Alice Pt. 3

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[MI 162 Fuori concorso] Il santone - Costruttori di Mondi


Alice Pt. 3


Sediamo fianco a fianco su questo divanetto che è stato progettato per accogliere il culone di un obeso o alternativamente di due acciughe inappetenti: di fatto siamo costretti a stare incollati come se fossimo cosparsi di Bostik.
Mica mi lamento, benedico il designer che lo ha creato permettendoci di stare vicini come due gemelli in una placenta.
Sono più emozionato nell’averla accanto in questo momento che ieri, quando ho fatto i salti mortali per conoscerla e convincerla a essere qui stamattina.
- Sai, sono così felice che tu sia riuscita a venire. - Le dico, mentre sorseggio il drink alcolico - Ti ho pensato ogni momento fin da quando ci siamo separati a scuola.
Le parole mi escono goffe e tutte d’un fiato, non sono mai stato bravo a fare discorsi sentimentali a una donna: sono così turbato che rischio di strozzarmi con la bevanda che mi va di traverso.

Lei non risponde, sorride con gli occhi, poi posa il bicchiere sul tavolino e mi affonda le mani nei capelli, unendole sulla nuca.
Vengo attratto verso le sue labbra come un piccolo satellite da un grosso pianeta: sono carnose quanto le mie, quando si congiungono è un trionfo di turgore e velluto.
Limoniamo a occhi chiusi col trasporto di due Bonobo in amore, vorrei abbracciarla fino a toglierle il respiro, ma ho una mano impegnata dal bicchiere e non posso farlo;
cerco a tentoni il piano del tavolino alla mia sinistra,  ma calcolo male la distanza: quando lo lascio piomba silenzioso sulla moquette, spandendo il liquido e una moltitudine di cubetti di ghiaccio intorno i nostri piedi.
Non ce ne avvediamo neppure, abbiamo altro di cui occuparci.
La  stringo in un abbraccio impetuoso, la bacio con una foga vorace, provo il desidero atavico di mangiarla tutta con le labbra.
Continuiamo con lingue che si annodano frenetiche, golose di quel contatto celestiale, in breve abbiamo labbra umide, tumefatte da quel lavorio selvaggio di mucose, i volti sono congestionati di un rossore vitale e un calore simile a febbre ci infiamma.

“Cazzo! Io la amo questa donna, la amo!” Mi ripeto in una tempesta gioiosa di emozioni e ormoni furiosamente orbitanti, il sangue pulsa con un ritmo martellante alle tempie: ci siamo solo noi, avvolti dalla musica e da questo trionfo dei sensi che cancella il resto del mondo.
Travolti dalla nostra urgenza amorosa, scomodamente, ci allunghiamo sull’esiguo divanetto: baci e carezze divengono più incandescenti, ci cerchiamo con mani ansiose di possesso, spingendole in esplorazioni sempre più intime sotto strati di vestiti.
Posso dirlo senza indugio, lei possiede il più bel paio di tette che mi sia mai capitato di avere tra le mani: voluminose, ma senza eccesso, plastiche e toniche al tatto, con capezzoli sporgenti e solidi come nocciole.
Possiede un’epidermide serica, di grana fine, una pelle da ricchi, sforarla mi dà un piacere tattile prossimo all'estasi: non porta reggiseno perché le stanno su sfidando qualsiasi legge della gravità.
Ci affondo viso e labbra, inebriato dal tepore della sua carne, dal suo sapore invitante, dal suo profumo che satura le mie narici con una promessa di infinite delizie.
Se Adamo si era giocato l’Eden per una donna così, lo capivo: il suo paradiso, se era simile a questo, lo aveva già guadagnato e lo stringeva tra le mani.

Dopo una decina di minuti tiriamo il respiro: usciamo per un attimo dal nostro appannamento sensuale ritrovando il senso del reale.
Senza neppure dircelo, ci rendiamo conto che stiamo rischiando di scopare qui, nel mezzo dalla moltitudine che affolla il locale, questo piccolo separé non assicura nessuna reale intimità.
- Andiamo nei bagni, che ne dici? - Propongo ansante.
Lei non risponde, infila la camicetta dentro la cintura, tira su la zip dei jeans, rassetta alla meglio i capelli e prende la mia mano perché la segua.
Raggiungiamo i servizi al fondo del locale, ma già sulla soglia la delusione è cocente: siamo stati troppo ottimisti, l’antibagno sembra un raduno d'indigenti in fila davanti alla cucina della Caritas.
Ci saranno una trentina di persone: coppie di amiche, coppie di fidanzati, single di entrambi i sessi e una buona metà di tossici in attesa di farsi una spada o un tiro di coca in luogo appartato.
Delusi come per una doccia fredda fatta a gennaio, ce ne torniamo al nostro divanetto senza nascondere un filo di depressione.

Ci siamo necessariamente calmati, ma ogni bacio rischia di far nuovamente avvampare la brace coperta ma non spenta.
Per distrarci ordiniamo dei caffè e accendiamo una canna.
Discorriamo a lungo, di molte cose, ascoltando la musica e godendo del nostro stare l’uno nelle braccia dell’altra, parliamo molto di noi e del futuro, è presto per dircelo, ma dentro noi è evidente che lo immaginiamo insieme.
Il tempo della mattina scorre rapido, troppo rapido, come sempre è il tempo che ci vede coinvolti in qualcosa che ci rende felici.
La nostra voglia di stare insieme è ormai pressante e improrogabile, dobbiamo ritrovarci il prima possibile: stare insieme da soli, in un luogo sicuro e appartato e senza i minuti contati.
Vogliamo qualcosa di più di quel nostro pomiciare di questa mattina, dobbiamo fare l’amore in maniera completa e soddisfacente.

Cerchiamo di capire dove e quando sarà possibile.
Per il posto non c’è problema: chiederò le chiavi della soffitta a Giulio, per il tempo l’unica cosa che possiamo fare è di “tagliare” da scuola insieme in una giornata in cui abbiamo lezione sia al mattino che al pomeriggio.
Così possiamo chiuderci in soffitta dalle nove del mattino alle diciotto del pomeriggio, facciamo l’amore per nove ore di fila con una sola pausa di mezz’ora a fine mattina per nutrirci frugalmente e ricaricare le energie.
Concordiamo che questo potrà avvenire dopodomani, perché domani sarà il primo giorno di ripresa delle lezioni dopo lo sciopero e ci sarà lezione sia la mattino che al pomeriggio, inoltre entrambi abbiamo una verifica con compito in classe, io di matematica e lei di letteratura, a cui non possiamo mancare.
Per sicurezza restiamo intesi che domani a fine lezioni ci becchiamo per confermarci che non ci sono problemi e la cosa si potrà fare.
Abbiamo firmato la promessa reciproca di portare a compimento questo nostro progetto limonando allo sfinimento.
A fine mattina Giulio è venuto a darci la sveglia, perché il locale stava chiudendo i battenti del matinée e fra un po’ sarebbero arrivati gli inservienti a buttarci fuori.
Separare due sanguisughe sarebbe risultato più facile: ha minacciato di spararci con un idrante per spegnere i nostri bollenti spiriti e farci staccare.

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La mattina seguente, lo sciopero è finito, i bidelli sono ancora impegnati a ripulire l’enorme quantità di rifiuti lasciati in ogni angolo della scuola da questi giorni di festosa e pacifica occupazione.
Ieri quando siamo usciti dal locale ho chiesto in prestito a Giulio la soffitta: in serata è passato a mollarmi le chiavi.
Ho fatto tappa in farmacia per rifornirmi di tre confezioni di profilattici, al contrario di Taro Cap, io sono tradizionalista, diffido dalla chimica e mi affido alla vecchia collaudata meccanica: un cappuccio, se non forato, è più affidabile di mille pastiglie.
Mi sento soddisfatto, tutto perfetto, liscio, da organizzazione svizzera, ho solo un filo d’ansia in sottotraccia: vorrei fosse già fine pomeriggio o domattina, per avere alle spalle il tempo dell’attesa e il timore che nasca qualche impiccio imprevisto a rovinare questa cosa bella.

(Continua)
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