[Lab 9] Clara (cap. n. 4 di 5)

1
Lancio uno sguardo fugace a Primieri. Si sta sistemando sui blocchi, come in una gara vera. Lo imito e finiamo col sembrare l'uno la copia dell'altro. Lo confesso: mai avrei immaginato di aspettare il segnale di "starter-Piero" con tanta trepidazione.   
Il fischio. Riverbera nell'ambiente, lacera il silenzio carico di attesa e di adrenalina.
E mi proietto in avanti, con tutta l'energia che ho in corpo. Un balzo muscolare che si conclude con un sonoro "splash" prima che l'acqua nelle orecchie silenzi i rumori del mondo.
Riemergo e affondo la prima bracciata. E la seconda, poi. E ancora un'altra, in quella che diventa una lunga sequenza ritmata.
Primieri è riemerso più o meno nello stesso punto, a quanto riesco a vedere. Il suo ritmo è invidiabile.
Scaccio la sua immagine dalla mente: questo non è il momento di perdere tempo e concentrazione spiando l'avversario. Bisogna trovare il giusto ritmo, veloce ma che non ti faccia esaurire tutte le energie nei primi cinquanta metri. Ne ho visti di nuotatori arrancare nella seconda frazione per essere caduti in questo errore da principianti.   
Il giusto ritmo. Più facile a dirsi che a farsi! A me sembra di essere già stanco ma non può essere perché, in altre occasioni, ho coperto la distanza delle due vasche senza problemi. Gesù, non posso perdere con lui, non voglio perdere! 
Io e Primieri viriamo quasi in contemporanea. Mi sembra, però, che lui abbia "girato" un pelo prima. Non devo mollare e, allora, riprendo il ritmo solido della prima frazione.
Respiro. Ogni due bracciate, ogni tre. Ormai sono saltati gli schemi, ma mi pare di essere più efficace. Sarà che questa nuotata variabile e un po' anarchica si adatta meglio alle mie esigenze attuali, sarà che si sta facendo largo l'idea che la maledetta gara potrei anche perderla, e allora tanto vale rilassarsi, ma l'ansia mi ha abbandonato e le braccia sembrano andare meglio. Decido di continuare così; se fra un po' avrò ancora qualcosa da spendere lo farò. 
Ci siamo. Abbiamo da poco superato la metà della seconda vasca: saranno rimasti una ventina di metri. Ho ancora energie, devo provarci.
Aumento la frequenza delle bracciate. Per quanto lo faccia gradualmente, il mio corpo avverte subito la maggiore fatica. Adesso respiro ogni due bracciate: ho bisogno della massima ossigenazione possibile. Sono ben oltre i miei limiti, il cuore mi batte all'impazzata.
Ancora, ancora. Manca poco all'arrivo.
E, infine, tocco il bordo della piscina. E mi lascio andare sul pelo dell'acqua. Il mio è un abbandono completo; galleggio sulla schiena e respiro come un mantice.   
La prima faccia che distinguo è quella di Clara.
«Hai perso papà» la sento dire.
«Di poco» aggiunge Livia, sorridente, entrando nel mio campo visivo.     
«Bel tempo, Adamo. Ti sei migliorato!» È la voce di Piero. «Ma la gara l'ha vinta il tuo amico» aggiunge.
Ho vinto.
Guardo Primieri, anche lui sfiancato dallo sforzo. Sorride.

5. (19.04.2023)
Uno scatto secco, assordante nel silenzio della notte. 
Di sicuro l’avrà sentito tutta la casa. Immagino già lo sguardo accusatorio della signorina Sarti.
Ma cosa diavolo si sarà rotto?
Un secondo trac, stavolta più lontano, seguito da un rumore di leveraggi e ruote metalliche, e l’intera credenza si muove. Rientra nella parete per poi essere risucchiata dietro al muro. Al posto del massiccio mobilio ora si apre un vano grigio e poco attraente.
Mi sporgo appena oltre la soglia, abbastanza per vedere una rampa di scale male illuminate tuffarsi nelle profondità di Villa Elsa.
Gesù, mi sembra di essere finito in un film d’avventura con spie, confraternite segrete e tutto il resto. E dire che cercavo solo una bottiglia d'acqua: accidenti a frau Bluchen e alla sua dimenticanza!       
Un suono. Qualcosa a metà strada tra un sussurro e un vagito. Viene dal fondo della scalinata.
Di nuovo.
Brividi mi percorrono la schiena; sembra un lamento.
Ma che sta succedendo là sotto? Sangue freddo, Fabio!
Un pensiero più rassicurante prende forma nella mia mente. E se fosse il professore a... darsi da fare? In quel caso avrei tutte le ragioni per non ficcanasare. Un po’ di riservatezza, e che diamine!
Faccio per andarmene e lo sento di nuovo. No, è di sicuro un lamento, non posso sbagliarmi.  E ora? Che faccio? Anche l’idea di Primieri che intrattiene un'amante, se solo ci penso, mi pare una sciocchezza: perché mai dovrebbe scendere nello scantinato per fare certe cose, quando ha a disposizione tutta la casa? 
Il lamento. Ancora. Questa volta è più stridulo, acuto, come di qualcuno seviziato.
Tocco la credenza per saggiarne la stabilità: non vorrei che si chiudesse tagliandomi ogni via di fuga.
Scendo. Ho deciso.

***

Odore di disinfettante. Il corridoio che si apre sul pianerottolo ne è impregnato. Clorexidina, direi a naso. Odore di ospedale. E l’odore aumenta mentre mi avvicino alla porta in fondo. 
Ma non è solo il sentore pungente del disinfettante a provenire più forte. Il lamento della donna – che è una donna ormai ne sono certo – segregata in quella stanza, da qui, fa proprio accapponare la pelle.
Dalla porta filtra una tenue lama di luce. Non è chiusa, mi rendo conto. 
Spingo e sono dentro.
Una luce pallida, fredda, e poi… grigio. Una distesa di grigio. Delle pareti della stanza, del mobilio dei gabinetti di medicina che l’arredano, dell’acciaio dei vassoi chirurgici e… oh, mio Dio!
Legata al tavolo operatorio c’è Clara. Il suo corpicino esile è scosso da spasmi. Per come si agita parrebbe distesa su una graticola arroventata: ad ogni fitta corrisponde un singulto di sofferenza e uno strattone alle cinghie che la immobilizzano a quel crudele catafalco.
«Clara!»
Ha gli occhi aperti in un’espressione di sgomento, la fronte madida di sudore.
«Clara guardami!»
Niente da fare. Se anche sta vedendo qualcosa, non è me.
«Non può sentirla!»
Mi volto di scatto.
«Lei non dovrebbe essere qui» puntualizza Primieri.
È emerso dalla penombra. Alle sue spalle una tenda ondeggia ancora.
«Cosa le sta succedendo?» Sotto le mie dita, il polso della ragazzina sembra la pista di un circo quando gli elefanti la percorrono. «Professore, cos’ha Clara?»
«Non c’è niente di cui preoccuparsi».
«Ma soffre maledettamente!»
«Sì, purtroppo. E’ uno degli effetti collaterali del trattamento ma…» fa una pausa «Vedrà, domani starà bene».
Guarda la mia espressione angosciata e sorride quasi volesse rincuorarmi.
«Davvero, non si preoccupi. Fa sempre così. Ogni volta».   
Uno spasmo più forte e Clara sembra sobbalzare, trattenuta unicamente dai legacci ai polsi e alle caviglie.
La tocco: è scivolosa come un’anguilla. Le sua braccia, ogni centimetro di pelle nuda sono bagnati di sudore.
«Adesso, vada a letto! Lasci che ci pensi io, qui».
Mi accorgo di stare scuotendo il capo.
«Non me ne vado se prima non mi dice che cos’ha sua figlia». Il tono basso e risoluto della mia voce stupisce anche me. «Prima ha parlato di un trattamento; un trattamento per cosa? TPSV? Tachicardia Parossistica Sopra Ventricolare…» preciso, come se Primieri avesse bisogno della mia legenda «… sindrome di Wolff-Parkinson-White?»
Il suo sguardo è impenetrabile.
«E’ un trattamento sperimentale» insisto «questo l’ho capito; le serve per curare Clara, ma cosa? Quale patologia? Io posso aiutarla, mi metta a parte della sua ricerca, professore!»
Primieri fa qualche passo nella stanza fino a raggiungere il lettino chirurgico. Lo vedo accarezzare una mano della bambina, proprio mentre le piccole dita si contraggono per un nuovo lampo di dolore.
«Clara non ha nessuna patologia» parla lentamente, come se non avesse ancora superato del tutto la diffidenza. «È perfettamente sana!»
Pianta i suoi occhi nei miei.
«E questo non è un trattamento sperimentale: in quasi vent’anni ho accumulato abbastanza dati per essere certo della sua efficacia e sicurezza». Sorride sinistro. «Ma forse, quello è il suo modo di indicare le pratiche terapeutiche non contemplate dai protocolli della medicina ufficiale. O non contemplabili». Mi guarda di sbieco «In quel caso avrebbe ragione».

Re: [Lab 9] Clara (cap. n. 4 di 5)

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Pulsar ha scritto: Uno scatto secco, assordante nel silenzio della notte. 
Di sicuro l’avrà sentito tutta la casa. Immagino già lo sguardo accusatorio della signorina Sarti.
Ma cosa diavolo si sarà rotto?
Un secondo trac, stavolta più lontano, seguito da un rumore di leveraggi e ruote metalliche, e l’intera credenza si muove. Rientra nella parete per poi essere risucchiata dietro al muro. Al posto del massiccio mobilio ora si apre un vano grigio e poco attraente.
Ti consiglio di precisare che, al secondo trac, lui si sposta nella sala dove c'è la credenza (se no sembra avercela in camera da letto).
Pulsar ha scritto: «Clara virgola guardami!»
Pulsar ha scritto:
«E questo non è un trattamento sperimentale: in quasi vent’anni ho accumulato abbastanza dati per essere certo della sua efficacia e sicurezza». Sorride sinistro. «Ma forse, quello è il suo modo di indicare le pratiche terapeutiche non contemplate dai protocolli della medicina ufficiale. O non contemplabili». Mi guarda di sbieco «In quel caso avrebbe ragione».
  
Inquietante la faccenda - corro a leggere l'epilogo. Bravo @Pulsar    :libro:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi
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