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[CE2025] Un brav'uomo - Sequel di La prima panchina rossa di Poeta Zaza

Posted: Mon Aug 18, 2025 8:26 am
by aladicorvo
Sequel di La prima panchina rossa di Poeta Zaza:
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Mai più e inverosimile
luce di quel ricordo,
la sua sfocata immagine
a ricalcar verrà.

 
Giorni, mesi, anni. È stato facile non voltarsi indietro. Seguire come dal finestrino di un treno la vita che corre via, cosa vuoi che siano vent’anni, meno di un respiro. A gente come Marzio Respighi veniva facile. La memoria di un pesce rosso, bagaglio leggero. Piccole soste in stazioncine senza importanza: diploma di geometra, concorso al Comune e poi via, dritto filato al suo perché, ch’era farsi ingegnere. Studio elegante, qualche stagista da spremere a costo zero, una segretaria con le tette grosse che si fa chiamare Deborah con l’acca, ma è una brava ragazza, ce la mette tutta e non è lì per farsi scopare.
E alla fine Anna. Che gli era esplosa nell’anima e l’aveva fatta splendere.
Anche gli stronzi si innamorano e quando succede migliorano. Non tanto, quello che basta per credersi perdonati. Dal mondo, dalla vita, dalle tante cazzate chiuse a chiave nel cassetto dei Non lo rifarei, ma ero così giovane.
A sessant’anni si può sembrare un brav’uomo. Marzio Respighi lo sembrava pure da vicino. Merito della sua Anna, che era salita con lui sul treno della vita e l’aveva fatto per restarci, per essere contenti anche solo di stare insieme.
Ma a volte i freni della motrice cominciano a fischiare e poi a urlare finché tutto si ferma. 
E tace. Pure se ha dirti tante cose. O forse proprio per quello.
Succede così: una mattina arrivi a studio e vedi la segretaria al telefono con gli occhi sgranati e la bocca all’ingiù.
«Deborah, perché quella faccia?»
«Ingegnere…»
«Non mi dire che sono i Giapponesi. Lo sapevo che mandavano tutto all’aria!»
«No, ingegnere… è l’ospedale.»
Perché Anna è lì ormai da quindici giorni, crocifissa a quel È maligno, ma non ci dobbiamo arrendere.  E allora ti senti gridare: «Annulla tutti gli impegni!» e corri verso l’ascensore e poi in garage, e senti l’odore freddo di muffa e cherosene, il motore che ruggisce su per la rampa. Arrivo, amore mio! E corri, corri, non smetteresti più di farlo, per arrivare prima di quell’ombra nera che se la vuole portare via.
Lo sguardo di Teresa lo segue dal bancone della reception fino alla porta a vetri del reparto. Chirurgia Oncologica, Marzio ci aveva quasi fatto l’abitudine, ma adesso è come una coltellata. Ora di visita. Ci sarebbe venuto lo stesso, ma non così, cazzo, non così!
Il corridoio, la gente che lo guarda e si scansa. Suor Clelia sulla porta della stanza. «Adesso non può entrare» La sua mano stretta attorno al braccio, lo tira, lo spinge via.
«Anna!»
«Non può entrare, le ho detto.»
Per un attimo vede dentro la folla di camici, il display che lampeggia, un attimo solo, poi la porta si chiude.
«Come? Perché?»
E Suor Clelia che annuisce, che legge tutte le domande idiote che non escono fuori: «Ha avuto una crisi. Bisogna operare.» E poi quella parola: d’urgenza.  Che sa di condanna, di faremo il possibile, di tranquillo, è in buone mani.
Pochi minuti, voci concitate, la porta si apre. Anna! «Faccia passare, grazie.»
La barella che scivola di corsa su, al quinto piano, dove il d’urgenza diventa bisturi, forbici, tampone, nemmeno il tempo di darle un bacio, di sussurrarle: «Andrà tutto bene.»
«Vieni, Marzio. Aspettiamo al bar, davanti a un buon caffè.»
Suor Clelia. Gli erano sempre state sulle palle le suore, tutte tranne lei. Che di starsene con le mani in mano, a cincischiare con candeline e Ave Maria proprio non ne voleva sapere. Che la trovavi in reparto a tutte le ore, che gli dava del lei e lo chiamava ingegnere, col sorriso strafottente di chi ti vede sempre bambino, ma passava al tu quando paura e dolore bambino ti ci facevano tornare per davvero. «Vieni. Aspettiamo insieme.»
No, non ce l’avrebbe fatta. Ha bisogno d’aria, di camminare, di sentire l’odore di lacrime e foglie bagnate da quell’autunno disperato. Di fumare, dopo sei anni di vita sana, a cosa è servito se poi ti senti dire: «Ormai un polmone è andato, ma possiamo ancora sperare.»
Anna non aveva mai fumato.
Duecento metri, massimo trecento. Ospedale, parco dei Mille ed è subito stazione. Chi va e chi viene. Tutto ha un senso.
Si lascia accarezzare dallo scricchiolio dei passi sulla ghiaia. 
Anna l’amava quel parco. Era pieno di prime cose. Le loro prime cose. Il primo appuntamento, il primo bacio, il primo Sei uno stronzo, vattene, il primo Sposami, così avremo un posto dove litigare in pace.
Aiuole, platani, castagni, un bulldog che arranca dietro al padrone, povera bestia, che gusto ci sarà a prendere a padellate sul muso un cane indifeso? La natura a volte è crudele.
Anna, non te ne andare. Ma dove vuoi che vada, cretino.
Bambini che giocano, ragazzini sui pattini, panchine. Quella in particolare, la prima, verniciata di rosso.
Ce ne sono tante ormai, una per ogni donna massacrata dal vero amore. Un modo per non dimenticare, s’era detto, ma ormai sono parte del paesaggio. Verdi le foglie, rosse le panchine. Ci si abitua a tutto.
La donna è lì, fuma anche lei e intanto tira briciole ai piccioni. Bionda, snella, la faccia tirata di chi non dorme abbastanza, probabilmente bella, almeno un tempo. Si gira, sorride: «Prego, si accomodi» e si scansa un poco per fargli posto.
«Grazie, ma ho bisogno di camminare.»
«Viene dall’ospedale, vero?»
Lui annuisce.
«Si fermi un momento. Quattro chiacchiere potrebbero aiutare entrambi.»
Aiutare chi? Come? Eppure si siede.
«Anche lei ha qualcuno là dentro?»
«Mia moglie. E lei?»
«No, io ci lavoro. Sono uscita un momento per una boccata d’aria.» Guarda la sigaretta, sorride: «Per una boccata di catrame.» Affonda la mano in un sacchetto, tira una manciata di briciole e subito è una folla di gluglù, uno sbatter d’ali, a balzi e saltelli, Scansati, quella è mia! Avessero mani e piedi, sarebbe rissa, e forse lo è, ma nonostante l’andatura, sono meno scemi di quello che sembra. Mangiare. Il resto dopo.
Marzio gira la testa verso la mole bianca dell’ospedale, verso le finestre del quinto piano. Vorrebbe andare. Fa per alzarsi, ma la mano di lei sul polso lo ferma: «Rimanga, è ancora presto.»
Lui aggrotta la fronte, come lo sa?
«Le cose brevi si aspettano in corridoio. Quelle medie al bar. Le altre sono troppo difficili da sopportare e ci si ritrova fuori, dove la vita continua.»
«Eppure ho visto gente dormire in sala d’aspetto.»
«Sì, qualcuno lo fa. Probabilmente l’ha fatto anche lei. Ma non stavolta.»
Già, non riesce nemmeno a pensarlo, però lo sa: stavolta è diverso. Potrebbe essere l’ultima.
«Me l’immagino Suor Clelia, l’avrà guardato in faccia e avrà detto…»
«Suor Clelia, la conosce?»
«Certo, da quando ero una semplice tirocinante. M’ha tenuto in piedi quando avrei voluto schiantare e mi ha mandato avanti a calci nel sedere: «Datti da fare, ragazzina, i piagnistei tienili per dopo.»
«E lei…»
«Sono andata avanti. E guardi che nel mio lavoro non è facile.»
«Almeno voi potete fare qualcosa, invece di aspettare e basta.»
Briciole finite. 
La donna guarda i piccioni sciamare lontano. Tutti tranne uno che se ne sta accasciato in mezzo al vialetto. Trema, sussulta, cerca di muovere le ali. E alla fine resta lì. Un mucchietto grigio che non capisce, non sa, non è più niente.
«Avevo poco più di vent’anni» dice la donna. «L’ultima delle infermiere ne sapeva più di me, della morte, intendo. E davano ordini, istruzioni, in quest’ospedale il tirocinio funziona così. Mi avevano messo a Cardiologia e una sera arrivò un vecchio, quasi ottant’anni. Era l’undici settembre del 2001 e non aveva retto a vedere quella tragedia. "Questo seguilo tu" mi disse la caposala. "Non ne avrà per molto." Ma come? Senza nemmeno… mi girai, ma quella se n’era già andata.»
La donna tira fuori un’altra sigaretta, l’accende, tira un gran boccata. «Antonio si chiamava.» E a sentire quel nome, Marzio sente un brivido gelargli la schiena. Andarsene. Ora, subito! Ma le gambe non gli danno retta.
«Non l’avevano neanche spogliato» fa lei. «Se ne stava su quel letto ancora col pigiama, una ciabatta sì e l’altra no, per la fretta di farlo arrivare in tempo. Ché a farlo morire in casa, poi ci sente in colpa…»
«Ma in colpa di cosa, Cristodio?!» gli esce come un urlo.
La donna si gira, lo fissa e aggrotta la fronte. «Di non aver fatto il possibile, credo.»
Marzio respira fondo: «Certo, dev’essere così.» Prende anche lui una sigaretta,  ma le mani tremano e l’accendino non ne vuole sapere.
«Lasci, faccio io» dice lei e delicatamente avvicina la fiamma.
«Grazie.» Una boccata, un colpo di tosse, poi si alza: «Adesso, mi scusi, ma devo proprio andare.»
«Mi ha dato una lettera» continua lei. «L’ultima lettera che aveva scritto alla madre vent’anni prima.»
Marzio si blocca, torna a sedere.
«E la sa una cosa?» fa lei. «Quando si dice le coincidenze, riguardava proprio questa panchina e il caso di Denise. Se lo ricorda?»
Marzio annuisce con gli occhi spalancati e il cuore che martella dentro.
«L’aveva vista tentare di separare due ragazzi, prendersi per sbaglio una coltellata e rimanere lì, a morire sola come un cane, mentre quelli scappavano. Li aveva visti e uno l’aveva anche riconosciuto. Era suo nipote Marzio.»
«No!»
«Invece sì. E pensi che, per tutti quegli anni aveva taciuto. Per proteggerlo, capisce? Mentre quello se ne andava in giro a raccontare mucchi di bugie. E inveiva fingendosi offeso che lui potesse crederlo capace di uccidere. Perché, ne converrà, lasciar morire qualcuno senza fare niente, in fondo è la stessa cosa.»
«Non è vero, è tutta una cazzata!» urla lui con la voce stridula.
«Non mi crede?»
«E allora, sentiamo. Perché mai avrebbe dato un documento così importante a un’estranea?»
La donna si stringe nelle spalle: «Chissà, forse perché quando si sta per attraversare il ponte la mente cerca un appiglio per restare, uno qualunque.»
«Non ci credo!» urla Marzio, così forte che i passeri scappano dai rami, manco fosse stata una fucilata. «E comunque è stato un errore!»
La donna lo fissa: «Un errore, certo. Se ne fanno tanti.» Prende sigarette e accendino e li rimette nella borsa. «Come mettersi in mezzo a una rissa. A mia sorella è costata la vita.»
«Sua sorella? Che vuol dire?»
«Denise, la ragazza della panchina era mia sorella.»
Lui la guarda incredulo. Lei annuisce: «Le coincidenze, gliel’ho detto.» Si alza, prende la borsa. «Adesso però sono io che devo andare. Ho un intervento d’urgenza. Un caso oncologico piuttosto serio.»
Anna!
Marzio sente qualcosa di acido salirgli in gola, a mischiarsi con l’angoscia che gli leva il fiato. Anna! «E lei…» annaspa livido di rabbia «Lei, con un intervento d’urgenza se ne sta qui a… Ma non ha il minimo…»
La donna lo guarda con uno strano sorriso: «Cos’ha? Paura che la lasci morire sola come un cane? Tranquillo, non accadrà» dice. Fa per allontanarsi, si gira: «Ah, quasi dimenticavo: chieda della dottoressa Schuld.»
E lo lascia lì, a cercare di tener a bada tutta quella tempesta che gli vortica in testa, che lo rimette su quel treno da cui ha guardato la vita correre lontano. Coincidenze, verità, bugie, Anna, la dottoressa Schuld. Perché dovrebbe chiedere di lei? Come sapesse.
E a quel punto tutto si ferma. Perché sarà lei ad affondare il bisturi nel suo corpo! Perché lei sa. Certo che sa!
Anna!
Marzio corre, le lacrime gli gelano la faccia. Corre e quasi travolge il cane col muso rincagnato, due bambine sui pattini e una carrozzina. Corre nella hall dell’ospedale e per il corridoio fino alla stanza, mentre la lettiga, proprio in quel momento, sta uscendo dall’ascensore e suor Clelia gli si para davanti.
«Aspetti, ingegnere. Ancora non può entrare.» Gli ha dato del lei! Allora è andato tutto bene! L’abbraccia, singhiozzando.
«Sì, è andato tutto bene» fa lei e intanto lo spinge dolcemente verso la sala d’attesa e lo fa sedere. «Adesso però se ne sta qui buono buono qui a ciucciarsi il suo caffè. O preferisce una cioccolata?» dice mentre fa tintinnare una monetina dentro il distributore.
«La dottoressa» fa lui.
«Certo, dopo però.»
«La dottoressa Schuld, voglio ringraziarla.»
«Chi, scusi?»
«Il chirurgo che ha operato mia moglie.»
«Guardi che l’ha fatto il dottor Migliorini e di Schuld in ospedale non se n’è mai visto uno.»
«Non è possibile, ci ho parlato fino a un quarto d’ora fa!»
«Appunto. Anna è stata dentro sei ore»
«Ma che dice? Sarò stato fuori mezz’ora, un’ora al massimo!»
«Sei ore, guardi l’orologio.»
16.15. Il display sul muro lo dice chiaro. Che sta succedendo?
«Anna è salita alle dieci. E dunque in nessun caso avrebbe potuto operarla. È proprio sicuro del cognome?»
«Me l’ha detto lei!»
A quel punto suor Clelia alza le sopracciglia e dà un’occhiata al crocefisso che le pende al collo, Non ti sembra di esagerare? Si stringe nelle spalle, si siede accanto a Marzio e gli prende la mano tra le sue: «Schuld hai detto, va bene. Ma tu lo sai cosa significa?»
«No, è un cognome e poi che importanza ha?»
«È una parola tedesca.»
Tedesca, certo come Denise, come…
«Significa colpa, debito, rimorso.»
Marzio chiude gli occhi, ma le lacrime hanno fatto prima e già gli colano sulle guance.
Gli torna in mente quel mucchietto di penne grigie ch’era rimasto per terra nel parco, a morire tutto solo, mentre gli altri se n’erano volati via.
Anna è salva. Denise no.
E lui nemmeno.
Schuld. È proprio quello il nome.
Quello e nessun altro.
 
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Re: [CE2025] Un brav'uomo - Sequel di La prima panchina rossa di Poeta Zaza

Posted: Mon Aug 18, 2025 9:09 pm
by Poeta Zaza
aladicorvo wrote: Mon Aug 18, 2025 8:26 amMarzio respira a fondo: «Certo, dev’essere così.» Prende anche lui una sigaretta,  ma le mani tremano e l’accendino non ne vuole sapere.
«Lasci, faccio io» dice lei e delicatamente avvicina la fiamma.
«Grazie.» Una boccata, un colpo di tosse, poi si alza: «Adesso, mi scusi, ma devo proprio andare.»
«Mi ha dato una lettera» continua lei. «L’ultima lettera che aveva scritto alla madre vent’anni prima.»
Marzio si blocca, torna a sedere.
«E la sa una cosa?» fa lei. «Quando si dice le coincidenze, riguardava proprio questa panchina e il caso di Denise. Se lo ricorda?»
Marzio annuisce con gli occhi spalancati e il cuore che martella dentro.
«L’aveva vista tentare di separare due ragazzi, prendersi per sbaglio una coltellata e rimanere lì, a morire sola come un cane, mentre quelli scappavano. Li aveva visti e uno l’aveva anche riconosciuto. Era suo nipote Marzio.»
Nooooooooo!  :(

Marzio il colpevole? Lo zio l'aveva addirittura visto? Per questo Marzio non l'aveva più cercato per vent'anni. Se avesse avuto la coscienza
pulita, sarebbe andato a trovarlo per rappacificarsi.

Un po' troppe coincidenze forzate, ma ci sta anche un sequel così. La vita è anche ipocrisia, colpa, dolore subito e inflitto.
Anche il fatto che la sorella di Denise salvi Anna, la donna di Marzio, dalla morte.
Ma io sono una romanticona e mi dispiace sempre scoprire il male dentro alle persone che conosco, ma addirittura anche dentro i miei personaggi.

Però è un sequel scritto bene, con la tua solita maestria. Complimenti, @aladicorvo  :)

aladicorvo wrote: Mon Aug 18, 2025 8:26 amTedesca, certo come Denise, come…
«Significa colpa, debito, rimorso.»
Marzio chiude gli occhi, ma le lacrime hanno fatto prima e già gli colano sulle guance.
Gli torna in mente quel mucchietto di penne grigie ch’era rimasto per terra nel parco, a morire tutto solo, mentre gli altri se n’erano volati via.
Anna è salva. Denise no.
E lui nemmeno.
Schuld. È proprio quello il nome.
Quello e nessun altro.
Apprezzata la conclusione.

Re: [CE2025] Un brav'uomo - Sequel di La prima panchina rossa di Poeta Zaza

Posted: Fri Aug 22, 2025 9:45 pm
by bwv582
Ciao @aladicorvo e buon proseguimento con il contest.
Mi resta difficile lasciarti un commento perché, al di là di un racconto scritto bene, la testa ha pensato che sia un racconto con dei vuoti. Il personaggio di Anna, intorno a cui ruota praticamente tutto, un accenno a Deborah e poco altro che espande il precedente. Però poi c'è tutta l'introspezione, un dialogo con il proprio io interiore, in un certo senso, e il percorso interno che si interrompe con il lieto fine. In altre parole, manca giusto un po' di spazio in più, qualche sensazione del protagonista nel dialogo con la dottoressa Schuld - o con se stesso, la interpreto così (mi è venuto in mente quel genere di film dove ci sono interazioni tra un personaggio e qualcosa di ultraterreno o che rispecchia i propri problemi interiori, un genere che non mi spiace per niente, anzi; tiro a caso due titoli: la città degli angeli e collateral beauty) -, forse qualche ricordo in più, qualcosa che possa dare un po' di respiro. Poi, certo, anche qualche parola in più sulla vita di Marzio e/o su Anna penso ci starebbe bene.
Come dire, una buona base, l'idea è che hai tagliato un po', non so se per rientrare nel numero di caratteri o perché pensavi magari di distrarre il lettore (o cose simili): con il sottoscritto trovi un amante dell'introspezione e dell'esistenziale, quindi non è così. :P 
Tra l'altro, ho trovato tante piccole perle, come questa  :love3:
aladicorvo wrote: Mon Aug 18, 2025 8:26 amSposami, così avremo un posto dove litigare in pace.
oppure questa :asd: 
aladicorvo wrote: Mon Aug 18, 2025 8:26 amche gusto ci sarà a prendere a padellate sul muso un cane indifeso? La natura a volte è crudele.
o anche questa  (y)
aladicorvo wrote: Mon Aug 18, 2025 8:26 amLe cose brevi si aspettano in corridoio. Quelle medie al bar. Le altre sono troppo difficili da sopportare e ci si ritrova fuori, dove la vita continua.
perciò, davvero, un buon racconto scritto da una penna con una maturità superiore a quella del sottoscritto (non te lo dico senza invidia ;) ). Manca solo qualche respiro profondo in più, secondo me.  :libro: