompagnati da un biglietto, sulla scrivania di lei.
Le aveva scritto:
“Bambolina, ti auguro lo splendore che desideri e meriti per la tua nuova vita. Se talvolta ti sentissi un poco sola, ricorda sempre che l'affetto che tutti qui ti portiamo. Io col pensiero e il mio cuore ti sarò accanto in ogni luogo del mondo in cui andrai. Ti voglio bene. Un grande abbraccio.”

Fatta questa cosa si senti più leggero: la punta dolorosa per la partenza di lei, si stemperava nel languore di un rimpianto per una stagione felice della sua esistenza che stava terminando.
La giornata, come era prevedibile, fu caotica per la moltitudine di cosa da approntare all'ultimo momento, non ebbe tempo neppure per un caffè.
Nella mattina non era giunto nessun segno, sull'omaggio, da parte di lei: ma aveva certo altro a cui pensare, e lui non ci fece conto.
Al rientro dal panino consumato in fretta nel baretto d'angolo, sulla scrivania trovò una piccola bambolina Holly Hobby, vestita con un abitino patchwork e un cappellino di paglia, a tesa larga, sul capo.
Una piccola busta allegata conteneva un biglietto che profumava di vaniglia:

“- Le cose della vita fanno piangere i poeti
Ma se non le fermi subito diventano segreti. -
Vorrei dirti grazie con calma. Se ti va prendiamo un aperitivo a fine giornata. -
Ti chiamo più tardi per il posto e l'ora.
Anche io ti voglio bene.”

Fu felice che lei avesse apprezzato il suo gesto e del modo affettuoso con cui l'aveva ricambiato.
Restò molto colpito dalla citazione in testa al biglietto: erano le parole di una canzone di Venditti.
Se non ricordava male, appartenevano, appunto, al brano “Le cose della vita”.
Si interrogò sul perché della scelta di quelle parole, non gli era chiaro cosa volessero significare in quel contesto.
Lei era una che difficilmente usava le parole a caso, men che meno in un biglietto come quello.
Rimuginò sul come interpretarlo per il resto del pomeriggio.
Intorno alla diciotto il telefono della sua scrivania trillò, la chiamata era interna: la voce di lei, risuonò carezzevole, nella cornetta.
- Ciao, volevo ringraziarti per le rose. L'orsacchiotto è splendido e il biglietto, mi ha commossa.
- Figurati, per così poco. Come stai tesoro?
- Bene! Incasinatissima. Però volevo salutarti con calma. Se puoi verso le sette e mezza ci becchiamo ai “murazzi” per uno Chardonnay, così parliamo un po'.
- Ai murazzi? Intendi al bar Flora?
- Sì, quello in angolo che guarda sul Po.
- Ok. Dai! - Lì alle sette e mezza.
Era felice come un bambino che trova regali sotto l'albero nella mattina di natale.
Poiché nella zona tra piazza Vittorio e il lungo Po Diaz, a quell'ora, era impossibile trovare spazio anche per una bicicletta, per non tardare con la ricerca di un parcheggio, per arrivarci prese un taxi.

La Trovò già seduta a un tavolino d'angolo davanti alla grande vetrata sul fiume: quando lo vide entrare lo richiamò alzando il braccio.
Si abbracciarono, poi, ordinarono delle tartine e un Berlucchi freddo.
Parlarono per quasi due ore del presente e del futuro, di come si sentivano in questo cruciale momento, di cosa lei si attendesse dalla sua nuova sistemazione, di quanto fosse duro staccarsi dall'azienda in cui era cresciuta.
- Dai! - disse lui incitandola – Ce la farai benissimo, sei troppo brava, sarà un successo, tranquilla.
Lei cercò la mano di lui sul divanetto che dividevano e la strinse forte.
- Mi mancherete, e mi mancherai tu. - disse con occhi lucidi.
Lui continuava a pensare al biglietto e si domandava se fosse il caso di chiederle il significato delle parole scritte.
Soprattutto di quel: ”Ma se non le fermi subito diventano segreti.”, che trovava quanto mai indecifrabile.
Cosa doveva essere fermato per non divenire un segreto, o in altre parole “un rimpianto”?
La osservava mentre parlava e con un gesto involontario, scostava una ciocca di cappelli scesa sulla fronte: nascondeva l'inquietudine ridendo alle facezie di lui, la bocca ben disegnata si schiudeva al candore luminoso del sorriso.
Lui si sforzava di trovare ancora in lei la ragazzina che aveva visto crescere.
La cercava nella luce di gioiosa follia che ancora, in qualche istante, balenava in quegli occhi cerulei, che un tempo parevano “osservare il mondo con lo stupore di una nuova scoperta”.
Ora, erano occhi fermi e consapevoli di una giovane donna, forse troppo adulta e impegnata per la sua reale età
Per combattere la commozione che montava come un flusso di marea, si profuse in discorsi leggeri, piccole sciocchezze, dette per stemperare il clima di quell'incontro, di cui il vino freddo e frizzante nei calici, non riusciva a mutarne il sapore d'una separazione.


- Ora dovrai pensare seriamente di prendere la patente. - esordì - Non credo che nella futura azienda ti forniranno un autista personale per guidare l'auto che ti sei comprata.
Lei rise di gusto: - Vero! Accidenti! Dovrò proprio farlo. Mi darai ripetizioni di guida, se m'iscrivo all'autoscuola?
- Ma certo! Non si è mai vista una manager in carriera che non sappia guidare la propria macchina. - complice il terzo bicchiere di Berlucchi, risero come matti.
Bambolina due mesi prima aveva trovato una splendida “Saab GT750” color carta da zucchero, non aveva la patente, ma pensò che l'occasione fosse irrinunciabile.
Quella macchina era un cimelio: la casa svedese l'aveva creata nel 1958, era raro trovarne una sul mercato italiano, possedeva una linea di rara bellezza.
Il veicolo, in attesa d'essere un giorno destato dalla sua proprietaria, al momento, dormiva sotto un telo felpato, nel piccolo garage di famiglia.
- Ho chiesto che alla cena ci mettano insieme al tavolo con gli affiliati che ci affibbieranno – disse lei allegra.
- Ottima idea. Brava! - rispose - Io come intrattenitore di commensali sono una frana. Mi limiterò a riempire i bicchieri quando li vedrò vuoti. Io li ubriaco e tu li intorti con le chiacchiere. Sarai la mia salvezza.

Attraverso la grande vetrata scendeva la sera.
Lo specchio scuro del fiume si trapuntò di riflessi: come occhi scintillanti le luci della collina, dietro la Gran Madre, si accesero come piccole stelle nel buio.
Erano brilli, la sera era tiepida e profumata di primavera, la confidenza e l'affetto si erano rinsaldati, avevano i cuori ammorbiditi di tenerezza e bollicine alcoliche, lei profumava di vaniglia e lui la trovò invitante come uno chantilly alla panna.
Fu un momento di bellezza struggente, lui pensò che lo avrebbe ricordato come uno dei più intensi e perfetti della sua vita.
Attesero un taxi che avevano fatto chiamare tenendosi per mano e continuando a ridere di sciocchezze.
Lui diede all'autista l'indirizzo di lei, per farla lasciare a casa sua prima di proseguire verso la propria abitazione.
Si salutarono con un bacio sulle guance: per il resto del tragitto lui avverti il calore delle sue labbra sulla gota e il profumo che aveva lasciato dietro sé.


(Continua)


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