[CE2025] Essendo - prequel del racconto Vanda Lismo
Posted: Wed Aug 13, 2025 9:52 pm
Prequel del racconto: Vanda Lismo viewtopic.php?p=77105#p77105
Titolo: Essendo
Il sole di Palermo non ha pietà: taglia le strade come una lama di vetro, rimbalza sugli intonaci scrostati, si infila negli occhi fino a bruciare. L’aria è un miscuglio di odori: spezie, pane caldo spolverato di sesamo, mare lontano intrappolato nei vicoli. Rosario cammina con lo zaino sformato sulle spalle e lo sguardo incollato all’asfalto. Intorno, occhi muti: alcuni tagliano l’aria come coltelli sottili, altri lo attraversano come vento gelido. Ogni passo è una frizione contro il muro invisibile del disprezzo. Sa di essere gay. Lo sa come si sa di respirare. Non è una scelta, è un fatto. E i compagni lo sanno anche loro: lo leggono nei gesti, nel modo in cui le mani lo tradiscono.
Gli insulti arrivano a raffiche brevi, come sassi lanciati da mani invisibili: ricchione, femminuccia. Qualcuno ride, strozzato. Altri abbassano lo sguardo, fingendo di non vedere. Ma gli occhi giudicano sempre, anche quando tacciono. Come quelli di sua madre, che lo scruta e non parla.
A scuola, il ronzio delle voci è una rete che lo intrappola. Durante la ricreazione, il cortile puzza di fumo e arancine unte. Lui si rifugia in un angolo, guarda il muro finché il resto del mondo si dissolve. Rosario ha solo diciassette anni e non vuole essere visto. Vorrebbe essere un’ombra appena staccata dal pavimento, un soffio che attraversa le strade senza lasciare traccia. A volte, vorrebbe non esistere affatto. Sparire come polvere in controluce.
Rosario è seduto all’ultimo banco, il quaderno aperto davanti. La professoressa di italiano entra con passo deciso, il tailleur beige che stride con la luce cruda del neon.
— Allora, ragazzi, oggi parliamo di Pirandello. Dell’identità. Della maschera che ognuno indossa.
Si ferma accanto al banco di Rosario. Lo guarda, con un’espressione che non è ostile, ma neppure neutra.
— C’è chi la maschera non la toglie mai. O forse non ne ha nemmeno una. E allora… cosa resta?
Qualcuno ridacchia. Rosario abbassa lo sguardo. Le parole gli si conficcano nella nuca come spine.
— Rosario, vuoi leggere tu il passo? — La voce è gentile, ma c’è qualcosa nel tono che lo mette a disagio. Lui prende il libro. Legge. La professoressa lo interrompe.
— Prova con un po’ più di intensità. Dai, metti più forza. Rosario si irrigidisce.
— Così va meglio — dice lei, con un sorriso non espresso dagli occhi.
— Pirandello ci insegna che l’identità è una costruzione. Ma alcune identità… sono più complesse da sostenere.
Rosario resta immobile. Il cuore gli batte forte. Non è tanto quello che ha detto, ma come lo ha detto. Come se lo stesse mettendo in discussione senza farlo apertamente. Nessuno ride. Nessuno lo difende. Lei si volta, prosegue la lezione. Rosario sente la rabbia salire, ma resta seduto.
La scuola è finita e suo padre lo liquida con quattrocento euro, un biglietto per la Capitale e una lettera di raccomandazione.
Il treno lascia Palermo in una mattina opaca di fine inverno. La brezza tiepida dell’aria condizionata gli sfiora la pelle, il rumore ritmico delle ruote si sincronizza al battito del suo cuore. Nelle dita stringe il biglietto, un’àncora salvifica. Dal finestrino, guarda il mare che si ritira lento: è un nastro grigio che si dissolve. Ogni stazione è un distacco breve ma definitivo. Il vagone vibra. Rosario affonda nel sedile, il cuore che rimbalza tra gola e stomaco. Non sa esattamente cosa lo aspetta, ma sa cosa ha lasciato: giorni graffiati tra le mura della sua cameretta.
Roma lo inghiotte in una sera che odora di pioggia recente e caldarroste. I neon delle insegne tagliano il buio, la strada vibra di clacson e voci in lingue miste. Nessuno lo guarda più di un secondo, e quell’assenza di attenzione è una carezza nuova, mai provata.
Dopo qualche giorno, in un bar dal bancone appiccicoso, incontra Giulia. La prima volta, sul treno, lui non l’aveva nemmeno notata. Era seduto vicino al finestrino, le mani strette intorno al borsone come fosse una ringhiera. Lei si era sistemata accanto e, vedendolo sotto quel velo di paura, aveva estratto dalla borsa due cuffie rosa.
— Prova queste — gli aveva detto in un soffio, mentre lui esaminava il dispositivo, incerto. Al primo accordo di musica, la tensione si era sciolta: poteva respirare di nuovo.
Giulia è una di quelle persone che, se entrano in una stanza, spostano l’aria anche senza volerlo. Capelli scuri raccolti in fretta, un ciuffo ribelle le sfiora la guancia; negli occhi, una scintilla di ironia, come se la vita fosse un gioco da prendere di sbieco. Sorride in un modo delizioso e sembra conoscere la sua storia senza che lui la racconti. Parlano di tutto e di niente. Lei fuma e gesticola, e il fumo le disegna aureole intorno al viso.
— Vieni con me stasera. Ho un invito per due, è qualcosa che ti piacerà.
— Non so… non conosco nessuno.
— Meglio. Così non devi piacere a nessuno.
Il tono è leggero e negli occhi di Giulia c’è una promessa di complicità. Rosario sente la tentazione come una corrente calda che lo spinge fuori dalla sua zona d’ombra. Accetta. Si fida. E poi è sabato, non ha altro da fare.
La casa dove entrano è un dedalo di stanze. La festa è un vortice: luci color ambra, lampadine calde attorcigliate ai fili elettrici colorati, musica che pulsa dal pavimento alle costole, l’odore dolce e pungente di liquore e profumo mescolati all’incenso che brucia lento in un posacenere. Le stanze si aprono una dentro l’altra come sipari: pelle che sfiora pelle, risate, bicchieri che tintinnano. Rosario resta vicino alla porta, sfiorando col polpastrello il legno, per assicurarsi una via di fuga. Giulia gli mette in mano un bicchiere, si china verso di lui per superare il rumore:
— Respira. Guarda. Siamo vivi!
Un ragazzo con eyeliner blu gli passa accanto, lasciando una scia di profumo dolce e spezie.
— Hai visto quante lanterne? — grida anche lui per sovrastare la musica. Rosario risponde con un cenno; si accorge che, per la prima volta, non sente il bisogno di nascondersi in mezzo alla gente. Si lascia andare. Segue Giulia che si muove sicura.
— Vieni, ti presento una persona.
Rosario annuisce, la segue. Lungo un breve corridoio la luce diventa più soffusa, il profumo di vaniglia e patchouli aleggia nell’aria. Giulia, elegante e sicura, prende per mano Rosario, che appare emozionato e un po’ intimidito. I suoi occhi si spalancano mentre varcano la soglia: La stanza esplode di colori: abiti scintillanti appesi come opere d’arte, lampadari di cristallo che riflettono mille luci. Sul divano di velluto verde, incorniciata da cuscini ricamati e ombre di piante alte, Rosario la vede: Rosa Corallo. Mezza età, avvolta nell’abito di scena, capelli raccolti in onde lucide, occhi che, quando si posano su di lui, lo attraversano. Prima che Rosario possa dire una parola, la drag si alza e gli va incontro. Lo fissa, inclina appena la testa.
— E tu chi saresti, tesoro? Hai lo sguardo da cucciolo… concediti di brillare. Ce la puoi fare, sai? — Giulia si mette tra i due.
— È un mio amico, si chiama Rosario e…
Ma Rosa Corallo non l’ascolta. Non ha occhi che per quel ragazzo impacciato. In mano ha un ventaglio di stoffa blu cobalto. Con uno scatto lo apre davanti al viso di Rosario, un colpo secco: toc.
— Regola numero uno: la vita è un palcoscenico. Sai quando sali, non sai quando scendi. Ma ci devi stare. E allora che fai? Non reciti? Se allo specchio non ti vedi, ragazzo, allora cambia lo specchio. Questo è tuo. Gli lascia il ventaglio, chiuso, nel palmo. Gli volta le spalle e, col braccio alzato, mima il gesto di sventolarsi.
— Provaci!.
Rosa torna sul piccolo palco improvvisato nel cuore della festa. Rosario stringe il ventaglio nella mano, incapace di staccare lo sguardo da Rosa Corallo. Giulia sorride.
— Ti piace, vero? Devi vederla in azione. È magnetica.
Le luci si abbassano appena, il brusio si ritira come una marea. Due fari tremolanti, un microfono che odora di metallo e rossetto. L’orchestra è una base registrata, ma la sua voce è viva, calda, quasi materica.
A metà canzone, tra le strofe, Rosa pronuncia il nome di Rosario. È solo un soffio, ma lui lo sente vibrare nello sterno. Gli occhi di lei lo cercano, e per un momento il resto scompare: non c’è pubblico, non c’è festa, solo quell’arco di luce che li unisce. Quando il brano finisce, l’applauso è un’onda che travolge la stanza.
Rosario resta seduto, il bicchiere e il ventaglio stretti in mano, il cuore in gola. Rosa Corallo gli ha cambiato la messa a fuoco. Il mondo che conosceva ora è sfocato.
Dopo la festa, Giulia lo lascia sotto al portone.
— Domani mattina si dorme finalmente. Pomeriggio ci sentiamo?
— Si.Non ho niente da fare, ti chiamo!
Rosario gira la chiave. Il corridoio di casa odora di cera per pavimenti. Dalla finestra entra una lama di luce taglia il percorso lucido fino alla porta della sua camera da letto, come un confine.
Rosario ama la notte, e questa notte non vuole farla finire come tutte le altre. Chiude la porta della stanza dietro di sé. Il silenzio è denso, come acqua ferma. Lo specchio è un rettangolo freddo che da anni restituisce sempre lo stesso volto, lo stesso sguardo sfuggente. È un buco nero da riempire.
Ci passa davanti nella penombra, si ferma. Pigia l’indice sull’interruttore della lampada da tavolo. Appoggia la giacca sulla sedia, si sfila le scarpe, resta scalzo sul pavimento freddo. La luce gialla disegna un cerchio sul ripiano, dentro cui spalanca la borsa con i trucchi presi a prestito da un’amica e mai usati.
Le dita tremano mentre aprono un eyeliner nero. L’odore acre della matita lo colpisce. Si china verso lo specchio. La punta disegna una linea incerta sulle palpebre. Subito, due lacrime la sciolgono in un rivolo grigio che scende fino alla guancia.
Si ferma. Inspira. Chiude gli occhi. Nella testa rimbalza la voce di Rosa Corallo:
— Se lo specchio non ti piace… cambialo.
Si lava il viso. Sente l’acqua calda che scioglie il nero come inchiostro.
Poi ricomincia: fondotinta, cipria, un tocco di rosso sulle labbra. Paillettes che pizzicano la pelle, piume morbide che frusciano contro le braccia. Infila le Chanel tacco 12: il cuoio cede appena, accoglie il peso del piede. Si raddrizza. Inspira a fondo, Il torace si apre, la schiena si allunga.
Nello specchio, la magia.
Una meravigliosa magia: lui si vede e sa chi è. La voce è chiara, non trema.
— Non sto fingendo di essere una donna. Non sto fingendo di essere un uomo vestito da donna. Sto… solo… essendo.
Sorride al suo pensiero scemo, a quella frase senza costrutto. Gli ritorna forte in mente l’immagine e la voce della professoressa di italiano, col foglio della verifica in mano:
— Rosario! Questo è vandalismo contro la lingua italiana. Devo darti un tre.
Vandalismo, sì. Ma a lui la parola essendo piace. È un atto di esistenza. Accende la luce nella stanza, per guardarsi meglio.
Sotto le pressioni più dure, il carbonio diventa pietra preziosa. Sotto le sfide più intense, Rosario ha forgiato la sua forza e il suo carattere.
Alla luce del lampadario, il suo corpo rivela sfaccettature irripetibili, proprio come un diamante.
Le sue mani, la sua bocca, i suoi fianchi, i suoi occhi sono nuovi.
— Sto solo… essendo — ripete a voce alta.
— E io, sì, sono un vandalo.
La frase si espande nella stanza, riempie ogni angolo. Esclude e resetta tutto. Rosario guarda lo specchio. Il suo riflesso non è un travestimento: è un incontro.
Fuori, la città dorme. Dentro, Vanda Lismo è appena nata.
Titolo: Essendo
Il sole di Palermo non ha pietà: taglia le strade come una lama di vetro, rimbalza sugli intonaci scrostati, si infila negli occhi fino a bruciare. L’aria è un miscuglio di odori: spezie, pane caldo spolverato di sesamo, mare lontano intrappolato nei vicoli. Rosario cammina con lo zaino sformato sulle spalle e lo sguardo incollato all’asfalto. Intorno, occhi muti: alcuni tagliano l’aria come coltelli sottili, altri lo attraversano come vento gelido. Ogni passo è una frizione contro il muro invisibile del disprezzo. Sa di essere gay. Lo sa come si sa di respirare. Non è una scelta, è un fatto. E i compagni lo sanno anche loro: lo leggono nei gesti, nel modo in cui le mani lo tradiscono.
Gli insulti arrivano a raffiche brevi, come sassi lanciati da mani invisibili: ricchione, femminuccia. Qualcuno ride, strozzato. Altri abbassano lo sguardo, fingendo di non vedere. Ma gli occhi giudicano sempre, anche quando tacciono. Come quelli di sua madre, che lo scruta e non parla.
A scuola, il ronzio delle voci è una rete che lo intrappola. Durante la ricreazione, il cortile puzza di fumo e arancine unte. Lui si rifugia in un angolo, guarda il muro finché il resto del mondo si dissolve. Rosario ha solo diciassette anni e non vuole essere visto. Vorrebbe essere un’ombra appena staccata dal pavimento, un soffio che attraversa le strade senza lasciare traccia. A volte, vorrebbe non esistere affatto. Sparire come polvere in controluce.
Rosario è seduto all’ultimo banco, il quaderno aperto davanti. La professoressa di italiano entra con passo deciso, il tailleur beige che stride con la luce cruda del neon.
— Allora, ragazzi, oggi parliamo di Pirandello. Dell’identità. Della maschera che ognuno indossa.
Si ferma accanto al banco di Rosario. Lo guarda, con un’espressione che non è ostile, ma neppure neutra.
— C’è chi la maschera non la toglie mai. O forse non ne ha nemmeno una. E allora… cosa resta?
Qualcuno ridacchia. Rosario abbassa lo sguardo. Le parole gli si conficcano nella nuca come spine.
— Rosario, vuoi leggere tu il passo? — La voce è gentile, ma c’è qualcosa nel tono che lo mette a disagio. Lui prende il libro. Legge. La professoressa lo interrompe.
— Prova con un po’ più di intensità. Dai, metti più forza. Rosario si irrigidisce.
— Così va meglio — dice lei, con un sorriso non espresso dagli occhi.
— Pirandello ci insegna che l’identità è una costruzione. Ma alcune identità… sono più complesse da sostenere.
Rosario resta immobile. Il cuore gli batte forte. Non è tanto quello che ha detto, ma come lo ha detto. Come se lo stesse mettendo in discussione senza farlo apertamente. Nessuno ride. Nessuno lo difende. Lei si volta, prosegue la lezione. Rosario sente la rabbia salire, ma resta seduto.
La scuola è finita e suo padre lo liquida con quattrocento euro, un biglietto per la Capitale e una lettera di raccomandazione.
Il treno lascia Palermo in una mattina opaca di fine inverno. La brezza tiepida dell’aria condizionata gli sfiora la pelle, il rumore ritmico delle ruote si sincronizza al battito del suo cuore. Nelle dita stringe il biglietto, un’àncora salvifica. Dal finestrino, guarda il mare che si ritira lento: è un nastro grigio che si dissolve. Ogni stazione è un distacco breve ma definitivo. Il vagone vibra. Rosario affonda nel sedile, il cuore che rimbalza tra gola e stomaco. Non sa esattamente cosa lo aspetta, ma sa cosa ha lasciato: giorni graffiati tra le mura della sua cameretta.
Roma lo inghiotte in una sera che odora di pioggia recente e caldarroste. I neon delle insegne tagliano il buio, la strada vibra di clacson e voci in lingue miste. Nessuno lo guarda più di un secondo, e quell’assenza di attenzione è una carezza nuova, mai provata.
Dopo qualche giorno, in un bar dal bancone appiccicoso, incontra Giulia. La prima volta, sul treno, lui non l’aveva nemmeno notata. Era seduto vicino al finestrino, le mani strette intorno al borsone come fosse una ringhiera. Lei si era sistemata accanto e, vedendolo sotto quel velo di paura, aveva estratto dalla borsa due cuffie rosa.
— Prova queste — gli aveva detto in un soffio, mentre lui esaminava il dispositivo, incerto. Al primo accordo di musica, la tensione si era sciolta: poteva respirare di nuovo.
Giulia è una di quelle persone che, se entrano in una stanza, spostano l’aria anche senza volerlo. Capelli scuri raccolti in fretta, un ciuffo ribelle le sfiora la guancia; negli occhi, una scintilla di ironia, come se la vita fosse un gioco da prendere di sbieco. Sorride in un modo delizioso e sembra conoscere la sua storia senza che lui la racconti. Parlano di tutto e di niente. Lei fuma e gesticola, e il fumo le disegna aureole intorno al viso.
— Vieni con me stasera. Ho un invito per due, è qualcosa che ti piacerà.
— Non so… non conosco nessuno.
— Meglio. Così non devi piacere a nessuno.
Il tono è leggero e negli occhi di Giulia c’è una promessa di complicità. Rosario sente la tentazione come una corrente calda che lo spinge fuori dalla sua zona d’ombra. Accetta. Si fida. E poi è sabato, non ha altro da fare.
La casa dove entrano è un dedalo di stanze. La festa è un vortice: luci color ambra, lampadine calde attorcigliate ai fili elettrici colorati, musica che pulsa dal pavimento alle costole, l’odore dolce e pungente di liquore e profumo mescolati all’incenso che brucia lento in un posacenere. Le stanze si aprono una dentro l’altra come sipari: pelle che sfiora pelle, risate, bicchieri che tintinnano. Rosario resta vicino alla porta, sfiorando col polpastrello il legno, per assicurarsi una via di fuga. Giulia gli mette in mano un bicchiere, si china verso di lui per superare il rumore:
— Respira. Guarda. Siamo vivi!
Un ragazzo con eyeliner blu gli passa accanto, lasciando una scia di profumo dolce e spezie.
— Hai visto quante lanterne? — grida anche lui per sovrastare la musica. Rosario risponde con un cenno; si accorge che, per la prima volta, non sente il bisogno di nascondersi in mezzo alla gente. Si lascia andare. Segue Giulia che si muove sicura.
— Vieni, ti presento una persona.
Rosario annuisce, la segue. Lungo un breve corridoio la luce diventa più soffusa, il profumo di vaniglia e patchouli aleggia nell’aria. Giulia, elegante e sicura, prende per mano Rosario, che appare emozionato e un po’ intimidito. I suoi occhi si spalancano mentre varcano la soglia: La stanza esplode di colori: abiti scintillanti appesi come opere d’arte, lampadari di cristallo che riflettono mille luci. Sul divano di velluto verde, incorniciata da cuscini ricamati e ombre di piante alte, Rosario la vede: Rosa Corallo. Mezza età, avvolta nell’abito di scena, capelli raccolti in onde lucide, occhi che, quando si posano su di lui, lo attraversano. Prima che Rosario possa dire una parola, la drag si alza e gli va incontro. Lo fissa, inclina appena la testa.
— E tu chi saresti, tesoro? Hai lo sguardo da cucciolo… concediti di brillare. Ce la puoi fare, sai? — Giulia si mette tra i due.
— È un mio amico, si chiama Rosario e…
Ma Rosa Corallo non l’ascolta. Non ha occhi che per quel ragazzo impacciato. In mano ha un ventaglio di stoffa blu cobalto. Con uno scatto lo apre davanti al viso di Rosario, un colpo secco: toc.
— Regola numero uno: la vita è un palcoscenico. Sai quando sali, non sai quando scendi. Ma ci devi stare. E allora che fai? Non reciti? Se allo specchio non ti vedi, ragazzo, allora cambia lo specchio. Questo è tuo. Gli lascia il ventaglio, chiuso, nel palmo. Gli volta le spalle e, col braccio alzato, mima il gesto di sventolarsi.
— Provaci!.
Rosa torna sul piccolo palco improvvisato nel cuore della festa. Rosario stringe il ventaglio nella mano, incapace di staccare lo sguardo da Rosa Corallo. Giulia sorride.
— Ti piace, vero? Devi vederla in azione. È magnetica.
Le luci si abbassano appena, il brusio si ritira come una marea. Due fari tremolanti, un microfono che odora di metallo e rossetto. L’orchestra è una base registrata, ma la sua voce è viva, calda, quasi materica.
A metà canzone, tra le strofe, Rosa pronuncia il nome di Rosario. È solo un soffio, ma lui lo sente vibrare nello sterno. Gli occhi di lei lo cercano, e per un momento il resto scompare: non c’è pubblico, non c’è festa, solo quell’arco di luce che li unisce. Quando il brano finisce, l’applauso è un’onda che travolge la stanza.
Rosario resta seduto, il bicchiere e il ventaglio stretti in mano, il cuore in gola. Rosa Corallo gli ha cambiato la messa a fuoco. Il mondo che conosceva ora è sfocato.
Dopo la festa, Giulia lo lascia sotto al portone.
— Domani mattina si dorme finalmente. Pomeriggio ci sentiamo?
— Si.Non ho niente da fare, ti chiamo!
Rosario gira la chiave. Il corridoio di casa odora di cera per pavimenti. Dalla finestra entra una lama di luce taglia il percorso lucido fino alla porta della sua camera da letto, come un confine.
Rosario ama la notte, e questa notte non vuole farla finire come tutte le altre. Chiude la porta della stanza dietro di sé. Il silenzio è denso, come acqua ferma. Lo specchio è un rettangolo freddo che da anni restituisce sempre lo stesso volto, lo stesso sguardo sfuggente. È un buco nero da riempire.
Ci passa davanti nella penombra, si ferma. Pigia l’indice sull’interruttore della lampada da tavolo. Appoggia la giacca sulla sedia, si sfila le scarpe, resta scalzo sul pavimento freddo. La luce gialla disegna un cerchio sul ripiano, dentro cui spalanca la borsa con i trucchi presi a prestito da un’amica e mai usati.
Le dita tremano mentre aprono un eyeliner nero. L’odore acre della matita lo colpisce. Si china verso lo specchio. La punta disegna una linea incerta sulle palpebre. Subito, due lacrime la sciolgono in un rivolo grigio che scende fino alla guancia.
Si ferma. Inspira. Chiude gli occhi. Nella testa rimbalza la voce di Rosa Corallo:
— Se lo specchio non ti piace… cambialo.
Si lava il viso. Sente l’acqua calda che scioglie il nero come inchiostro.
Poi ricomincia: fondotinta, cipria, un tocco di rosso sulle labbra. Paillettes che pizzicano la pelle, piume morbide che frusciano contro le braccia. Infila le Chanel tacco 12: il cuoio cede appena, accoglie il peso del piede. Si raddrizza. Inspira a fondo, Il torace si apre, la schiena si allunga.
Nello specchio, la magia.
Una meravigliosa magia: lui si vede e sa chi è. La voce è chiara, non trema.
— Non sto fingendo di essere una donna. Non sto fingendo di essere un uomo vestito da donna. Sto… solo… essendo.
Sorride al suo pensiero scemo, a quella frase senza costrutto. Gli ritorna forte in mente l’immagine e la voce della professoressa di italiano, col foglio della verifica in mano:
— Rosario! Questo è vandalismo contro la lingua italiana. Devo darti un tre.
Vandalismo, sì. Ma a lui la parola essendo piace. È un atto di esistenza. Accende la luce nella stanza, per guardarsi meglio.
Sotto le pressioni più dure, il carbonio diventa pietra preziosa. Sotto le sfide più intense, Rosario ha forgiato la sua forza e il suo carattere.
Alla luce del lampadario, il suo corpo rivela sfaccettature irripetibili, proprio come un diamante.
Le sue mani, la sua bocca, i suoi fianchi, i suoi occhi sono nuovi.
— Sto solo… essendo — ripete a voce alta.
— E io, sì, sono un vandalo.
La frase si espande nella stanza, riempie ogni angolo. Esclude e resetta tutto. Rosario guarda lo specchio. Il suo riflesso non è un travestimento: è un incontro.
Fuori, la città dorme. Dentro, Vanda Lismo è appena nata.