Il seme dell’odio Pt.23

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Il seme dell’odio Pt.23



Torino - Vesna - settembre 1978


- 31 ottobre è il Capodanno di Satana. Dobbiamo preparaci a celebrarlo degnamente.

Questo annunciò Dragan a Vesna, alla fine di una loro cena nella prima settimana di settembre.
Si trovavano al tavolo di un rinomato, storico, ristorante posto in collina su Strada del Traforo del Pino.
La cucina era raffinata: la tradizione piemontese interpretata con riuscite L’ambiente era sobriamente elegante con un servizio impeccabile; il locale offriva una ventina di tavoli al coperto, ma il mite clima della serata settembrina aveva consentito di cenare sotto un gazebo dell’ampio giardino ancora guarnito di fiori.
Nello spegnersi il tramonto colorava le cose di una luce tenue, qualche stella si affacciava al firmamento che virava dal violetto al cobalto.
La sera appariva soavemente distensiva e profumata, piccole lanterne davano all’intorno una luce soffusa, una coppia di candele donava una suggestione romantica al loro tavolo.

Vesna non apparì sorpresa dall’annuncio, le sostanze che da tempo assumeva la disponevano a una continua condizione estatica.
Dragan le sorrise rassicurante: -  Ormai sei pronta per la tua iniziazione.
Hai qualche dubbio o ripensamento?
- Nessuno lo sai. Attendevo questo momento. - rispose lei con convinzione.
Brindarono a ciò che il futuro avrebbe riservato loro con uno
champagne brut rosé Veuve Clicquot ghiacciato.


Vesna provò un’ansiosa eccitazione, finalmente si profilava il momento nel quale avrebbe assolto al ruolo che Dragani aveva predisposto nel progetto che perseguiva.
Condivideva con entusiasmo il fine del suo maestro e amante, con lui avrebbe ottenuto tutto ciò che per molti restava un desiderio frustrato e irrelizzabile: felicità, ricchezza e potere; ottenuti in un patto con le tenebre.

Gli esercizi compiuti le davano coscienza del proprio potenziale psichico, avevano acuito la sua sensibilità, sentiva scorrere in sé quell’energia sotterranea che sua nonna le aveva fatto scoprire molti anni prima.
Si era però resa conto che i suoi insegnamenti erano poco più che blanda “magia naturale” intinta di “animismo": in sostanza la superficie mossa dal vento di un lago profondo quanto un abisso.



Torino - maggio 1980 - Parco del Valentino - Castello medievale


Il bambino era felice.
Felice di essere al parco col suo papà, felice che fosse libero dal lavoro per stare con lui tutto il giorno, felice perché stava in un posto da fiaba, in quel castello sembrava di essere dentro uno di quei film TV sui cavalieri antichi, con le corazze, le spade e i cavalli.
Poi era felice per il palloncino a forma di coniglio che aveva legato al polso, su cui il sole creava bagliori luminosi come piccole saette.
Correva a perdifiato lungo la via del borgo medievale, aveva fretta di raggiungere il nuovo luogo in cui nascondersi.
Questa volta non sarebbe andata come era successo quando avevano fatto quel gioco le volte precedenti:suo padre non l’avrebbe scoperto subito come al solito.
Sarebbe uscito dall’entrata al fondo della via con le botteghe, dove c’era un grande ristorante, poi si sarebbe nascosto dietro a qualche siepe.
Forse suo padre lo avrebbe un po’ sgridato perché gli aveva sempre raccomandato di non uscire dal borgo senza la sua compagnia, ma lui non
si sarebbe allontanato per più di un paio di metri, quindi all’arrivo del padre che lo cercava, sarebbe saltato fuori facendogli una sorpresa.
Era la prima volta che trasgrediva le regole, ma la cosa era divertente e suo padre di sicuro non si sarebbe arrabbiato
Del resto tutti i posti in cui nascondersi dentro il borgo era già stati usati, che gusto c’era a fare quel gioco sapendo già come finiva?
Un pizzico di novità per ravvivare la cosa non avrebbe guastato.

Quando fu fuori dal portale, col fiato grosso, si guardò intorno per capire dove nascondersi: in effetti non c’erano grandi posti dove farlo rapidamente.
Sul lato sinistro del viale c’era la siepe che costeggiava la riva del fiume, non era molto alta, inoltre superarla era pericoloso, di là scorreva l’acqua in piena, suo padre si sarebbe arrabbiato davvero se lo avesse fatto.
Alla sua destra si apriva un grande prato con aiuole fiorite e bassi cespugli, nulla di utile a nascondersi: sul volto del bambino si disegnò un’ombra di profonde delusione.
Si era già pentito di essere lì, aveva inutilmente trasgredito il divieto di suo padre, si sarebbe beccato una sicura sgridata, senza ottenere alcun esito per il suo scherzo avventuroso, pensò di tornare rapidamente sui suoi passi.

Però di fronte, a pochi metri sul viale sostava un furgoncino nero.
Un uomo stava seduto al posto di guida col finestrino aperto, fumava lentamente una sigaretta.
Gli venne l’idea di nascondersi dietro il veicolo, la sua sagoma era sufficiente a coprirlo, in fondo si trattava di allontanarsi dal portale di una decina di metri, non gli sembrò così grave, poi appena suo padre si sarebbe affacciato, lui sarebbe saltato fuori facendosi trovare.
Ritrovò il buonumore ed euforico, seguito dal suo palloncino sberluccicante, corse rapido verso il retro del furgone.
Si acquattò col cuore in tumulto, non erano molti i posti in cui nascondersi dentro il piccolo castello: li avrebbe controllati tutti rapidamente e non trovandolo si sarebbe diretto alla seconda uscita.
Mentre rifletteva si ritrovò al fianco l’uomo del furgone:
- Che stai facendo giovanotto? - chiese l’uomo.
Il bimbo lo guardò intimorito, ma l’uomo non pareva irritato, anzi aveva un’aria divertita, era solo incuriosito da cosa stava facendo.
Rinfrancato rispose: - Scusi signore, sto giocando a nascondino col mio papà, lui sta arrivando a cercarmi, posso restare solo un momento?
L’uomo sorrise, aveva un’aria cordiale e simpatica.
- Capisco, è uno scherzo al tuo papà. Certo che puoi restare.
Poi aggiunse: - Però con ‘sto grosso palloncino che ti galleggia sulla testa, ti farà “tana” subito. Facciamo così: apro il portello del cassone, tu sali e ti nascondi dentro, quando arriva il tuo papà salti fuori col tuo palloncino, così lo scherzo viene perfetto.
Il bambino valutò la proposta e gli parve geniale. I suoi gli avevano sempre detto di non parlare con gli estranei, ma questa era una cosa per ridere, poi quel signore era davvero gentile.
- Va bene signore, facciamo così, ma in fretta.
L’uomo aprì rapidamente il portellone, fece salire i piccolo invitandolo a sedersi sul pianale all’interno.
- Io mi chiamo Alexey - disse l’uomo sorridendo - e tu giovanotto?
- Io mi chiamo Julian. Julian De Petris, ho quasi cinque anni e il mio papà fa il poliziotto. - Rispose prontamente il bimbo con il petto gonfio di orgogliosa soddisfazione.
- Bene Julian, piacere di conoscerti. Si vede che sei un ragazzo in gamba e molto sveglio per la tua età.
Nel parlare aveva estratto dalle tasche del giubbino un fazzoletto piegato e una boccetta con un liquido chiaro.
Poi tolse il tappo alla boccetta e iniziò a bagnare col liquido il fazzoletto.
Julian pensò che stesse facendo quello che vedeva fare talvolta a suo padre quando versava della colonia sul fazzoletto nuovo per profumarlo. Ma quel liquido non sembrava profumo, anzi aveva un odore penetrante come di medicinale che dava fastidio a sentirsi.
- Ora Julian, mentre aspettiamo il papà, ci facciamo un sonnellino.
Disse l’uomo, mentre gli fermava la testa con una mano mentre e gli premeva l’altra in cui teneva il fazzoletto tra bocca e naso.
Non gli riuscì di gridare, fu costretto a respirare il liquido olezzante di medicinale del fazzoletto.
Fu preso da una vertigine di paura, iniziò inutilmente a dibattersi e scalciare, ma l’uomo aveva una presa ferrea: più respirava cercando ossigeno, più si sentiva sprofondare in un pozzo nauseante e buio.
Perse la sensazione delle membra, il vortice scuro e freddo lo rendeva sordo a tutto: pensò disperato a suo padre che lo cercava, al fatto che non sarebbe dovuto uscire dal castello né parlare con l’uomo, al suo palloncino che non sentiva più al polso.
Poi un freddo oscuro scese su mente e i pensieri.

(Continua)
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