Buon compleanno Pt.4

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[MI174] Vita in clessidra - Costruttori di Mondi



Buon compleanno Pt.4



Trascorsero i mesi e giunse l'estate, nulla di nuovo pareva accadere.
La vita dentro e fuori la mia azienda scorreva nei binari di una scontata normalità, io continuavo ogni mese a far trovare sulla scrivania di Martina la mia rosa anonima.
Quella era l'unica cosa a dare alla mia monotona esistenza un brivido d'emozione.
Qualcosa però si era mosso: era il mutato atteggiamento, verso di me, tenuto dalla Signetti.
Lei che da quando era in azienda mi aveva praticamente ignorato, improvvisamente pareva essersi accorta della mia esistenza.
La Signetti era la nostra Segretaria di Direzione: una donna assai risoluta, abituata a prendere ciò che desiderava, non esitando a impiegare qualsiasi mezzo.

Era entrata in azienda, fresca di Laurea, nello staff della precedente Segretaria di Direzione, col ruolo di semplice dattilografa e passacarte, o addetta a portare il caffè al Presidente.
In capo a due anni era divenuta la prima segretaria dell'ufficio, solo la decennale Segretaria di Direzione era suo diretto superiore.
Ma quest’ultima, a dispetto dell’anzianità di onorato servizio, aveva visto concludersi bruscamente la propria carriera: venne rimossa dal suo incarico e licenziata per essersi macchiata d’una grave infedeltà aziendale.
La causa della drammatica risoluzione del rapporto di lavoro, fu dovuta alla sparizione di un plico riservatissimo, conservato nella cassaforte dell’ufficio di direzione e inspiegabilmente scomparso.
Il corposo dossier conteneva lo studio strategico, per una nuova linea, da sviluppare con mono marchio, attraverso una catena di negozi sul territorio nazionale.
Quel progetto, venne in seguito realizzato da un nostro concorrente diretto, nella stagione successiva.
Fu evidente che vi fosse stato un plagio palese, dovuto alla trafugazione del plico segreto: l’azienda ne subì un danno di gravità incalcolabile.

La vecchia Segretaria di direzione, era l’unica, oltre al Presidente, ad avere accesso alla cassaforte: solo per l’oggettiva mancanza di prove fisiche del furto, non si procedette con un’azione legale verso di lei.
Ad accusarla fu, ovviamente, la sollecita Signetti.
Non si seppe mai attraverso quali prove, ma certamente dovette produrne di assai convincenti a sostegno dell’accusa.
Tanto convincenti che, dopo l’estromissione della vecchia dirigente, lei ne rilevò il posto.
I più maligni, dissero che il Presidente l'avesse presa in gran simpatia per qualità che esulavano dalle sue capacità professionali: giunsero perfino a insinuare che avesse ordito una subdola macchinazione, per eliminare dalla sua strada la precedente direttrice.
In ogni caso, da quel momento, divenne una sorta di braccio destro del Presidente: una “Domina maxima”, che regnò incontrastata con inflessibilità e pugno di ferro, su tutti i livelli dell'azienda.

La Signetti era depositaria di tutti i segreti aziendali: ogni documento riservato che entrava o usciva dall'ufficio del grande capo, passava sotto i suoi occhi e veniva da lei catalogato, protocollato e archiviato, oltre che letto e memorizzato.
Ma il suo compito non terminava nel disbrigo delle pratiche correnti: che lo avesse assunto autonomamente, o glielo avessero attribuito per volontà superiore, con grande solerzia divenne l'occhio immanente del vertice padronale, calato sulla vita dell'Azienda.
Nulla di quello che avveniva negli open space della società, poteva sfuggire alla sua conoscenza: si diceva che neppure nel chiuso dei bagni si fosse invisibili al suo sguardo.
Tant'è che i dipendenti, quando vi si recavano spinti da impellenti necessità fisiologiche, pare lo facessero con una sensazione di disagio: quasi sentendosi spiati nell'atto di denudare le proprie pudenda.

Più temibile pantera che donna, sapeva comunque presentarsi assai bene: prossima ai trent’anni, dotata di lunghe gambe che valorizzava con calze di seta fumè col filo posteriore, come divisa d’ordinanza, nella stagione invernale, vestiva eleganti tailleur in lana pettinata blu notte, che mutavano in fresca tela di lana, nelle stagioni più calde.
Le gonne, portate quattro dita sopra il ginocchio, erano un tubino che esaltava il perfetto disegno di glutei marmorei che madre natura gli aveva conferito.
Immancabili le camicette di seta lucida color ghiaccio, o in fresca popeline bianca, regolarmente indossate con i primi bottoncini aperti sul petto: quel tanto da lasciar intravedere un'idea di raffinato balconcino, a sostegno di un seno di pregio estetico, e un candido filo di perle cinte al collo.
La Signetti aveva sempre un'aria assorta, evocando una mente perennemente attiva nel concepire misteriosi progetti; certamente atti a guadagnarle maggior visibilità e potere nella scala gerarchica aziendale.

Gli occhi chiari e algidi suggerivano un abisso di perfidia prossima alla crudeltà, averli addosso faceva correre un brivido d'inquietudine lungo la schiena.
Guardandola sfilare a passo rapido tra le corsie dei reparti, con la sua falcata su un décolleté in vernice a tacco 12, puntando come un laser ogni forma di vita sul suo cammino, portava a immaginarla come un’attenta entomologa, intenta a studiare la fauna aziendale.
Ti faceva pensare che, come per le farfalle raccolte per una collezione, avrebbe trovato piacere nell’infilzare con spilli quelle inermi “risorse umane”, per poi catalogarle e raccoglierle in apposite teche di vetro.
Era dotata di un potere enorme, non scritto in nessun organigramma, ma a vederla sortire sempre un po' accaldata, anche in pieno inverno, e col capello visibilmente in disordine, dall'ufficio del Presidente, veniva una mezza idea, sulla natura e l'origine di quel potere.
Lei non si curava dei pettegolezzi e delle cattive dicerie, era superiore a quello stuolo di meschini insetti umani, che trascinavano le loro insulse esistenze in simbiosi con le loro scrivanie, e si scollavano dalle loro seggiole ergonomiche, solo per ossequiarla servilmente al suo passaggio.

La mutazione percepita nell’atteggiamento della nostra Segretaria di Direzione, verso di me, era nata durante una pausa pranzo, mentre si era casualmente insieme davanti al distributore a gettoni del caffè.
Presa da una rara vena colloquiale, si concesse una pausa d'insolita
filantropia e ignorando per un attimo il mio rango d'invertebrato, si degnò d’elevarmi a interlocutore umano, dando vita allo scambio di alcune amene chiacchiere.
Il discorso, tra varie inezie, virò a un certo punto nel rammentare cose passate della vita aziendale.
Non saprei dire come, ma a un certo punto si cadde sulla persona di Martina.
Sapendo che nel lavorava insieme, tra noi vi era stato un buon rapporto, mi chiese se la sentissi o vedessi ancora: ovviamente, risposi di sapere solo in che azienda fosse finita, che non ci si incontrava e che non ne avevo notizie da lungo tempo.

Fece uno strano sorriso che non decifrai, quindi rivelò d’essere meglio informata di me: pareva, infatti, che il marito della Signetti lavorasse nella stessa azienda della nostra ex collega.
Aggiunse con un risolino di malizia, che il suo consorte, non solo apparteneva alla stessa azienda, ma anche allo stesso ufficio di Martina, occupando una scrivania prossima alla sua.
Sentirle pronunciare il nome di Martina, mi creava un subbuglio interiore, che il marito potesse guardala in viso ogni mattina, mi procurava una fitta d’invidia.
Poi, con aria divertita, introdusse un elemento di “gossip" nella narrazione: mi confidò che la bella Martina, pareva possedere un ammiratore sconosciuto.
Il quale, mi disse, le faceva recapitare ogni mese, nella stesse data, una rosa rossa a gambo lungo sulla scrivania.
Martina, si era inutilmente chiesta chi mai potesse essere il galante ammiratore segreto: aveva, inutilmente, interrogato il fioraio che consegnava la rosa, affinché gli rivelasse il nome del misterioso cliente, ma lui, per etica professionale, aveva rifiutato di rivelarlo.

Finsi una sorpresa di circostanza: mi mostrai tiepidamente divertito, per simulare di condividere quel buon umore che la storia sembrava donarle.


(Continua)
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