[LMI172-Fuori Contest] La scelta Pt.4

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[MI173] Over temperature - Costruttori di Mondi



La scelta Pt.4



Decisi di uscire con un’ora di anticipo dall’ufficio per passare a prenderla. Alle diciassette e quindici ero in auto diretto verso la pasticceria Peyrano-Pfatisch, in corso Vittorio.
Non mi andava di presentarmi a mani vuote, questa volta, anziché una rosa le avrei donato dei cioccolatini: quelli prodotti nella storica pasticceria erano rinomati per qualità del prodotto e raffinatezza della confezione.
Quanto meno ero certo che questi li avrebbe mangiati, senza conservarli come ricordino fra le pagine di qualche libro.
Fatto l’acquisto, lasciai l’auto nel parcheggio a pagamento di corso Re Umberto: avventurarsi nelle vie del centro, per trovare posto a quell’ora, era un’impresa folle.
Regalino infiocchettato in mano, mi diressi all’appuntamento: il luogo si trovava in una traversa della via Lagrange a meno di duecento metri.
L’ufficio notarile era situata in un prestigioso palazzo d’epoca: un edificio austero, con pavimenti in marmo pregiato e passatoia rossa nell’androne.
Ciò che accomunava questi antichi palazzi padronali era il profumo intenso di cera, con cui tiravano a specchio i pavimenti e le boiserie lungo le scale.
Classico odore d’alta borghesia sabauda o nobiltà decaduta che ti ispirava soggezione, come l’aroma d’incenso in chiesa.
Targhe di studi professionali in lucido ottone, campeggiavano su una parete laterale, nella quale si apriva un portoncino con elegante vetrata inglese.
Erano ormai le diciotto, quindi suonai al campanello del nominativo indicatomi.

Una manciata di attimi: la sua voce risuonò nel ronzio del citofono:
- Chi è?
- Ciao Roberta, sono qui. Ti aspetto.
- Ciao, No. Vieni pure su: sono sola. Secondo piano.
Lo scatto dell’apri porta non mi lasciò replica.
Feci a meno dell’artistico ascensore stile liberty, posto al centro della tromba delle scale, con una veloce ginnica escursione mi trovai davanti alla porta dello studio: lei mi attendeva sull’uscio.
Mi fece entrare e chiuse la serratura a doppia mandata.
- Non ci disturberà nessuno fino alle ventidue di questa sera, quando verranno per le pulizie. - Disse in un fiato, con aria complice.
Le porsi la scatola dei cioccolatini: la prese sorridendo e la posò sulla consolle in stile impero al nostro fianco.
- Grazie sei sempre gentile.
Poi mi mise le braccia al collo e mi stampò le labbra sulla bocca.
Era molto decisa, addirittura travolgente: restai con le spalle alla porta per non perdere l’equilibrio.
Risposi a quel bacio con passione, più per autodifesa che per un trasporto realmente avvertito.
- Lo vedi? - disse - Sono molto cambiata.
Era vero! Aveva imparato a baciare alla perfezione, inoltre, non vi era più traccia della ragazzina titubante che avevo conosciuto: ora avevo di fronte una giovane donna consapevole e decisa.

Ero spiazzato: l’atteggiamento sicuro, quasi paternalistico, usato nel nostro primo incontro, aveva lasciato posto alla sensazione di trovarmi su una precaria barchetta in mare aperto, mentre le onde si facevano alte e impetuose.
- Ma la nostra cioccolata? - Chiesi cercando un tono frivolo.
- La prendiamo un’altra volta. - rise - Se vuoi mangiamo i tuoi cioccolatini.
Mi prese per mano conducendomi per il lungo il corridoio: disse che voleva mostrarmi il suo posto di lavoro.
Il profumo di cera d’api del parquet bruno e degli scuri arredi classici, davano all’ambiente l’idea di un tempo fermo da qualche secolo.
L’archivio, dove mi introdusse, era un orme stanzone con soffitti alti, caratteristica comune a tutti i vecchi palazzoni barocchi del centro città. File parallele di scaffali metallici, zeppi di faldoni e raccoglitori per documenti, si elevavano a sfiorare il tetto della stanza.
Qui l’odore di cera lasciava il posto a quello stantio delle vecchie biblioteche e della carta stagionata
C’erano due lunghi tavoli da lavoro ingombri di carpette, illuminati da una finestra: sotto di essa, affiancata da una bassa cassettiera su cui stava una macchina da scrivere, vi era una piccola scrivania.
Era la sua esigua postazione di lavoro: costituita da un sottomano in pelle, un cilindro portapenne, una lampada da tavolo e un telefono.
- Dunque, questo è il tuo regno? - Chiesi brillando d’ovvietà.
- Sì, come vedi è la parte meno prestigiosa del reame. - Rispose ironica, ma con naturalezza, senza ombra di scontento.
Nel seguirla avevo valutato i suoi mutamenti esteriori: si era raffinata. Vestiva un sobrio chemisier blu notte, chiuso da una sequenza di bottoncini perlati, un moderno taglio di capelli a trapezio con frangia; il trucco era discretto, e tra gli effluvi presenti nell’ambiente, non sentivo più traccia del mefitico profumo Charly.

- Davvero credevi che saremmo andati a bere una cioccolata? - Disse con un sorriso velato di malizia.
Annuii, sentii un perfetto cretino.
Poi, con flemma, fissandomi negli occhi, iniziò a sbottonare la lunga fila di bottoncini dell’abito.
Il sangue iniziò a pulsarmi nelle orecchie: ineluttabilmente stava accadendo quello per cui, in definitiva, avevo desiderato conoscerla fin dal primo momento.
Era questa la ragione, nonostante le balle che mi ero raccontato per convincermi di mille altre fiorite intenzioni.
Avevo davanti agli occhi i gesti e le movenze della ragazza che era stata a quella finestra, senza la musica silenziosa che allora accompagnava la sua esibizione.
La cosa che mi dava disagio era che in ciò che stava avvenendo fosse lei a condurre il gioco.
La mia prosopopea di adulto navigato, si dissolveva davanti all’iniziativa audace di una ragazza di vent’anni che aveva deciso di sedurmi.
Dentro mi sentivo disarmato, regredito a un quindicenne alla sua prima esperienza, davanti a una donna che si denudava.
Lentamente, senza pudore, si liberava degli abiti, ma, tra i due, ero io a sentirmi spogliare.
Sapevo che termine di quel lento spogliarello avremmo scopato.
Tutto accadeva come in un film già scritto e visto, solo che non era uno spettacolo su uno schermo: era la realtà.
Con grande sconcerto sentivo di non essere pronto.
La mia mente apprezzava quanto mi stava offrendo: un sogno erotico che si materializzava, ma quel corpo generoso che mi aveva intrigato non si traduceva in uno stimolo fisico.
Non ero mai stato uno da una botta e via, non comprendevo quelli capaci di passare da una donna all’altra collezionando scopate, con l’indifferenza di chi cambia la propria cravatta; ero certo che se fossi stato con una prostituta avrei gettato inutilmente i miei soldi.
Non ero da sesso estemporaneo, mi necessitavano l’empatia della mente e dei corpi.
Forse dopo quindici anni di sesso con la stessa donna non ero pronto a un tradimento, consumato in un luogo tanto insolito e con una donna incontrata due volte.

I suoi indumenti giacevano ormai ai suoi piedi.
- L’ho desiderato dal nostro primo appuntamento. - disse - Avrei voluto fossi tu il primo. Ma non è andata così. - Aggiunse con un anelito di nostalgia.
Queste parole mi suonarono così sincere che mi scossero: non avevo davanti una donna con fantasie trasgressive, ma una ragazza che si era innamorata di me, e lo confessava.
Un’onda di rimorso e tenerezza mi travolse.
Mi avvicinai e la strinsi tra le braccia.


(Continua)
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