Quattro centimetri e mezzo (cap. 2)

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Commento.

Ecco il primo capitolo della mia storia! Dico ‘primo’ nonostante il titolo del thread dica «cap. 2» perché quello che ho indicato allora come primo capitolo è in realtà un cortissimo prologo. Per chi volesse leggerlo, questo è il link; per chiunque sia un nuovo lettore, la mia è una storia la cui protagonista è Marina, una ragazza nata minuscola (è altra solo una manciata di centimetri) in una famiglia altresì normale che vive nel nostro mondo moderno e realistico. La storia segue la sua vita quotidiana, le sue avventure e la sua crescita interiore in un mondo per lei gigantesco e pericolosissimo.

 
      Il viaggio verso la cucina non era mai semplice. Ciò che occorreva era la prestanza, sia fisica che mentale: la prima per coprire l'intera lunghezza del tragitto, e la seconda per fronteggiare prontamente qualsiasi tipo di ostacolo potesse capitarle davanti. Marina ormai non ci pensava quasi più, ma ciò che lei faceva ogni mattina era paragonabile a quello che un alpinista, un marinaio o un esploratore potevano forse fare non più di dieci, quindici volte nella vita. La pelle che loro rischiavano per una vetta himalayana, un mare tropicale o una foresta africana, infatti, lei la rischiava ogni mattina soltanto per andare a mangiare.
      Tutto cominciava con una lenta scalata verso il basso. Il monitor del computer presente sulla scrivania sopra la quale dormiva era collegato al pavimento tramite un cavo nero, che si adagiava delicatamente sulle piastrelle prima di ricurvare su e inserirsi in una presa elettrica. Marina non aveva bisogno di scale o ascensori: sin da quando era bambina, e la sua altezza si poteva ancora misurare in millimetri, arrampicarsi era ciò che le veniva più naturale tanto quanto per i pesci lo è nascere in acqua e nuotare. Basti dire che le ci volle più tempo per raggiungere a piedi la parte posteriore della scrivania che per calarsi giù da questa lungo il cavo, benché quest'ultimo scendesse all'ingiù—dalla sua prospettiva—per quasi una trentina di metri. Toccò il pavimento nei pressi della presa, in un groviglio di cavi fra muro e scrivania. Cominciò subito a tossire a causa della polvere accumulata, che era sempre troppa per i suoi piccoli polmoni; e questo non fece altro che farle allestire il passo ancor più in fretta per allontanarsi il prima possibile dal retro della scrivania.
      Il pavimento della sua stanza, nonché della casa in generale, era al contempo il suo regno e il suo terrore. Era il suo regno, perché ogni stanza o corridoio della casa aveva delle sezioni sui lati chiaramente evidenziate con del nastro adesivo giallo, e coperte da una tettoia in scala fatta di ferro: lì camminava lei ogniqualvolta doveva spostarsi da una stanza all'altra. Ma era anche il suo terrore, per motivi altrettanto ovvi. ‘Non è peggio di chi cammina in strada’, si diceva per darsi coraggio mentre procedeva avanti: muoversi da sé era uno dei pochi modi che aveva per rendersi indipendente dai propri genitori e mostrarsi della sua età nonostante le dimensioni del suo corpo, e non vi avrebbe mai rinunciato nonostante la paura. Al massimo si rincuorava pensando al fatto che nemmeno un pedone che cammina sul marciapiede è del tutto al sicuro dalle macchine che corrono in strada; e così come il rischio aumenta di molto quando la strada la si attraversa, ma lo si fa in sicurezza in punti specifici e ben segnalati, così faceva lei quando doveva raggiungere il muro opposto passando per le sue strisce pedonali personali, dipinte anch'esse in scala in diverse zone del pavimento.
      Uscita dalla stanza, cominciava l'incognita più grande: la camminata lungo il corridoio. Questa, che in base a quanto aveva dormito la notte precedente durava solitamente dai cinque ai dieci minuti, poteva rivelarsi una semplice scampagnata o una trappola mortale. Nel punto intermedio del tragitto, a metà strada fra la porta della sua stanza e quella della cucina, si sarebbe trovata perfettamente scoperta, senza alcun riparo oltre la tettoia e a più di due minuti di distanza dalla porta più vicina. Se le si fosse parato davanti qualcosa in quegli attimi, da una vespa a—non sia mai—uno scarafaggio, non avrebbe potuto fuggire o chiamare aiuto. Certo, le probabilità che una cosa del genere succedesse erano molto basse: senza contare che alle finestre di tutte le stanze della casa, da cui filtrava la tenue luce del mattino, erano rigorosamente fissate delle zanzariere per impedire anche alla più piccola mosca di entrare. Realisticamente parlando, Marina non avrebbe incontrato anima viva all'infuori dei propri genitori in quel corridoio. Loro, o il fratello.
      Un'ombra la investì, e una scarpa da tennis gigantesca cadde sul pavimento accanto a lei appena al di fuori della zona protetta riservatale.

      «Marina?» tuonò una voce dall'alto, mentre la mini-ragazza si teneva una mano sul petto dopo aver sussultato per un istante. Era Luca, suo fratello minore.
      «Ciao...» gli rispose lei con voce timida, sporgendo la testa oltre la zona delimitata dalla tettoia e salutandolo con un cenno della mano: non avrebbe potuto sentirla dal pavimento, quindi non poteva limitarsi al solo parlare.
      Il ragazzo fece altrettanto, ma con un gesto più indifferente e interrotto a metà; poi tirò dritto, e in due secondi fu già dentro la cucina.

      Per Marina ci volle più tempo; ma non solo per via di quanto fosse piccola. La verità era che il suo viaggio era qualcosa che nemmeno la sua famiglia conosceva interamente. Marina aveva scoperto, già da qualche mese, una piccola fessura tra il muro del corridoio e il coprifìlo in legno della porta della cucina. Un'apertura impossibile da notare a occhio nudo, ma non per lei. Se la si attraversava, questa portava comunque all'interno della cucina: ma Marina veniva così nascosta dalla porta stessa, che la mattina a colazione era spalancata e si apriva verso l'interno della stanza. La porta formava così un piccolo triangolo scuro e polveroso coi due muri adiacenti: ed era un posto tutto suo, una specie di rifugio segreto che conosceva solo lei. Chi altri in quella casa, se non la ragazza alta una manciata di centimetri, poteva reclamare quell'angolino di cucina per sé e farne l'equivalente di una casetta sull'albero personale?
      Come se non bastasse, da qualche giorno Marina aveva più di un motivo per andare lì la mattina. Anche quella volta entrò lesta nella fessura, e tossì ancora e più di prima a causa della polvere; ma tirò comunque dritto.
      «Dove sei?» chiese con voce roca una volta uscita dall'altro lato, forte del fatto che dal pavimento, e in particolare da una parte così nascosta della stanza, nessuno potesse sentirla. Si udì piccolo suono; qualcosa si avvicinò.
      «A-ah! Eccoti qui!» Marina gioì. Un piccolo ragno si era appena avvicinato a lei.
      Non si fece problemi a toccarlo, e lo accarezzò quasi come fosse un cane o un gatto; il ragno, dal suo canto, non la attaccò: benché alta solo quattro centimetri e mezzo, era comunque più grossa delle prede cui era abituato. Si limitò a zampettare su di lei, cosa che Marina interpretava come il suo modo di dirle che era contento di vederla. E quando questo le si staccò di dosso e tornò per terra, Marina prese a seguirlo come già aveva fatto nei giorni precedenti. Si stava dirigendo verso una zona ancora più priva di luce e impolverata, direttamente sotto uno dei mobili accanto al frigorifero. Era lì che aveva la sua ragnatela.
      Ma da lì sotto era impossibile anche per Marina, di converso, capire per bene ciò che i suoi familiari stavano dicendo.

      «Comunque... Marina dov'è?» chiese sua madre al fratello, dopo avergli porto la colazione sul tavolo. Non le era sfuggito che da qualche giorno la figlia aveva cominciato a ritardare un po' la mattina, e temeva che avesse qualche problema: se fosse dipeso da lei, l'avrebbe trasportata a mano dalla sua stanza alla cucina tutti i giorni.
      «Era in corridoio, sta arrivando» rispose lui disattento, mentre controllava il cellulare con una mano e intingeva i biscotti nel latte con l'altra.
      «E com'era? Tutto normale?» ancora preoccupata, chiedeva.
      «Certo, che vuoi che ci sia?» lui invece rispose un po' stizzito, quasi infastidito dalla discussione. «Appena arriva, la vedi alla porta».
      La madre cercò di calmarsi. Non voleva sbirciare oltre la porta e dare un'occhiata al corridoio, perché a causa della tettoia in miniatura avrebbe dovuto mettersi in ginocchio per controllare chi c'era sotto: Marina l'avrebbe vista, e non prendeva bene l'essere trattata come se fosse totalmente incapace anche soltanto di spostarsi da una stanza all'altra. Inoltre, il figlio non aveva tutti i torti: per entrare in cucina non poteva che passare dall'uscio. Prima o poi l'avrebbe vista arrivare.
      «D'accordo» disse allora, adocchiando comunque il pavimento per sicurezza. Tra le gambe di uno dei mobili intravide dei fili luminescenti. Era una ragnatela.
      «Di nuovo...» si disse. «Luca, prendimi una scopa».
‘La vita di una ragazza alta poco meno di un pollice nell'Italia dei nostri giorni, tra quotidianità e desiderio di realizzare sé stessi.’
(Quattro centimetri e mezzo, su EFP Fanfiction)

Re: Quattro centimetri e mezzo (cap. 2)

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Salve, un capitolo molto bello e molto interessante, che approfondisce bene la protagonista e da un primo spaccato sulla sua vita quotidiana

Mi piace molto come hai iniziato a descrivere la personalità della ragazza, ed anche come fai emergere il rapporto ed i pensieri della madre e del fratello; dal punto di vista della trama, il finale mi pare che si debba collegare direttamente al prossimo capitolo, ottima cosa per tenere attento il lettore

Anche lo stile è molto pulito e lineare, semplice ma che fa capire alla perfezione cosa vuoi trasmettere; se posso, però, ci sono alcuni piccoli punti che non mi convincono del tutto, te ne faccio qualche esempio, ma dico subito che si tratta di un appunto molto soggettivo
Sakuminitan ha scritto: e questo non fece altro che farle allestire il passo ancor più in fretta per allontanarsi il prima possibile dal retro della scrivania.
non ho mai letto l'espressione "allestire il passo", grazie per avermela fatta scoprire; la frase mi sembra un po' ridondante, forse potresti semplificarla eliminando qualcosa, ad esempio: "non fece altro che farle allestire il passo, per allontanarsi in fretta dal retro della scrivania"
Sakuminitan ha scritto: senza contare che alle finestre di tutte le stanze della casa
quel "senza contare" mi da come l'idea che debba esserci un altro motivo, oltre alle zanzariere, che però non mi sembra sia espresso nel testo; forse ho letto di fretta io, ma non mi pare di averlo trovato nel testo
Sakuminitan ha scritto: e non prendeva bene l'essere trattata come se fosse totalmente incapace anche soltanto di spostarsi da una stanza all'altra
frase forse un po' pesante, che potresti alleggerire, magari in un modo del tipo: "non prendeva bene essere trattata come del tutto incapace di spostarsi da una stanza all'altra"

Ti rinnovo i complimenti, perché la storia è interessante e perché hai davvero un bello stile di scrittura 

Re: Quattro centimetri e mezzo (cap. 2)

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Ciao, @Bardo96! Ti ringrazio davvero per i complimenti, mi ha fatto molto piacere che tu abbia apprezzato questo capitolo.

Ti ringrazio altresì per i suggerimenti e le correzioni: a tal proposito, il ‘senza contare’ è riferito al fatto che le probabilità che un insetto potesse spuntare fuori e attaccarla sono basse, e in aggiunta a questo ho parlato delle zanzariere che abbassavano ancor più quella probabilità occupandosi di tener fuori anche tutti gli insetti volanti. I due capitoli successivi sono già scritti, ma prima di pubblicarli qui posso revisionarli: in questo modo, se ci fossero frasi altrettanto pesanti o convolute come queste che hai segnalato, le semplificherò prima di postare alcunché!

Infine, hai ragione sul cliffhanger finale che si collega direttamente alla parte che verrà: e come puoi intuire dall'ultima frase, non sarà affatto semplice per Marina scampare a ciò che la attende!
‘La vita di una ragazza alta poco meno di un pollice nell'Italia dei nostri giorni, tra quotidianità e desiderio di realizzare sé stessi.’
(Quattro centimetri e mezzo, su EFP Fanfiction)

Re: Quattro centimetri e mezzo (cap. 2)

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Ciao @Sakuminitan 

Questa seconda puntata del tuo racconto a capitoli, risulta certamente più esaustiva della prima, dove, come tu precisi, abbiamo letto solo una breve prefazione della storia che proponi.
Premetto che, come avevo già compreso da quella prima lettura fatta tempo fa, la tua scrittura è indubbiamente buona.
Il ritmo della narrazione e la sua fluidità rendono gradevole e interessante ciò che scrivi, quindi direi che sul piano tecnico non posso che complimentarmi.

Il racconto attiene al filone letterario della “Fantasy”, dove nello specifico la tua storia si posiziona in un’area che possiamo definire di moderna favolistica.

“Il passaggio dalla narrativa fiabesca e cavalleresca alla vera e propria letteratura speculativa si compì nel Diciottesimo secolo, allorché la cultura illuminista codificò il genere del romanzo realistico e, di conseguenza, attribuì uno spazio letterario specifico alla narrativa fantastica, in quanto rappresentazione di fenomeni non reali presentati come possibili. Fu dunque nel Regno Unito di età georgiana che vennero composti i primi testi speculativi in senso moderno, fra cui I viaggi di Gulliver (1725-1736) di Jonathan Swift, un testo satirico che parodiava i memoriali di viaggio.
Particolarmente importante in questo contesto fu il movimento romantico, che rispose al disagio sociale prodotto dalla Rivoluzione industriale con un rinnovato interesse per le tradizioni folkloriche pre-moderne; esemplari in ambito tedesco le Fiabe del focolare (1812-1815) raccolte dai fratelli Grimm.
Durante l'età vittoriana queste sperimentazioni, finalmente, si cristallizzarono nelle prime vere opere di letteratura fantasy, articolata sin dal principio in due filoni paralleli. Da un lato il recupero della fiaba popolare fu posto al servizio delle moderne teorie pedagogiche e risultò in romanzi fantasy dedicati all'infanzia, come Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie (1865) e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò (1871) di Lewis Carroll, Il meraviglioso mago di Oz di Lyman Frank Baum (1900), Cinque bambini e la Cosa di Edith Nesbit (1902) e Peter Pan di James Matthew Barrie (1904).”

Ciò detto il tuo mi pare un esperimento stimolante, perché il collocare la vicenda nell’attualità del nostro tempo, creando situazioni a cavallo tra realtà e racconto favolistico, non è certo cosa agevole.
Non lo è, a mio avviso poiché è assai difficile far collimare i due piani narrativi in cui si ambienta la storia, facendoli convivere nello stesso racconto.
Un racconto interamente fantastico regge la propria ragion d’essere nelle regole interne che lo animano, ovvero viaggiando sul binario di una realtà propria, non pone al lettore la necessità di giustificare elementi surreali o poco credibili della vicenda raccontata.
Non ci sogneremo mai, ad esempio, di domandarci da dove provenga un drago che sputa fiamme, in una favola che parli di draghi, fate, streghe, principesse e cavalieri.
Perché ci viene facile in quel contesto di racconto che tali elementi siano possibili e giustificati dal genere (fantasia/favola) a cui appartiene la storia.
Ma se ambientiamo una lillipuziana in un contesto ambientale e temporale, che trova aderenza con la vita reale in cui il lettore è immerso, sarà inevitabile porsi una serie d' interrogativi che riguardano la plausibilità del racconto.

Il primo che personalmente mi sovviene è di domandarmi, posto che sia possibile che una bambina di quattro centmetri e mezzo risulti figlia di normali genitori, non trovo giustificato che questi facciano vivere la loro creatura in una condizione di quotidiana durissima difficoltà.
Mi viene da pensare che in qualità di genitore, la prima cosa di cui mi preoccuperei sarebbe di garantire l’incolumità e il comfort per la mia figliola.

Questo è solo uno dei dubbi che attentano alla sostenibilità del tuo racconto, ma possono essercene decine.
Il problema succede proprio perché il racconto viaggia contemporaneamente su due binari paralleli (fantasia e realtà concreta) che non possono convergere.

Perdona questa lunga sbrodolata, ti ho esposto i miei personalissimi dubbi, sono altresì certo che questa problematica l’hai già affrontata nel progettare la tua storia, quindi nelle prossime puntate riuscirai a fugare ogni perplessità.

Torno a dire che scrivi molto bene.
Ciao, alla prossima.
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