[CE2025] Zia Astoria
Posted: Mon Aug 04, 2025 12:12 pm
1. "Le lettere ritrovate"
Zia Astoria ha pensato bene di spirare la notte fra il due e il tre luglio.
È vero che mi aveva chiamato dicendo di volermi vedere un’ultima volta prima di morire, ed è anche vero che ho ritardato di una settimana perché non ne avevo tanta voglia. La conferenza sulla riqualificazione delle zone di guerra era molto più interessante.
Però avrebbe potuto aspettare fino al mio ritorno a San Pietro dei Castagni.
Stavo affrontando l’ultima curva prima del paese quando la direttrice della casa di riposo mi annuncia al cellulare che la mia cara zia ci ha lasciato. Aggiungendo che sarebbe opportuno che passassi appena possibile da loro per compilare le carte in quanto unico parente in vita. Del resto, certe cose meglio farle subito, anche perché avevano bisogno del letto per un’altra ospite quasi centenaria, e, si sa, il tempo vola.
Così ora con il trolley ancora in macchina e gli occhi pieni dei castagni della mia infanzia, sono nell'ufficio della dottoressa Pertinazzi “Mi chiami pure Giusy, siamo una grande famiglia” a compilare e firmare tutti i moduli necessari per le esequie e la successione.
Tempo cinque minuti e ho in mano la valigia con gli ultimi averi della zia. Lei già lavata e vestita nella cappella ad attendere il mio ultimo saluto.
La Giusy, viscida e gentile, mi informa che i gioielli e la chiave di casa della zia erano nella tasca laterale della valigia.
A me sembrava che la casa l'avesse venduta prima di venire in casa di riposo, si vede che si era tenuta la chiave come ricordo. Valli a capire i vecchi.
Astoria Pianceroni, la sorella maggiore di cinque anni di mio padre, è sdraiata su un tavolaccio improvvisato nella cappella. Ad ogni angolo un cero acceso e, in prima fila, una vecchia in sedia a rotelle munita di rosario.
Certo che adesso mi tocca sedermi e fingere di dire una preghiera per non fare brutta figura. Quanto durerà la preghiera per una morta che era il terrore della mia infanzia e anche da adulto riusciva a mettermi a disagio?
“Povera Astoria, nemmeno ha fatto in tempo a vedere il nipote preferito?”
Talmente preferito che erano vent’anni che non vedevo lei e nemmeno il paese.
“Già.” Rispondo alla vecchia.
“Diceva sempre che aveva una sorpresa per il suo Luca. E tu sei il Luca, vero?”
“Si” le vecchiette di solito mi fanno tenerezza, ma questa era troppo in confidenza con mia zia per godere del bonus simpatia.
Quindi aggiungo un “Mi scusi, devo proprio andare.” a cui lei risponde con un “Ci credo.” tremolante.
Mi avvicino all'acqua santa per benedire la salma e, nonostante zia Astoria abbia gli occhi chiusi, mi sembra ancora di percepire il suo sguardo severo e beffardo allo stesso tempo. La bocca è atteggiata ad un lieve sorriso all'ombra del naso importante. Mi pareva più brutta in vita, ma ammetto che non mi è dispiaciuto centrare gli occhi e la bocca con la prima frustata di acqua santa.
L’albergo Bellavista, l’unico di San Pietro, si trova nella piazza centrale di fronte alla chiesa. La mia camera è al terzo piano e dalla finestra vedo le montagne con i loro castagneti e a destra il baluginio del laghetto, San Pietro anche lui.
Non faccio in tempo a godermi l’arredamento anni 60 in vera fòrmica che già qualcuno bussa alla mia porta.
“Buongiorno, sono il notaio Springhetti, esecutore testamentario della fu Astoria Pianceroni.”
Non poteva che essere un vecchio ingobbito, un notaio da operetta.
Lo faccio accomodare anche se mi pare del tutto superfluo, visto che gli averi della zia erano lì nella valigia di fianco al letto.
“Architetto Pianceroni,” esordisce,” sono qui per dare seguito alle ultime e precise volontà della signora Pianceroni.”
Annuisco molto serio, non voglio rovinare questo momento così formale.
“Posso procedere?”
“Certamente”
“La fu Astoria Pianceroni è proprietaria dell’unica casetta sul lago San Pietro e anche di tutto il suo contenuto. Il totale del suo conto corrente è di 143.274,27 euro, sarà sua cura avvisare al più presto l’INPS affinché interrompa l’erogazione della pensione minima.”
Con la minima come avrà fatto a fare tutti quei soldi?
“La prego mi segua.” continua il notaio “Inoltre ci sono 557.000 euro investiti in BOT. Non mi guardi così, non sono mai riuscito a convincere sua zia a diversificare gli investimenti, però ha sempre incassato dei buoni dividendi.”
“Mi scusi, ma come ha fatto mia zia a guadagnare questo denaro. Non ha lavorato un giorno in vita sua. Sempre alla finestra a ricamare o in chiesa a pregare, al massimo si dedicava all'orto.”
“Non mi occupo di quello che non mi riguarda. Firmi qui e qui. Non si faccia domande e vada a vivere nella casa sul lago, invece di sprecare i soldi in albergo.”
Firmo in silenzio e mi chiedo che cosa stia succedendo.
“Non ho le chiavi.” dico come un ragazzino.
“Per quanto ne so, sono nella valigia. Mi scusi, scappo che vado in tribunale a depositare i documenti così nel giro di una settimana diventa legittimo proprietario e avrà anche accesso ai conti della signora.”
Raccoglie le carte in un batter d’occhio e se ne va senza quasi salutarmi.
Alla reception mi chiedono se mi sono seduto sul letto.
“No, non ho nemmeno usato il bagno”
“Allora vada pure, non mi deve niente. È stato qui meno di ora.”
Un’ora durante la quale mi scopro proprietario di una casa e di un bel gruzzolo.
Un istante prima che riesca a salire in macchina una signora pienotta dalla permanente improbabile mi chiama: „Signor Pianceroni!”
Riprende un po’ sfiatata:” Mi scusi, sono l’impiegata dell’ufficio funebre del comune. Sua zia ha dato istruzioni precise sul suo funerale, ma ci servirebbe qualche firma, così da fare la funzione già sabato. Così quel che è fatto, è fatto e non ci pensiamo più. Il prete è già informato ed è tutto organizzato. Se potesse venire con me adesso, apro l’ufficio apposta per lei, così tutto ha la sua correttezza.”
“Ma?”
“Niente ma, anche il sindaco è d’accordo. Venga, e non mi faccia perdere tempo.”
La seguo con la netta sensazione di qualcosa di molto sbagliato. Questo paese sembra preparato per questo momento, come se tutti avessero aspettato la morte di mia zia e il mio arrivo.
Nell'ufficio firmo per il funerale: cassa di legno semplice, messa in chiesa, corteo con la banda fino al cimitero, sepoltura e rinfresco ovviamente all'albergo Bellavista.
“Sabato mattina alle nove, sia puntuale.”
“Vi occupate anche del rinfresco?”
“Solo per l’Astoria e solo perché ha pagato un anticipo con una bella donazione per la mensa della scuola. Arrivederci e condoglianze, che devo chiudere.”
Espulso dagli uffici comunali, mi avvio in macchina verso la mia casa sul laghetto.
Zia Astoria non era benvoluta, non aveva amiche ed era arcigna e severa. L’unico suo pregio era il profumo. Odorava sempre di arancia e zenzero. Quando le chiedevo da dove provenisse quella fragranza, mi rispondeva che non è necessario sapere da dove provenga il miele, basta saperselo godere. Rispondeva spesso con delle frasi prive di significato come a voler ingarbugliare apposta i miei pensieri. Cerco di ricostruire qualcosa di lei, di formulare almeno un pensiero di gratitudine, ma sono talmente confuso e sopraffatto che desidero solo sdraiarmi e dormire.
La casa sul lago è piccola, ma accogliente.
Tutto è pulito, il frigo è pieno, gli asciugamani al posto loro, il letto matrimoniale al piano superiore appena fatto di lenzuola profumate e scorre anche l’acqua calda dai rubinetti, come se fosse stata abitata fino ad un momento fa.
In cucina sul tavolo, fermato da un vaso di fiori freschi c’è un bigliettino e un’altra chiave.
Ho preparato tutto come voleva sua zia.
Queste sono le chiavi che mi aveva dato per le emergenze, ma ora non mi servono più.
Passo oggi pomeriggio per salutarla e per darle delle cose.
Maria Preginzi.
Questa è la moglie del tizio a cui ho venduto la casa di mio padre.
Papà era rimasto lì anche dopo che mamma era morta, e quando è toccato a lui avevo bisogno di soldi per avviare lo studio d’architettura. Pensavo che mai più sarei tornato in questo buco e con un bell'incasso mi sono liberato della mia infanzia.
Però ora, seduto sul divano con la mia birra, ammetto che il lago ha un suo perché. Le montagne e gli alberi ci si specchiano e, a vedere la mezza idea di pontile che ci hanno messo, forse è anche balneabile.
In effetti fa caldo e un bagno potrebbe rilassarmi.
Il legno scaldato dal sole scricchiola sotto ai piedi nudi. A una estremità c’è una scaletta che sembra solida. L’acqua è limpida e invitante. Lascio cadere i vestiti e mi tuffo nudo. L’acqua gelida si richiude su di me, i polmoni stretti in una morsa.
Potrei affogare e non avrei nessuno a cui lasciare ciò che avevo appena ereditato. Mirella si era separata da me: preferiva fare dei figli che adottarne con un uomo sterile. Ad ogni bracciata verso la superficie riflettevo sulla mia solitudine, sulla mia mancanza di intimità col mondo. Zia Astoria, invece, stronza com'era, ha tutto un paese al suo servizio. Zia Astoria aspra e chiusa, che ho ignorato per vent'anni tranne qualche cartolina un paio di volte l’anno e le canoniche chiamate alle feste comandate, non ha avuto altra scelta che lasciare tutto a me, stronzo pure io.
Emergo e la prima boccata di aria cancella tutti i pensieri lasciando un velo amaro. Tre bracciate e sono alla scaletta con l’obiettivo di un’altra birra sul divano per chiudere meglio gli occhi e digerire tutta questa storia.
“Eccola, architetto, l’ho cercata dappertutto, mi stavo preoccupando.”
“Buongiorno, Maria”
Cazzo, meno male che non sono ancora tutto fuori dall'acqua.
“Bella nuotata?”
“Si, senta, sono senza costume, potrebbe per favore…”
“Rimanga lì, vado a prenderle l’accappatoio.”
Me lo porge di schiena e assieme ci avviamo verso casa.
“Sono venuta a portarle delle lettere che abbiamo trovato nell'intercapedine dietro alla stufa a legna quando abbiamo fatto i lavori.”
“Lettere?” e mi trovo in mano due buste entrambe intestate a me. Su una riconosco la calligrafia di mio padre, l’altra mi è estranea.
Maria continua a raccontarmi di quanto lei e la sua famiglia siano felici nella casa dove sono cresciuto, di come si sia presa cura di questa. Continua a parlare dandomi istruzioni su questa casa, sulla caldaia, sull'orto sul retro, i cerbiatti e le trote nel lago.
Ascolto con mezzo orecchio mentre lacero la busta con la calligrafia estranea. Due facciate scritte fitte che esordiscono con “Figlio mio” e terminano con “Per sempre nel mio cuore. Astoria”
“Maria, un bicchiere d’acqua, per favore.”
“Non si sente bene?”
“Acqua. E vorrei rimanere solo, mi scusi.”
Figlio mio.
Si, Luca, figlio mio.
Le situazioni precipitano, alle volte anche le persone, come è capitato a tuo zio Reginaldo quando ha saputo che ero incinta di te. È stato quasi un incidente ed è una lunga storia.
Ho scritto tutto e nascosto tutto, lasciando al destino il compito di farti avere queste mie parole.
Lo so che ti sto antipatica, che sono severa e poco gradevole, ma sono anche tua madre e ti amo come nient’altro nella mia vita.
Ho detto a Reginaldo di essere incinta mentre facevamo una passeggiata in cresta. Avevo appena compiuto quarant'anni. Per prima cosa mi ha dato subito della puttana e non a torto, perché a me gli uomini sono sempre piaciuti e con uno non ero stata attenta. Ho sempre amato conquistarli, sedurli e vendere loro le mie grazie. Si, ero proprio una puttana e ho continuato ad esserlo anche dopo. Non è una storia strappalacrime. Semplicemente non ero fatta per il matrimonio, a me il sesso è sempre piaciuto parecchio e non ci ho trovato mai niente di male a legare il dovere al piacere. Certo non tutti gli uomini mi hanno pagato in denaro, ma nessuno ha lasciato debiti.
Capisco che non siano discorsi da fare tra madre e figlio. Infatti, non ero nemmeno adatta a crescerti, ma allo stesso tempo sentivo che l’aborto non era una cosa giusto, io volevo a tutti i costi partorirti.
Così quando Reginaldo piangendo ha iniziato a spintonarmi e a prendermi a schiaffi, io mi sono difesa come una furia, per me e per il piccolo estraneo che portavo in grembo. Non ero una bella persona, ma non meritavo nemmeno di morire e men che meno tu. Durante quella zuffa Reginaldo perse l’equilibrio e precipitò dalla cresta. E così in un attimo mi ritrovai vedova, puttana e incinta.
Andai da tuo padre, che ormai era sposato da otto anni con Nerina. Non potevano avere figli, lui era sterile come te.
Gli proposi di farti passare per figlio suo e di Nerina, avrei contribuito al mantenimento, loro avrebbero avuto il figlio tanto desiderato e io avrei potuto continuare la mia vita senza perderti di vista.
Al terzo mese me ne andai dal paese, ufficialmente a curare una vecchia parente. Intanto Nerina si metteva i cuscini sotto ai vestiti e raccontava che a causa della gravidanza difficile si faceva curare in città. Al quinto mese lo stato di Nerina peggiorò e dovette essere ricoverata in una clinica in città. In realtà mi raggiunse a Loano, dove passammo quattro meravigliosi mesi in tua attesa. Il giorno del parto tuo padre e tua madre erano con me. Quando sei nato piangevamo abbracciati dalla felicità.
I tuoi genitori partirono subito per San Pietro per denunciare la tua nascita in comune. L’impiegato dell’anagrafe era un po’ stranito, ma mi raccontarono che tuo padre molto deciso gli disse “Mio figlio non è di città, lui è un sanpietrino!” Davanti a questa argomentazione l’impiegato fece quello che c’era da fare affinché tu fossi figlio dei tuoi genitori.
Io rimasi ancora qualche mese a Loano. Non hai idea di quanto presto ci si possa riprendere da un parto, e ammetto che quella era un gran piazza: uomini belli e abbienti!
Avevo fatto bene a non tornare prima. Appena arrivata venni a visitarti. Eri un meraviglioso bambino di tre mesi. Ma il tripudio di pannolini e biberon non faceva proprio per me. Avevi anche il vizio di fartela addosso appena ti prendevo in braccio. Quella puzza di yogurt rancido era davvero intollerabile. Nerina invece sprizzava gioia da tutti i pori come anche tuo padre. La casa era piccola. Misi mano ai miei risparmi e comprai la casa nella quale sei cresciuto. Tuo padre era una brava persona, ma certo far soldi non era scritto nel suo destino e a me andava bene così. Quando avevo voglia di famiglia passavo da voi e mi godevo della compagnia. E poi comunque quando tua madre riprese a lavorare, appena tu non hai più avuto bisogno di pannolini, stavi da me, quindi la soluzione era perfetta.
Eravamo tutti felici, tu per primo.
Io potevo continuare la mia vita e i tuoi genitori avevano realizzato il loro sogno.
In paese tutti usufruivano dei miei servizi, sia giovani che vecchi, anche dai paesi vicini. Alle volte facevo anche visite a domicilio. Sono stata molto amata e desiderata, e protetta e tutelata dai miei uomini. Credo che in paese non ci sia nessuno che non sia venuto a letto con me. Non è una cosa di cui vantarsi col proprio figlio, ma questo ti spiegherà perché sono tutti così gentili e disponibili a esaudire i miei desideri. Alcune signore del paese lo sapevano. Certe si sono arrabbiate, ma altre hanno digerito il boccone amaro, perché i mariti tornavano a casa felici e spesso avevano anche imparato cose sorprendenti di cui godevano anche loro.
Tuo padre carnale è l’ex proprietario della casa sul lago. Gli dissi che doveva intestarmela per il figlio che portavo in grembo. Lui era un professore universitario, credo di letteratura, che veniva a stare qui qualche settimana estiva. Comunque, era un molto colto e intelligente, proprio come sei tu. Lo ha trovato un accordo equo e per qualche anno ha continuato a tornare in vacanza qui anche se era già casa mia. Vi siete anche visti.
Ti ricordi quella valigetta piena di matite colorate, pennarelli e acquarelli? Te li ha regalati lui per i tuoi sei anni.
Non cercarlo, è morto alcuni giorni fa. Ha due figli e confido nel fatto che non andrai a disturbarli.
Con questo ti ho detto tutto ciò che conta.
Ho goduto di ogni istante con te, di ogni tuo successo e sono fiera dell’uomo che sei diventato.
Per sempre nel mio cuore.
Astoria
Fuori è il crepuscolo e sto piangendo lacrime che non sapevo di avere: lacrime di rabbia, di delusione, di amore. Lacrime aride per una donna che ho sempre temuto un po’, a cui facevo il verso alle spalle, che ho messo nel dimenticatoio per vent'anni, per una madre per cui non è valsa la pena di rinunciare a qualche giorno di conferenza.
E sabato sarei andato al funerale orfano di quattro genitori.
Zia Astoria ha pensato bene di spirare la notte fra il due e il tre luglio.
È vero che mi aveva chiamato dicendo di volermi vedere un’ultima volta prima di morire, ed è anche vero che ho ritardato di una settimana perché non ne avevo tanta voglia. La conferenza sulla riqualificazione delle zone di guerra era molto più interessante.
Però avrebbe potuto aspettare fino al mio ritorno a San Pietro dei Castagni.
Stavo affrontando l’ultima curva prima del paese quando la direttrice della casa di riposo mi annuncia al cellulare che la mia cara zia ci ha lasciato. Aggiungendo che sarebbe opportuno che passassi appena possibile da loro per compilare le carte in quanto unico parente in vita. Del resto, certe cose meglio farle subito, anche perché avevano bisogno del letto per un’altra ospite quasi centenaria, e, si sa, il tempo vola.
Così ora con il trolley ancora in macchina e gli occhi pieni dei castagni della mia infanzia, sono nell'ufficio della dottoressa Pertinazzi “Mi chiami pure Giusy, siamo una grande famiglia” a compilare e firmare tutti i moduli necessari per le esequie e la successione.
Tempo cinque minuti e ho in mano la valigia con gli ultimi averi della zia. Lei già lavata e vestita nella cappella ad attendere il mio ultimo saluto.
La Giusy, viscida e gentile, mi informa che i gioielli e la chiave di casa della zia erano nella tasca laterale della valigia.
A me sembrava che la casa l'avesse venduta prima di venire in casa di riposo, si vede che si era tenuta la chiave come ricordo. Valli a capire i vecchi.
Astoria Pianceroni, la sorella maggiore di cinque anni di mio padre, è sdraiata su un tavolaccio improvvisato nella cappella. Ad ogni angolo un cero acceso e, in prima fila, una vecchia in sedia a rotelle munita di rosario.
Certo che adesso mi tocca sedermi e fingere di dire una preghiera per non fare brutta figura. Quanto durerà la preghiera per una morta che era il terrore della mia infanzia e anche da adulto riusciva a mettermi a disagio?
“Povera Astoria, nemmeno ha fatto in tempo a vedere il nipote preferito?”
Talmente preferito che erano vent’anni che non vedevo lei e nemmeno il paese.
“Già.” Rispondo alla vecchia.
“Diceva sempre che aveva una sorpresa per il suo Luca. E tu sei il Luca, vero?”
“Si” le vecchiette di solito mi fanno tenerezza, ma questa era troppo in confidenza con mia zia per godere del bonus simpatia.
Quindi aggiungo un “Mi scusi, devo proprio andare.” a cui lei risponde con un “Ci credo.” tremolante.
Mi avvicino all'acqua santa per benedire la salma e, nonostante zia Astoria abbia gli occhi chiusi, mi sembra ancora di percepire il suo sguardo severo e beffardo allo stesso tempo. La bocca è atteggiata ad un lieve sorriso all'ombra del naso importante. Mi pareva più brutta in vita, ma ammetto che non mi è dispiaciuto centrare gli occhi e la bocca con la prima frustata di acqua santa.
L’albergo Bellavista, l’unico di San Pietro, si trova nella piazza centrale di fronte alla chiesa. La mia camera è al terzo piano e dalla finestra vedo le montagne con i loro castagneti e a destra il baluginio del laghetto, San Pietro anche lui.
Non faccio in tempo a godermi l’arredamento anni 60 in vera fòrmica che già qualcuno bussa alla mia porta.
“Buongiorno, sono il notaio Springhetti, esecutore testamentario della fu Astoria Pianceroni.”
Non poteva che essere un vecchio ingobbito, un notaio da operetta.
Lo faccio accomodare anche se mi pare del tutto superfluo, visto che gli averi della zia erano lì nella valigia di fianco al letto.
“Architetto Pianceroni,” esordisce,” sono qui per dare seguito alle ultime e precise volontà della signora Pianceroni.”
Annuisco molto serio, non voglio rovinare questo momento così formale.
“Posso procedere?”
“Certamente”
“La fu Astoria Pianceroni è proprietaria dell’unica casetta sul lago San Pietro e anche di tutto il suo contenuto. Il totale del suo conto corrente è di 143.274,27 euro, sarà sua cura avvisare al più presto l’INPS affinché interrompa l’erogazione della pensione minima.”
Con la minima come avrà fatto a fare tutti quei soldi?
“La prego mi segua.” continua il notaio “Inoltre ci sono 557.000 euro investiti in BOT. Non mi guardi così, non sono mai riuscito a convincere sua zia a diversificare gli investimenti, però ha sempre incassato dei buoni dividendi.”
“Mi scusi, ma come ha fatto mia zia a guadagnare questo denaro. Non ha lavorato un giorno in vita sua. Sempre alla finestra a ricamare o in chiesa a pregare, al massimo si dedicava all'orto.”
“Non mi occupo di quello che non mi riguarda. Firmi qui e qui. Non si faccia domande e vada a vivere nella casa sul lago, invece di sprecare i soldi in albergo.”
Firmo in silenzio e mi chiedo che cosa stia succedendo.
“Non ho le chiavi.” dico come un ragazzino.
“Per quanto ne so, sono nella valigia. Mi scusi, scappo che vado in tribunale a depositare i documenti così nel giro di una settimana diventa legittimo proprietario e avrà anche accesso ai conti della signora.”
Raccoglie le carte in un batter d’occhio e se ne va senza quasi salutarmi.
Alla reception mi chiedono se mi sono seduto sul letto.
“No, non ho nemmeno usato il bagno”
“Allora vada pure, non mi deve niente. È stato qui meno di ora.”
Un’ora durante la quale mi scopro proprietario di una casa e di un bel gruzzolo.
Un istante prima che riesca a salire in macchina una signora pienotta dalla permanente improbabile mi chiama: „Signor Pianceroni!”
Riprende un po’ sfiatata:” Mi scusi, sono l’impiegata dell’ufficio funebre del comune. Sua zia ha dato istruzioni precise sul suo funerale, ma ci servirebbe qualche firma, così da fare la funzione già sabato. Così quel che è fatto, è fatto e non ci pensiamo più. Il prete è già informato ed è tutto organizzato. Se potesse venire con me adesso, apro l’ufficio apposta per lei, così tutto ha la sua correttezza.”
“Ma?”
“Niente ma, anche il sindaco è d’accordo. Venga, e non mi faccia perdere tempo.”
La seguo con la netta sensazione di qualcosa di molto sbagliato. Questo paese sembra preparato per questo momento, come se tutti avessero aspettato la morte di mia zia e il mio arrivo.
Nell'ufficio firmo per il funerale: cassa di legno semplice, messa in chiesa, corteo con la banda fino al cimitero, sepoltura e rinfresco ovviamente all'albergo Bellavista.
“Sabato mattina alle nove, sia puntuale.”
“Vi occupate anche del rinfresco?”
“Solo per l’Astoria e solo perché ha pagato un anticipo con una bella donazione per la mensa della scuola. Arrivederci e condoglianze, che devo chiudere.”
Espulso dagli uffici comunali, mi avvio in macchina verso la mia casa sul laghetto.
Zia Astoria non era benvoluta, non aveva amiche ed era arcigna e severa. L’unico suo pregio era il profumo. Odorava sempre di arancia e zenzero. Quando le chiedevo da dove provenisse quella fragranza, mi rispondeva che non è necessario sapere da dove provenga il miele, basta saperselo godere. Rispondeva spesso con delle frasi prive di significato come a voler ingarbugliare apposta i miei pensieri. Cerco di ricostruire qualcosa di lei, di formulare almeno un pensiero di gratitudine, ma sono talmente confuso e sopraffatto che desidero solo sdraiarmi e dormire.
La casa sul lago è piccola, ma accogliente.
Tutto è pulito, il frigo è pieno, gli asciugamani al posto loro, il letto matrimoniale al piano superiore appena fatto di lenzuola profumate e scorre anche l’acqua calda dai rubinetti, come se fosse stata abitata fino ad un momento fa.
In cucina sul tavolo, fermato da un vaso di fiori freschi c’è un bigliettino e un’altra chiave.
Ho preparato tutto come voleva sua zia.
Queste sono le chiavi che mi aveva dato per le emergenze, ma ora non mi servono più.
Passo oggi pomeriggio per salutarla e per darle delle cose.
Maria Preginzi.
Questa è la moglie del tizio a cui ho venduto la casa di mio padre.
Papà era rimasto lì anche dopo che mamma era morta, e quando è toccato a lui avevo bisogno di soldi per avviare lo studio d’architettura. Pensavo che mai più sarei tornato in questo buco e con un bell'incasso mi sono liberato della mia infanzia.
Però ora, seduto sul divano con la mia birra, ammetto che il lago ha un suo perché. Le montagne e gli alberi ci si specchiano e, a vedere la mezza idea di pontile che ci hanno messo, forse è anche balneabile.
In effetti fa caldo e un bagno potrebbe rilassarmi.
Il legno scaldato dal sole scricchiola sotto ai piedi nudi. A una estremità c’è una scaletta che sembra solida. L’acqua è limpida e invitante. Lascio cadere i vestiti e mi tuffo nudo. L’acqua gelida si richiude su di me, i polmoni stretti in una morsa.
Potrei affogare e non avrei nessuno a cui lasciare ciò che avevo appena ereditato. Mirella si era separata da me: preferiva fare dei figli che adottarne con un uomo sterile. Ad ogni bracciata verso la superficie riflettevo sulla mia solitudine, sulla mia mancanza di intimità col mondo. Zia Astoria, invece, stronza com'era, ha tutto un paese al suo servizio. Zia Astoria aspra e chiusa, che ho ignorato per vent'anni tranne qualche cartolina un paio di volte l’anno e le canoniche chiamate alle feste comandate, non ha avuto altra scelta che lasciare tutto a me, stronzo pure io.
Emergo e la prima boccata di aria cancella tutti i pensieri lasciando un velo amaro. Tre bracciate e sono alla scaletta con l’obiettivo di un’altra birra sul divano per chiudere meglio gli occhi e digerire tutta questa storia.
“Eccola, architetto, l’ho cercata dappertutto, mi stavo preoccupando.”
“Buongiorno, Maria”
Cazzo, meno male che non sono ancora tutto fuori dall'acqua.
“Bella nuotata?”
“Si, senta, sono senza costume, potrebbe per favore…”
“Rimanga lì, vado a prenderle l’accappatoio.”
Me lo porge di schiena e assieme ci avviamo verso casa.
“Sono venuta a portarle delle lettere che abbiamo trovato nell'intercapedine dietro alla stufa a legna quando abbiamo fatto i lavori.”
“Lettere?” e mi trovo in mano due buste entrambe intestate a me. Su una riconosco la calligrafia di mio padre, l’altra mi è estranea.
Maria continua a raccontarmi di quanto lei e la sua famiglia siano felici nella casa dove sono cresciuto, di come si sia presa cura di questa. Continua a parlare dandomi istruzioni su questa casa, sulla caldaia, sull'orto sul retro, i cerbiatti e le trote nel lago.
Ascolto con mezzo orecchio mentre lacero la busta con la calligrafia estranea. Due facciate scritte fitte che esordiscono con “Figlio mio” e terminano con “Per sempre nel mio cuore. Astoria”
“Maria, un bicchiere d’acqua, per favore.”
“Non si sente bene?”
“Acqua. E vorrei rimanere solo, mi scusi.”
Figlio mio.
Si, Luca, figlio mio.
Le situazioni precipitano, alle volte anche le persone, come è capitato a tuo zio Reginaldo quando ha saputo che ero incinta di te. È stato quasi un incidente ed è una lunga storia.
Ho scritto tutto e nascosto tutto, lasciando al destino il compito di farti avere queste mie parole.
Lo so che ti sto antipatica, che sono severa e poco gradevole, ma sono anche tua madre e ti amo come nient’altro nella mia vita.
Ho detto a Reginaldo di essere incinta mentre facevamo una passeggiata in cresta. Avevo appena compiuto quarant'anni. Per prima cosa mi ha dato subito della puttana e non a torto, perché a me gli uomini sono sempre piaciuti e con uno non ero stata attenta. Ho sempre amato conquistarli, sedurli e vendere loro le mie grazie. Si, ero proprio una puttana e ho continuato ad esserlo anche dopo. Non è una storia strappalacrime. Semplicemente non ero fatta per il matrimonio, a me il sesso è sempre piaciuto parecchio e non ci ho trovato mai niente di male a legare il dovere al piacere. Certo non tutti gli uomini mi hanno pagato in denaro, ma nessuno ha lasciato debiti.
Capisco che non siano discorsi da fare tra madre e figlio. Infatti, non ero nemmeno adatta a crescerti, ma allo stesso tempo sentivo che l’aborto non era una cosa giusto, io volevo a tutti i costi partorirti.
Così quando Reginaldo piangendo ha iniziato a spintonarmi e a prendermi a schiaffi, io mi sono difesa come una furia, per me e per il piccolo estraneo che portavo in grembo. Non ero una bella persona, ma non meritavo nemmeno di morire e men che meno tu. Durante quella zuffa Reginaldo perse l’equilibrio e precipitò dalla cresta. E così in un attimo mi ritrovai vedova, puttana e incinta.
Andai da tuo padre, che ormai era sposato da otto anni con Nerina. Non potevano avere figli, lui era sterile come te.
Gli proposi di farti passare per figlio suo e di Nerina, avrei contribuito al mantenimento, loro avrebbero avuto il figlio tanto desiderato e io avrei potuto continuare la mia vita senza perderti di vista.
Al terzo mese me ne andai dal paese, ufficialmente a curare una vecchia parente. Intanto Nerina si metteva i cuscini sotto ai vestiti e raccontava che a causa della gravidanza difficile si faceva curare in città. Al quinto mese lo stato di Nerina peggiorò e dovette essere ricoverata in una clinica in città. In realtà mi raggiunse a Loano, dove passammo quattro meravigliosi mesi in tua attesa. Il giorno del parto tuo padre e tua madre erano con me. Quando sei nato piangevamo abbracciati dalla felicità.
I tuoi genitori partirono subito per San Pietro per denunciare la tua nascita in comune. L’impiegato dell’anagrafe era un po’ stranito, ma mi raccontarono che tuo padre molto deciso gli disse “Mio figlio non è di città, lui è un sanpietrino!” Davanti a questa argomentazione l’impiegato fece quello che c’era da fare affinché tu fossi figlio dei tuoi genitori.
Io rimasi ancora qualche mese a Loano. Non hai idea di quanto presto ci si possa riprendere da un parto, e ammetto che quella era un gran piazza: uomini belli e abbienti!
Avevo fatto bene a non tornare prima. Appena arrivata venni a visitarti. Eri un meraviglioso bambino di tre mesi. Ma il tripudio di pannolini e biberon non faceva proprio per me. Avevi anche il vizio di fartela addosso appena ti prendevo in braccio. Quella puzza di yogurt rancido era davvero intollerabile. Nerina invece sprizzava gioia da tutti i pori come anche tuo padre. La casa era piccola. Misi mano ai miei risparmi e comprai la casa nella quale sei cresciuto. Tuo padre era una brava persona, ma certo far soldi non era scritto nel suo destino e a me andava bene così. Quando avevo voglia di famiglia passavo da voi e mi godevo della compagnia. E poi comunque quando tua madre riprese a lavorare, appena tu non hai più avuto bisogno di pannolini, stavi da me, quindi la soluzione era perfetta.
Eravamo tutti felici, tu per primo.
Io potevo continuare la mia vita e i tuoi genitori avevano realizzato il loro sogno.
In paese tutti usufruivano dei miei servizi, sia giovani che vecchi, anche dai paesi vicini. Alle volte facevo anche visite a domicilio. Sono stata molto amata e desiderata, e protetta e tutelata dai miei uomini. Credo che in paese non ci sia nessuno che non sia venuto a letto con me. Non è una cosa di cui vantarsi col proprio figlio, ma questo ti spiegherà perché sono tutti così gentili e disponibili a esaudire i miei desideri. Alcune signore del paese lo sapevano. Certe si sono arrabbiate, ma altre hanno digerito il boccone amaro, perché i mariti tornavano a casa felici e spesso avevano anche imparato cose sorprendenti di cui godevano anche loro.
Tuo padre carnale è l’ex proprietario della casa sul lago. Gli dissi che doveva intestarmela per il figlio che portavo in grembo. Lui era un professore universitario, credo di letteratura, che veniva a stare qui qualche settimana estiva. Comunque, era un molto colto e intelligente, proprio come sei tu. Lo ha trovato un accordo equo e per qualche anno ha continuato a tornare in vacanza qui anche se era già casa mia. Vi siete anche visti.
Ti ricordi quella valigetta piena di matite colorate, pennarelli e acquarelli? Te li ha regalati lui per i tuoi sei anni.
Non cercarlo, è morto alcuni giorni fa. Ha due figli e confido nel fatto che non andrai a disturbarli.
Con questo ti ho detto tutto ciò che conta.
Ho goduto di ogni istante con te, di ogni tuo successo e sono fiera dell’uomo che sei diventato.
Per sempre nel mio cuore.
Astoria
Fuori è il crepuscolo e sto piangendo lacrime che non sapevo di avere: lacrime di rabbia, di delusione, di amore. Lacrime aride per una donna che ho sempre temuto un po’, a cui facevo il verso alle spalle, che ho messo nel dimenticatoio per vent'anni, per una madre per cui non è valsa la pena di rinunciare a qualche giorno di conferenza.
E sabato sarei andato al funerale orfano di quattro genitori.