Il dono portato dalla luna (Prequel di “Un dono venuto dal bosco”) Fuori contest - Costruttori di Mondi
Atrax robustus Pt.6
Mezz’ora dopo, quando i due amanti ebbero terminato le loro effusioni, lui aguzzò le orecchie per percepire i loro discorsi fatti a bassa voce.
Sentì sua moglie dire: – Non possiamo andare avanti così. È ora di prendere una decisione per porre fine a questa situazione.
L’altro taceva, lei continuò: – Non ne posso più di vivere con lui e vederci come ladri, di nascosto, qui in casa mentre dorme. Voglio vivere la vita che mi resta libera e con te.
Dopo un silenzio di riflessione, lui aveva ribattuto: – Ne abbiamo già parlato, amore. Lo sai che non ti concederà mai il divorzio, conosci bene come è fatto, soprattutto se poi scoprisse che intendiamo vivere insieme: sarebbe capace di ammazzarmi.
– Di’ pure che ci ucciderebbe entrambi, ovvio che lo conosco. Sotto quell’aria paciosa e innocua possiede un’anima possessiva e violenta, è un narcisista con la mania del controllo. Vivrebbe l’abbandono come un’offesa sanguinosa. – Fece una pausa, poi riprese: – In università possiede un potere enorme, sarebbe in grado di interferire con la mia carriera, rovinarmi sul lavoro. Mi ridurrebbe sul lastrico e, per me che posso vivere unicamente del mio stipendio, sarebbe un danno assoluto.
– In questo non devi preoccuparti, amore – rispose Luigi. – Ci sono io a pensare per tutti e due, i soldi non sono una preoccupazione.
– Certo, ma non è questo che voglio per la mia vita. Non accetterò di lasciarlo per divenire la tua mantenuta.
– Ma cosa dici? Io ti amo e tu saresti solo mia moglie, non certo una mantenuta.
– Tu parli bene ora, ma dimentichi che sei stato tu a lasciarmi nel mezzo dei nostri studi universitari. Mi hai distrutta, solo per questo ho dovuto in seguito accettare la corte di lui e divenire sua moglie, anche se non l’ho mai amato per un solo momento.
– Lo capisco, amore, ma allora ero un praticante di studio legale, dovevo ancora laurearmi e iniziare la mia carriera. Ero ambizioso e immaturo, ho fatto un grande errore, ma l’ho compreso nel primo momento in cui ti ho rincontrata. Ho compreso quanto fossi stato stupido e quanto tu sia importante per me.
– Io voglio la mia indipendenza economica e la mia dignità di professionista. Non accetterò mai che tu mi mantenga, che sia chiaro.
– Non vedo come potremmo fare altrimenti, allora, ragionaci, amore.
– Ci ho già ragionato, noi potremo stare insieme solo a patto che lui non ci sia più, che io diventi la sua vedova.
– Ma lui è vivo, e non mi pare che sia in cattiva salute. Vuoi aspettare che si spenga di vecchiaia, magari tra una ventina d’anni?
– No, infatti bisogna accelerare la cosa.
– Cosa intendi con queste parole, cosa significa “accelerare la cosa”?
– Che aumenterò la dose di Secobarbital nella bevanda, fino a renderla mortale. Si addormenterà e passerà dal sonno alla morte senza accorgersene. Quella roba è assai forte e la usano per il suicidio assistito, quindi è l’ideale.
– Tu sei pazza! Come puoi credere che non scoprano che l’hai ammazzato? Basterà che abbiano un sospetto sulle cause di morte e facciano un’autopsia.
– No, se la cosa risulterà accidentale.
– Cosa intendi?
– Il sedativo che gli mettiamo nell’amaro per farlo dormire è comunemente usato nella sezione veterinaria della facoltà di Agraria, quando occorre sedare animali durante eventuali studi invasivi su di essi. Basterà farne trovare un flacone qui in casa, provvederò a farglielo stringere in mano, per lasciarvi le sue impronte, prima che inizi il rigor mortis.
– Davvero saresti disposta a spingerti a tanto?
– Tu non sai niente. L’ho sposato sotto ricatto perché ero costretta. L’ho sempre odiato per questo.
– Ignoravo questo, ma perché dici che ti ricattava?
– Non te ne ho mai parlato: è una storia che risale al mio dottorato, quando lavoravo a un progetto di ricerca, sotto la guida del mio docente. Avevamo preparato una corposa relazione commissionata dalla facoltà di Agraria, di cui lui era direttore di dipartimento. Io in quel periodo ero sotto pressione e depressa, avevo bisogno di qualcosa che mi sostenesse psicologicamente, avevo iniziato a farmi di coca. Il mio docente mi aveva lasciato in laboratorio, a fine giornata, il plico della relazione che lui sarebbe passato a ritirare il mattino seguente. Era tardi ed ero rimasta sola nel laboratorio, mi sono allestita una pista di coca per farmi una dose, in tutta la giornata non ne avevo ancora presa. Quando mi stavo apprestando a tirarla, me lo sono trovato alle spalle: disse che era nell’edificio del dipartimento per altro ed aveva pensato di ritirare la relazione al momento e non la mattina dopo, se ancora avesse trovato qualcuno nel laboratorio. Ero sprofondata in un turbine di imbarazzo e disagio, inutile che tentassi di giustificare ciò che stavo per fare, lui non era stupido e la cosa sarebbe apparsa chiara anche a un cieco. Ero ammutolita, avevo iniziato a tremare con la testa trafitta di spilli, mi sentivo svenire.
Lui non mostrò alcun turbamento, ma negli occhi gli corse una luce di soddisfazione.
– Non ti ha redarguita?
– No. Vedi, da tempo, incrociandoci alla mensa, mi aveva messo gli occhi addosso, mi corteggiava spudoratamente, più volte mi aveva proposto di condurmi a cena, ma avevo sempre rifiutato. Non mi piaceva, sotto quell’aria di raffinato uomo maturo, sotto quella galanteria di maniera, s’intuiva qualcosa di viscido, di abile predatore; inoltre, avevo la metà dei suoi anni, avrei potuto essere sua figlia. In sostanza, a pelle, mi ispirava un’indefinibile ripugnanza.
– Capisco, ma in sostanza cos’è poi successo?
– Lui, con un’aria paterna ma al tempo stesso impositiva, che non lasciava alternative, dandomi insolitamente del tu, disse: “Hai un problema, ragazza mia. Ma calmati, non temere. Domani sera a cena affronteremo la questione e troveremo una soluzione a questo incidente”. Mi sorrise con una smorfia carica di sottintesi, raccolse il suo incartamento e, prima di andarsene, volle il mio numero di telefono: mi avrebbe chiamato l’indomani per fissare luogo e ora della cena. Compresi subito che ero totalmente nelle sue mani.
– E quindi hai dovuto accettare la sua cena?
– Non solo quello, aveva già un progetto su di me: a quella cena ne seguirono altre che si conclusero, come prevedibile, nel suo letto.
– Fece una pausa come di sofferenza, poi continuò: – Non crederesti, a conoscerlo, quali disgustose fantasie nutra in fatto di sesso.
– Non l’avrei davvero mai supposto, anzi l’ho sempre ritenuto un tipo più che tranquillo sotto quell’aspetto.
– Non lo è! Maschera bene la sua natura viziosa, non posso raccontarti le cose che mi ha costretta a subire sotto la sua vellutata volontà, me ne vergogno troppo. Ero il suo giocattolo sessuale e mi teneva in pugno per la mia colpa segreta. Così sono stata costretta ad accettare la sua relazione; dopo alcuni mesi ha deciso che dovevo smettere di farmi, mi ha fatta ricoverare in una clinica svizzera, specializzata nelle disintossicazioni da sostanze, pagando di tasca sua la mia degenza. Certo, questo è stato un gesto positivo, ma poi ha voluto appropriarsi della cartella clinica col referto: la conserva nella cassaforte del suo studio, alla quale non ho accesso; in sostanza, una prova della mia passata dipendenza che potrebbe rendere pubblica, distruggendo la mia immagine professionale, se avessi avuto intenzione di liberarmi dal suo dominio ricattatorio.
L’unica cosa che mi ha dato uno spazio interiore che gli fosse precluso è stato riprendere la mia passione di ragazza per la musica: il pianoforte e Chopin sono stati la mia unica via di fuga dalla prigione ferrea della sua volontà.
– Capisco che tu nutra del rancore per questo, ma non mi sembra che giustifichi una rivalsa così estrema.
– Deve morire perché è una carogna, perché mi ha usata creandomi ripugnanza per ciò che il mio corpo doveva fare. Ma non è solo questo, c’è dell’altro.
Il silenzio di Luigi aleggiava come un’interrogazione.
– Ero depressa, mi sentivo una schifezza, avevo perso il rispetto di me stessa, ma a un certo punto è successa una cosa che ho visto come un bagliore luminoso in quel tunnel di tenebra: sono rimasta incinta.
Questa cosa mi ha ridato un’energia vitale, come una speranza di riscatto della mia troppa debolezza. Un bambino era qualcosa di vitale e meraviglioso, una creatura mia che mi innalzava al ruolo di generatrice di vita, che dava un nuovo senso a ciò che ero, mi restituiva alla mia dimensione umana nella sua purezza più profonda.
– Ma voi non avete avuto un figlio.
– No! Perché lui, quando glielo ho detto, è andato su tutte le furie. Mi ha accusato di averlo fatto apposta, che non aveva alcuna intenzione di diventare padre. Non intendeva cambiare le sue abitudini di vita. La presenza di un figlio sarebbe stata un fastidioso intralcio anche alla nostra relazione. Mi disse che dovevo disfarmi: abortire. Ho dovuto farlo, non potevo oppormi al suo volere, mi ha spezzato il cuore e l’anima. Da quel momento ho giurato che avrei solo atteso, in silenzio, il momento di fargli pagare ciò che mi aveva fatto. Lui si è preso la mia vita e io mi prenderò la sua e anche i suoi soldi.
– Cosa intendi? Di che denaro parli?
– Tu non ne sei al corrente poiché lui non ne parla mai con estranei, né io te ne ho mai accennato, ma ora devi sapere: al contrario mio, lui proviene da una famiglia assai benestante. Ha ricevuto in eredità un cospicuo patrimonio immobiliare, dei titoli, e oltre un centinaio di milioni in liquidi sul proprio conto in banca. Inoltre, ha stipulato una ricca assicurazione sulla vita che prevede una liquidazione anche in caso di suicidio. Naturalmente è sempre stato molto accorto a non lasciar trapelare il suo reale stato patrimoniale. Ha sempre avuto attenzione a non far presagire che conducesse uno stile di vita al di sopra delle possibilità e che il suo reddito di lavoro non gli consentiva. Un altro segno dell’aridità del suo animo, del suo modo di sapersi segretamente potente e maestro di controllo.
– Quindi, alla sua morte, tu diverresti proprietaria di tutto il suo patrimonio?
– Esatto. Ma non intendo aspettare d’avere ottant’anni, in attesa che si decida a crepare quel bastardo.
– Amore, se solo avessi saputo quale danno avrei causato alla tua vita, quando ho deciso di interrompere la nostra storia, mi sarei tagliato le vene prima di farlo. Potrai mai perdonarmi?
– Eri giovane e lo ero anche io, abbiamo fatto errori che non potevamo sapere a cosa avrebbero condotto. Se io non ti avessi messo alle strette con la mia insistenza, se fossi stata più assennata e paziente, nulla sarebbe poi accaduto.
Ma ora che ci siamo ritrovati, voglio che nulla più si frapponga tra noi e la nostra felicità. Devi solo starmi vicino in questo momento di scelte e azioni difficili, nient’altro.
– Sarò al tuo fianco in ogni caso, fino alla fine, amore mio.
Scese il silenzio, poi, dai rumori espliciti, comprese che erano tornati a immergersi in quella loro lasciva passione adulterina.
Era sconvolto da quanto aveva udito.
Quella puttana e quella carogna avevano in progetto di liberarsi di lui.
Non gli bastava di umiliarlo cornificandolo segretamente nella sua casa, volevano la sua morte, per godersi la loro libertà e i suoi soldi.
Nel silenzio, tornò a prendere posto sulla sua poltrona del salotto.
Un tremito di adrenalina e nervosismo gli scuoteva il corpo, il sangue gli pompava con violenza alle tempie, sentiva il cervello sul punto di deflagrargli all’interno della scatola cranica.
Vertigini di nausea gli aggredivano la gola e sentiva lacrime di rabbia premere agli occhi, ma non poteva abbandonarsi al pianto di frustrazione e amarezza che provava, doveva resistere.
Nel tentare di ritrovare il controllo di sé, nella mente si affollavano interrogativi e pensieri opprimenti.
Cos’era successo nel loro matrimonio per giungere a questo progetto cinico e criminale?
Provò a concentrarsi analizzando il percorso della loro storia.
Ripensava ai giorni felici del loro inizio, all’amore che in apparenza li aveva uniti: possibile che lei avesse sempre simulato, a quanto diceva, nella relazione che li univa?
Lui che l’aveva salvata dalla tossicodipendenza, un vizio che avrebbe rischiato di farle perdere anche il proprio lavoro.
Possibile che avesse vissuto tutto il loro legame in quella maniera tanto miserabile?
Certo, la differenza d’età negli anni era divenuta più evidente, forse c’erano stati errori anche suoi, cose che lei aveva interpretato nella maniera più errata.
Aveva sicuramente sottovalutato quel suo atteggiamento eccessivamente protettivo che lei aveva interpretato come invasivo e arrogante.
Non l’aveva mai ostacolata, ma sicuramente era percepibile la sufficienza con cui lui si poneva verso la professione di lei, ritenendola qualcosa in qualche modo futile; quasi il suo lavoro potesse trovare utilizzo unicamente negli aspetti che, in agricoltura, consentivano di proteggere i raccolti dall’aggressione di insetti infestanti.
Inoltre, non aveva mai nascosto di giudicare la passione di lei per gli insetti qualcosa di ripugnante.
La cosa del sesso poi non la capiva proprio: certi giochetti che lui amava non sembravano essere mai stati sgraditi, si era sempre lasciata coinvolgere nelle sue fantasie senza mai opporgli un rifiuto. Del resto, certe cose, se non le fanno a letto marito e moglie, chi dovrebbe mai farle?
Vero, aveva anche preferito che rinunciasse alla maternità, ma lo aveva fatto per permettere a entrambi di vivere quel loro matrimonio libero da legami e problemi genitoriali, nella stagione più verde della loro prestanza fisica.
Fatto per poter godere appieno i vantaggi d’essere una coppia libera e spensierata, cosa che lui desiderava, ma che anche a lei, alla fine, non era parso dispiacere.
Aveva creduto fermamente che quella scelta l’avessero condivisa, ma a quanto pareva non era stato così.
Non poteva neppure negare d’averla sfoggiata, nella giovinezza e nello splendore fisico di lei, come una sorta di trofeo da esibire in pubblico.
Con lo stesso orgoglio maschile di possesso, con cui si ostenta un’auto di lusso e potente cilindrata.
In ultimo, c’era stato l’isolamento a cui la sua gelosia l’aveva costretta negli ultimi anni, un vero seppellimento sociale che li aveva allontanati da una vita di relazioni pubbliche come due reclusi.
Era assai plausibile che lei, nel fiore dei suoi anni, ne avesse sofferto, benché non ne avesse mai fatto parola lamentandosene.
Chiaro che c’erano stati errori nella sua condotta di marito, ma chi non ne commetteva qualcuno?
Se era insoddisfatta di tutto quanto, perché non dolersene apertamente mostrando il suo disagio con lui?
(Continua)
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