Ciao
@MarcoLambo, convengo con quanto scritto da
@Cheguevara. L'editore non può vantare da te alcuna pretesa, e per diversi motivi.
Le procedure di valutazione interne a una casa editrice sono tali (interne appunto) e non può essere l'autore a rispondere delle prassi adottate. Se l'editore si rivolge a un valutatore "alla pari", che per il ruolo accademico rivestito vuole essere pagato, è un suo problema. Se la valutazione richiede una retribuzione è l'editore che dovrebbe provvedere a effettuarla.
Da quel che ne so, inoltre, la peer review, per prassi, non è mai retribuita. Almeno per gli articoli scientifici è così.
Qui, infatti, puoi trovare un articolo critico a riguardo, che ne suggerisce l'abolizione. Si parla chiaramente di valutatori anonimi e non retribuiti.
Ora, a prescindere dalla correttezza o meno della prassi in sé (il lavoro di un valutatore di manoscritti andrebbe retribuito, che sia un luminare o meno), è l'editore che se ne avvale, non l'autore.
Quest'ultimo, di contro, ha il diritto di scegliere tra le proposte editoriali ricevute quella che ritiene per sé migliore e, come tu stesso dicevi, non può certo mettersi a pagare i valutatori (interni o esterni) di ciascun editore cui invia il manoscritto.
A voler proprio cavillare, l'editore in questione avrebbe potuto pretendere da te qualcosa se ti avesse fatto presente che si sarebbe rivolto a un professionista per una peer review, ma anche in tal caso avrebbe dovuto informarti, in maniera chiara, che dinanzi a una mancata accettazione della sua proposta editoriale la peer review sarebbe stata a tuo carico. Non esiste che se ne esca così, di punto in bianco, a chiederti di coprirne le spese!