La rivoluzione di un batuffolo di cotone Parte 2
Posted: Sat Nov 05, 2022 10:35 pm
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Si erano conosciuti in una sera di un lungo inverno.
- Scusi sa dov’è la stazione dei taxi? Stretta dentro quel maglione sformato e mani dalle dita lunghe con cento anelli, un sorriso luminoso nel quale annegare. Simone si era offerto di accompagnarla fino alla stazione: Laura era titubante, timorosa come se fosse un’adolescente alla prima uscita. Alla fine Simone l’accompagnò fino a casa, stettero molto a parlare, si scambiarono i numeri dei cellulari con la promessa di rivedersi. Entrambi però erano pieni di impegni, con l’agenda sempre piena per non sentire il suono che fa un corpo quando si trova solo con se stesso. Alla fine ce la fecero e da allora sembrò che nulla fosse sbagliato nel mondo nonostante non fossero più giovani. In quel momento perfino le nere nubi non portavano pioggia, ma stelle colorate. Fu un periodo magico di risate, di condivisione di idee, di progetti, una fabbrica di energia che si autoproduceva solo nello stare insieme.
Dopo qualche anno qualcosa si ruppe. L’abitudine, la terribile infezione che infesta spesso chi si ama, cominciò a minare il loro equilibrio: Laura era sempre più inquieta, Simone reagiva a quel malessere con regali mettendo sotto il tappeto i presagi di un temporale. Di lì a poco cominciarono i malumori, i silenzi nei quali Laura si rinchiudeva e le visioni, gli obiettivi comuni diventavano, a parte per lo stretto quotidiano, sempre più confusi.
Simone lavorava per un giornale dove era finito ormai stanco di girare: il posto fisso e uno stipendio sicuro l’avevano imbolsito, si era seduto, bivaccava sulle notizie contando gli anni che mancavano alla pensione. Si era addomesticato, il guinzaglio alla fine non era poi male se non lo si tirava e per fortuna in quel giornale la più grande ambizione era il fine settimana. Alla fine cosa c’era di male?
Laura non lo capiva, voleva sempre il contrario di quello che aveva, se era al mare voleva stare in montagna eppure l’amava come non aveva mai amato nessun’altra. Quando litigavano sapeva come blandirla con le parole, ma era solo curare un cancro con l’aspirina. Lui era stato cresciuto da due genitori che si proclamavano felici, la gente li invidiava, mai un litigio, mai un’increspatura, tutto era sempre liscio come un mare senza vento fino a quando i due inseparabili si separarono: papà andò via con la sua amante, mamma restò sola con Simone ad avvelenare ogni istante delle sue giornate. Crebbe con un grande senso di colpa, pensando che se non avesse detto alla mamma di aver visto papà con un’altra donna tutto sarebbe rimasto fantasticamente felice.
Da quel momento qualcosa in lui si era spezzato, per non soffrire preferiva una sofisticata bugia alla verità. Quando suo cugino si separò dalla moglie gli disse:
-Non c’è peggior sofferenza che la rivoluzione del cuore, ti sovverte ogni pensiero, ti comanda e tu sei schiavo di un padrone che non accetta di trattare, sei un burattino come me adesso in mano ad un tiranno. A quel tempo era depresso, la situazione gli aveva lasciato una ferita che non accennava a rimarginarsi, così quelle parvero parole malate, guidate dal dolore.
Ultimamente Laura lo aveva paragonato più volte al cugino, ma era solo per farlo inquietare, perché pur essendo certamente un brav’uomo era più noioso di una mosca.
-L‘amore vero non si può far sparire come una parola scritta su una lavagna.
Quella frase detta da Laura ora gli graffiava il cuore, ma gli dava anche speranza. Doveva esaminare con freddezza la situazione, lei forse lo stava mettendo alla prova, comunque non poteva sbracciare, doveva avere un piano preciso.
Disciplina mentale e calma, se lo ripeteva come un mantra, intanto era al secondo pacchetto di sigarette che accendeva e poi lasciava distratto sole a consumarsi. Laura faceva saltare il banco e se ne andava, era stanca, diceva che non c’era più stupore tra loro, niente solo un microfono e uno specchio dove ognuno parlava a se stesso.
Si erano conosciuti in una sera di un lungo inverno.
- Scusi sa dov’è la stazione dei taxi? Stretta dentro quel maglione sformato e mani dalle dita lunghe con cento anelli, un sorriso luminoso nel quale annegare. Simone si era offerto di accompagnarla fino alla stazione: Laura era titubante, timorosa come se fosse un’adolescente alla prima uscita. Alla fine Simone l’accompagnò fino a casa, stettero molto a parlare, si scambiarono i numeri dei cellulari con la promessa di rivedersi. Entrambi però erano pieni di impegni, con l’agenda sempre piena per non sentire il suono che fa un corpo quando si trova solo con se stesso. Alla fine ce la fecero e da allora sembrò che nulla fosse sbagliato nel mondo nonostante non fossero più giovani. In quel momento perfino le nere nubi non portavano pioggia, ma stelle colorate. Fu un periodo magico di risate, di condivisione di idee, di progetti, una fabbrica di energia che si autoproduceva solo nello stare insieme.
Dopo qualche anno qualcosa si ruppe. L’abitudine, la terribile infezione che infesta spesso chi si ama, cominciò a minare il loro equilibrio: Laura era sempre più inquieta, Simone reagiva a quel malessere con regali mettendo sotto il tappeto i presagi di un temporale. Di lì a poco cominciarono i malumori, i silenzi nei quali Laura si rinchiudeva e le visioni, gli obiettivi comuni diventavano, a parte per lo stretto quotidiano, sempre più confusi.
Simone lavorava per un giornale dove era finito ormai stanco di girare: il posto fisso e uno stipendio sicuro l’avevano imbolsito, si era seduto, bivaccava sulle notizie contando gli anni che mancavano alla pensione. Si era addomesticato, il guinzaglio alla fine non era poi male se non lo si tirava e per fortuna in quel giornale la più grande ambizione era il fine settimana. Alla fine cosa c’era di male?
Laura non lo capiva, voleva sempre il contrario di quello che aveva, se era al mare voleva stare in montagna eppure l’amava come non aveva mai amato nessun’altra. Quando litigavano sapeva come blandirla con le parole, ma era solo curare un cancro con l’aspirina. Lui era stato cresciuto da due genitori che si proclamavano felici, la gente li invidiava, mai un litigio, mai un’increspatura, tutto era sempre liscio come un mare senza vento fino a quando i due inseparabili si separarono: papà andò via con la sua amante, mamma restò sola con Simone ad avvelenare ogni istante delle sue giornate. Crebbe con un grande senso di colpa, pensando che se non avesse detto alla mamma di aver visto papà con un’altra donna tutto sarebbe rimasto fantasticamente felice.
Da quel momento qualcosa in lui si era spezzato, per non soffrire preferiva una sofisticata bugia alla verità. Quando suo cugino si separò dalla moglie gli disse:
-Non c’è peggior sofferenza che la rivoluzione del cuore, ti sovverte ogni pensiero, ti comanda e tu sei schiavo di un padrone che non accetta di trattare, sei un burattino come me adesso in mano ad un tiranno. A quel tempo era depresso, la situazione gli aveva lasciato una ferita che non accennava a rimarginarsi, così quelle parvero parole malate, guidate dal dolore.
Ultimamente Laura lo aveva paragonato più volte al cugino, ma era solo per farlo inquietare, perché pur essendo certamente un brav’uomo era più noioso di una mosca.
-L‘amore vero non si può far sparire come una parola scritta su una lavagna.
Quella frase detta da Laura ora gli graffiava il cuore, ma gli dava anche speranza. Doveva esaminare con freddezza la situazione, lei forse lo stava mettendo alla prova, comunque non poteva sbracciare, doveva avere un piano preciso.
Disciplina mentale e calma, se lo ripeteva come un mantra, intanto era al secondo pacchetto di sigarette che accendeva e poi lasciava distratto sole a consumarsi. Laura faceva saltare il banco e se ne andava, era stanca, diceva che non c’era più stupore tra loro, niente solo un microfono e uno specchio dove ognuno parlava a se stesso.