[CE2025] L'ultimo gondoliere (sequel)
Posted: Sun Aug 03, 2025 8:28 pm
Traccia 3: Il migrante
Virgilio, veneziano doc pieno d’orgoglio, manteneva alta la fama della sua città trasportando per i canali i turisti al canto di “Mi son el gondolier, che in gondola te ninoa,
se el remo in forcòla sigòa, coverze el scioco dei basi”
Ma quando Venezia venne sommersa dalle acque a causa dello scioglimento dei ghiacciai, lui, col cuore infranto, aveva abbandonato la sua amata città per trasferirsi a Milano, assieme alla moglie Vincenza. Anche qui le acque avevano invaso la città e l’unico modo per spostarsi erano le barche. Virgilio aveva colto l’occasione per rimettersi in attività e ripreso a trasportare, orgoglioso della sua tradizione, clienti e turisti provenienti da tutte le parti del mondo. Era una attrazione vedere la piazza del Duomo alla stregua della famosa Piazza San Marco. Ma il livello delle acque, dopo un periodo di immobilità, avevano ripreso il loro inesorabile rialzarsi, tanto che si era resa obbligatoria l’evacuazione della città. Il giorno in cui fu lanciato l’allarme, la moglie Vincenza, stanca di vivere in apprensione e in compagnia delle odiate spigole che il marito coltivava nella tromba delle scale allagate, lo aveva abbandonato scappando con un altro uomo. Virgilio, sconsolato, si era messo a vagare con la sua gondola tra le pianure allagate per cercare un nuovo posto dove vivere. Le colline della bergamasca gli erano parse il posto ideale. Ma dopo tanto remare, tutte le speranze erano svanite nel vedere centinaia di gondole che già avevano saturato il servizio, messo su da una comunità cinese che aveva anche scopiazzato le storiche barche veneziane. Però lui non aveva demorso e si era messo in gioco ugualmente, fino a quando era finito a fare il contrabbandiere di alcolici per i problemi economici. Il dispiacere più grande lo prese quando vide la sua amata Vincenza prendere il sole in bikini sopra un vistoso motoscafo ormeggiato, di proprietà di un trafficante. Lei aveva fatto finta di nulla e continuato a gustarsi il suo drink.
Da quel giorno Virgilio era diventato cattivo, egoista, violento, avido di denaro. Aveva messo da parte il suo animo buono e si era dato al crimine, convinto che essere stati buoni non gli aveva procurato niente. E dopo essersi fatto molti nemici, era finito per essere braccato dalla mala cinese e costretto a fuggire, a colpi di remo, per mare aperto, verso sud.
***
Il mare, che per tutta la notte era stato piatto, prese a incresparsi alle prime luci dell’alba. Virgilio si svegliò dal sonno dopo la fatica fatta durante la fuga. Si mise in piedi e posò le mani sul remo. Non aveva idea dove fosse finito, dato che il vento di maestrale lo aveva sospinto durante la notte. Attorno a lui vi era solo acqua: “Povero me!” pensò preoccupato. Poi gettò l’occhio sulle provviste che era riuscito a portare con sé nella fuga. Acqua ne aveva a sufficienza per giorni, bresaola e salsicce per una settimana. Nella lista vi era una pagnotta di farina di castagna, un fiasco da cinque litri di vino bianco e alcune bottiglie di grappa non consegnata al ricettatore di turno.
Sollevò il remo e decise che la direzione da prendere fosse verso il sole nascente; pensando che prima o poi avrebbe intravisto le coste toscane. Prese a spingere con vigore la gondola che scivolò dolcemente sulla superficie del mare.
Attento a ciò che gli si parava davanti e che cercava di schivare, notò tra detriti galleggianti di ogni genere, qualcosa che appariva come un grande pezzo di lamiera. Rallentò l’andatura e accostò.
Era un cartello autostradale indicante la direzione per Firenze: la costa non doveva essere lontana, pensò. E a guardare bene in lontananza si cominciavano a intravedere alcuni spuntoni di roccia a fior d’acqua. Cercando di non finirci sopra, e attirato dalla sagoma ignota lì poco distante, si spinse verso di essa. “Ma guarda un po’ che sorpresa! Cosa fai appesa lì?” esclamò Virgilio sorpreso.
“Cosa che vuoi che stia facendo? Non lo vedi da te? Faccio il primo bagno del mattino!” rispose acida Vincenza.
“Ah! Ecco. Ma non vedo il tavolino dell’aperitivo! Il tuo amico non te lo ha ancora portato? ”
“Non fare il cretino” rispose lei, mentre cercava di tenersi stretta al pennone della barca che stava parecchi metri sott’acqua e pareva adagiata, mezzo fracassata, su una costruzione in pietra. Virgilio prese a ridersela di gusto: “Cosa facevate di bello invece di guardare dove stavate finendo?”
“Non lo ricordo, era notte fonda, forse trombavo. Che ti frega?” rispose lei, “Se ti accosti salgo da te, che non ce la faccio più a stare qui”.
“Sono fuori servizio!” disse beffardo Virgilio, “Il tuoi amici dove stanno?” aggiunse.
“Quegli stronzi! Mi hanno lasciata qui perché il gommone di salvataggio era per sei e per me non c’era posto!” rispose la donna furiosa.
“Sai che ti dico? Dovrai aspettare il prossimo traghetto, io ho da fare altro. Nel mentre goditi il mare. Ti saluto” disse Virgilio spostandosi di qualche metro da lei.
La donna, vedendo il marito allontanarsi si mise a urlare disperata: “Virgilio, ti prego. Non mi lasciare qui, io ti amo ancora, perdonami, possiamo ricominciare”.
“Dopo che mi hai fatto becco e mi hai lasciato solo come un cane?” rispose a tono l’uomo che prese a ragionare tra sé: “Se la riprendo con me non starò solo ma di certo, mi toccherà mangiare pesce crudo, perché lei si farà fuori pane bresaola e vino, dato che odia il pesce”.
Vincenza vide il marito titubante, pensò di averlo convinto e si mise in acqua. A bracciate si spinse verso la gondola ferma. Ma Virgilio volle fare il duro; quando lei era quasi arrivata e già metteva le mani sul bordo del legno, si allontanò dando un colpo di remo.
“Che fai?” urlò la donna.
“Scusami cara, ma c'è il vento che spinge: non siamo mica nelle acque calme di Venezia! Dai, che ci sei, nuota ancora!” disse con gusto.
E lei continuò a nuotare e lui a spostarsi, fino a quando lei apparve esausta. Allora Virgilio fermò il crudele gioco messo su per farle pagare il male ricevuto e attese che lei lo raggiungesse.
Ma dal fondo del mare una strana creatura, simile a un enorme serpente prese a ingoiare la donna partendo dai suoi piedi: era un enorme pesce siluro ex abitante del Po.
Virgilio rimase di stucco, quasi divertito nel vedere la donna, occhi sbarrati, scomparire dentro le fauci del pesce emettendo l’ultimo ghigno verso di lui: cojon.
“Dovevi avere molta fame” esclamò l’uomo nel vederlo sparire sott’acqua tutto soddisfatto per avergli evitato di sbagliare. In fin dei conti era stato meglio così. In cuor suo non l’avrebbe mai perdonata e aveva salvato le provviste. Ma queste sarebbero finite lo stesso nel giro di qualche giorno.
La terra ferma non apparve all’orizzonte e lui, disperato senza acqua e cibo, si gettò sull’alcool.
Per la sbronza presa dormì per giorni sino a quando si svegliò e aprì gli occhi: la gondola viaggiava spedita trainata da un grosso natante. Ancora stordito cercò di rendersi conto guardando di fronte a lui. Con grande felicità vide una piccola isola a poca distanza dove il natante stava dirigendosi. Arrivati al molo di tavole precarie, vide una decina di persone in attesa che lo aiutarono a sbarcare dalla gondola. Tutti apparvero premurosi e si prestarono a sincerarsi delle sue condizioni di salute. Virgilio chiese dell’acqua ma qualcuno gli offrì persino dello champagne, dei crostini di vitello tonnato, assaggi vari di carne, formaggi e per finire il dolce. Virgilio divorò tutto avidamente. Poi i soccorritori lo portarono in quella che sarebbe stata la sua residenza dove avrebbe potuto rimettersi dalla fatica. Virgilio dormì e mangiò per diversi giorni, accudito dalle amorevoli cure dei residenti. Ristabilitosi in forze, la decina di residenti, tutti sulla sessantina, gli chiesero di lui.
Lui descrisse la vita da gondoliere tralasciando il drastico cambiamento che lo aveva portato a fare il malavitoso. I residenti si commossero alla sua storia e lo consolarono dicendogli che qui da loro sarebbe stato bene. Lo invitarono a fare un giro nella parte rimasta fuori dalle acque, un gruppo di lussuose ville unite da strade asfaltate e ben curate nel verde, dove stavano parcheggiate lussuose auto, tra cui una Ferrari F80 e una Lamborghini Urus. Gli fecero visitare ogni dimora e ogni angolo del borgo. Poi, uno di loro, un certo Pierluigi, gli disse che tutto quello che vedeva era a sua disposizione, in quanto tutto era messo in condivisione. Virgilio non credette da subito a quello che gli si prospettava. Poi si rese conto che a differenza di loro lui era giovane. Pensò che loro, oramai in età avanzata, non avessero più interesse verso le cose di loro proprietà. Lui poteva essere il loro figlio a cui lasciare ogni avere. In fin dei conti, gli si chiedeva solo di accettare le regole della condivisione della comunità, e lui, niente aveva da condividere. Accettò così le regole e mise da parte ogni dubbio dandosi alla pazza gioia per giorni. Usò a suo piacimento le auto per passare il tempo e usufruì del servizio mensa a colazione, pranzo e cena, inclusi i vari aperitivi a metà mattina e al pomeriggio. Tutto sembrava essere un paradiso in quel che rimaneva dell’isola di Montecristo.
Dopo due mesi, Pierluigi e gli altri si riunirono segretamente e tra di loro vi fu una accesa discussione. I coniugi Von Der Lyner ribadivano che fosse il momento per applicare la regola della condivisione. Invece Federico della Gardesca e la moglie Laura Francia Souvignon non ci stavano:
“Sono tre mesi che raccolgo mutande in giro e mi tocca lavare i vostri cessi.. io che non ne ho toccato uno neanche col sedere..” disse altera la donna.
“E io cosa dovrei dire? Tu fai i cessi e a me tocca cucinare per tutti! Io che venivo servita da sette persone, una per ogni portata” ribatté l’altra.
“Ah sì! A me invece tocca lucidare le auto e spazzare le strade da quando Massur il filippino è scappato da sotto il nostro naso prendendo il largo! E l’uso della lavanderia? Ne vogliamo parlare?” disse un altro.
“Se tua moglie non avesse avuto la pretesa del servizietto in camera per le sue esigenze sessuali, quello non sarebbe scappato!” rilanciò l’altro.
Pierluigi cercò di riportare la calma: “Signori, vi prego. Non mi sembra il modo di discutere tra gentiluomini. Mi sembrano giuste le vostre lamentele, ma io propongo di aspettare ancora una settimana, in modo da far aumentare le ore di condivisione”.
“Ancora? A me risultano ben diecimila ore totalizzate dal gondoliere” esclamò la signora Von der Lyner, “Ho fatto i conti di quanta benzina ha consumato usando la mia Ferrari, il costo di noleggio, il costo del vitello tonnato che divora da giorni!”
“Anche io ho fatto bene i conti” sbottò Laura Francia, “ Due mesi di pernottamento nella mia suite fronte mare.. lì! Di fronte alla isola del giglio. Sapete quanti soldi commutate in ore sono? Almeno cinquemila”.
"Ma di quale isola parli!” Sbottò qualcuno, “Da quando è finita in fondo al mare e non fa parte del panorama. Dovresti scendere con le pretese, cara mia!” Pierluigi alla fine riuscì a convincerli affinché si arrivasse a un monte di ore che non superassero le trentamila.
Finita la settimana, Virgilio si alzò comodamente a tarda mattinata. Andò alla cabina armadio per prendere quello che sembrava appropriato per la giornata di sole: pantaloni di fresco lino e camicia a fiori. Ma fece la sorpresa di non trovare nulla. Tutti gli abiti, le camice, golfini, pure le calzature erano sparite. Persino i Rolex e la serie di occhiali da sole per girare con l’auto decapottata.
Andò a cercare tra le stanze qualcosa da mettersi per non stare in mutande. Nella lavanderia, posati su di una cassettiera, vide piegati con cura degli indumenti.
Li indossò con molto scetticismo, gli parevano una divisa da lavoro. Imbarazzato, si diresse verso dove stava parcheggiata la Ferrari, che lasciava sempre aperta con le chiavi già sul blocchetto; ma la trovò chiusa e le chiavi non c’erano. Sempre più sorpreso andò a piedi verso la zona ristorante; ma anche qui non trovò la signora Meana della Riva Rembrant, la quale gli serviva la colazione ogni mattina. Nessun profumo di caffè, nessun profumo di calde brioche: tutto sprangato. Rimase lì a pensare cosa stesse succedendo e vide Pierluigi uscire di casa e andargli incontro. Virgilio gli chiese se qualcuno si fosse sentito male. Spiegò delle stranezze della mattinata. Pierluigi lo invitò a sedersi e gli parlò delle trentamila ore di lavoro che doveva in cambio della condivisione dei beni messogli ad uso e consumo. Gli spiegò che dato che lui non aveva niente di beni materiali, doveva condividere quello che aveva in termini di tempo. Gli fece presente che loro avevano enormi spese per far portare sull’isola quello che serviva per mezzo dell’elicottero. La crisi climatica aveva portato anche all’innalzamento dei costi di gestione. Gli disse che dato il suo non rispetto delle condizioni stabilite, gli erano state revocate tutte le concessioni fino a quando non avrebbe equilibrato il dare e avere. Virgilio si accese dalla rabbia: “Come sarebbe? Mi avete fatto credere che ero il benvenuto, che fossi come un figlio per voi. Prendi, prendi, usa, usa , mangia, mangia, e ora mi servite il conto? Trentamila ore sono una vita! E di cosa dovrei vivere?”
“Beh! In cucina potrai entrare e cucinarti qualcosa” precisò Pierluigi “Mi pare ovvio che da oggi dovrai accudirti in tutto”.
“Ma voi siete dei luridi capitalisti. Ecco da dove arrivano le auto e il vitello tonnato. Mi avete ingozzato tanto per costringermi a lavorare dato che avete fatto una vita agiata e da un po’ vi tocca lavorare. Sono stato stupido a credere alla vostra bontà. Ma io vi mollo subito” sbraitò Virgilio.
“Sei libero di andare, se vuoi, ma prima devi pagare quello che hai ricevuto. Hai una carta di credito?” chiese lui.
“Ma che menate vai dicendo. Sai che ti dico? Va a cagar su le suche marine de Cioza” imprecò lui girandosi di spalle per andarsene. Pierluigi assunse un tono minaccioso “Non ti lasceremo andare via come credi. Qui la legge siamo noi e non ci sono le forze dell’ordine”.
Ma Virgilio non lo stette a sentire. Infuriato si tolse la divisa che gli avevano di proposito lasciato e rimase in mutande. Andò poi a togliere la barca da dove era custodita e con la rabbia la mise in acqua. Guardò dentro la cambusa se ci fossero ami e lenza, i vari attrezzi che aveva usato per tutte le attraversate in mare. Trovò tutto in ordine, pure una sua divisa da gondoliere che mise addosso.
Prese a remare. Dietro di lui Pierluigi l’osservava serio. A circa cinquanta metri dal pontile ecco che sbucò da dietro la scogliera il natante da venti metri che lo aveva rimorchiato mesi prima. Lo pilotava il signor Von Der Lyner, mentre sua moglie, sul ponte di prua, stava con le mani sulla mitragliera: partì la prima raffica di avvertimento. Poi la seconda. Poi la terza, sempre più vicino.
Virgilio si tolse mestamente la divisa da gondoliere e raccolse quella del filippino Massur. Andò in quella che era stata la sua residenza ma la trovò chiusa. Di lato trovò aperta la porta della stanza che era stata del suo predecessore. Un buco di appena quindici metri, squallido e sporco. Sul tavolo la lista lavoro che gli avevano lasciato i generosi concittadini. Prese a leggere: “Ore 6,30- cani a passeggio- ore 7,10- servizio mensa- ore 8,30 lavaggio auto..”
La lista continuava all’infinito. “ Ore 12 servizio cucina- Ore 16 servizio al patio per apericena. "Ore 22- servizio in camera Von Der Lyner (extra bonus)”.
Virgilio, veneziano doc pieno d’orgoglio, manteneva alta la fama della sua città trasportando per i canali i turisti al canto di “Mi son el gondolier, che in gondola te ninoa,
se el remo in forcòla sigòa, coverze el scioco dei basi”
Ma quando Venezia venne sommersa dalle acque a causa dello scioglimento dei ghiacciai, lui, col cuore infranto, aveva abbandonato la sua amata città per trasferirsi a Milano, assieme alla moglie Vincenza. Anche qui le acque avevano invaso la città e l’unico modo per spostarsi erano le barche. Virgilio aveva colto l’occasione per rimettersi in attività e ripreso a trasportare, orgoglioso della sua tradizione, clienti e turisti provenienti da tutte le parti del mondo. Era una attrazione vedere la piazza del Duomo alla stregua della famosa Piazza San Marco. Ma il livello delle acque, dopo un periodo di immobilità, avevano ripreso il loro inesorabile rialzarsi, tanto che si era resa obbligatoria l’evacuazione della città. Il giorno in cui fu lanciato l’allarme, la moglie Vincenza, stanca di vivere in apprensione e in compagnia delle odiate spigole che il marito coltivava nella tromba delle scale allagate, lo aveva abbandonato scappando con un altro uomo. Virgilio, sconsolato, si era messo a vagare con la sua gondola tra le pianure allagate per cercare un nuovo posto dove vivere. Le colline della bergamasca gli erano parse il posto ideale. Ma dopo tanto remare, tutte le speranze erano svanite nel vedere centinaia di gondole che già avevano saturato il servizio, messo su da una comunità cinese che aveva anche scopiazzato le storiche barche veneziane. Però lui non aveva demorso e si era messo in gioco ugualmente, fino a quando era finito a fare il contrabbandiere di alcolici per i problemi economici. Il dispiacere più grande lo prese quando vide la sua amata Vincenza prendere il sole in bikini sopra un vistoso motoscafo ormeggiato, di proprietà di un trafficante. Lei aveva fatto finta di nulla e continuato a gustarsi il suo drink.
Da quel giorno Virgilio era diventato cattivo, egoista, violento, avido di denaro. Aveva messo da parte il suo animo buono e si era dato al crimine, convinto che essere stati buoni non gli aveva procurato niente. E dopo essersi fatto molti nemici, era finito per essere braccato dalla mala cinese e costretto a fuggire, a colpi di remo, per mare aperto, verso sud.
***
Il mare, che per tutta la notte era stato piatto, prese a incresparsi alle prime luci dell’alba. Virgilio si svegliò dal sonno dopo la fatica fatta durante la fuga. Si mise in piedi e posò le mani sul remo. Non aveva idea dove fosse finito, dato che il vento di maestrale lo aveva sospinto durante la notte. Attorno a lui vi era solo acqua: “Povero me!” pensò preoccupato. Poi gettò l’occhio sulle provviste che era riuscito a portare con sé nella fuga. Acqua ne aveva a sufficienza per giorni, bresaola e salsicce per una settimana. Nella lista vi era una pagnotta di farina di castagna, un fiasco da cinque litri di vino bianco e alcune bottiglie di grappa non consegnata al ricettatore di turno.
Sollevò il remo e decise che la direzione da prendere fosse verso il sole nascente; pensando che prima o poi avrebbe intravisto le coste toscane. Prese a spingere con vigore la gondola che scivolò dolcemente sulla superficie del mare.
Attento a ciò che gli si parava davanti e che cercava di schivare, notò tra detriti galleggianti di ogni genere, qualcosa che appariva come un grande pezzo di lamiera. Rallentò l’andatura e accostò.
Era un cartello autostradale indicante la direzione per Firenze: la costa non doveva essere lontana, pensò. E a guardare bene in lontananza si cominciavano a intravedere alcuni spuntoni di roccia a fior d’acqua. Cercando di non finirci sopra, e attirato dalla sagoma ignota lì poco distante, si spinse verso di essa. “Ma guarda un po’ che sorpresa! Cosa fai appesa lì?” esclamò Virgilio sorpreso.
“Cosa che vuoi che stia facendo? Non lo vedi da te? Faccio il primo bagno del mattino!” rispose acida Vincenza.
“Ah! Ecco. Ma non vedo il tavolino dell’aperitivo! Il tuo amico non te lo ha ancora portato? ”
“Non fare il cretino” rispose lei, mentre cercava di tenersi stretta al pennone della barca che stava parecchi metri sott’acqua e pareva adagiata, mezzo fracassata, su una costruzione in pietra. Virgilio prese a ridersela di gusto: “Cosa facevate di bello invece di guardare dove stavate finendo?”
“Non lo ricordo, era notte fonda, forse trombavo. Che ti frega?” rispose lei, “Se ti accosti salgo da te, che non ce la faccio più a stare qui”.
“Sono fuori servizio!” disse beffardo Virgilio, “Il tuoi amici dove stanno?” aggiunse.
“Quegli stronzi! Mi hanno lasciata qui perché il gommone di salvataggio era per sei e per me non c’era posto!” rispose la donna furiosa.
“Sai che ti dico? Dovrai aspettare il prossimo traghetto, io ho da fare altro. Nel mentre goditi il mare. Ti saluto” disse Virgilio spostandosi di qualche metro da lei.
La donna, vedendo il marito allontanarsi si mise a urlare disperata: “Virgilio, ti prego. Non mi lasciare qui, io ti amo ancora, perdonami, possiamo ricominciare”.
“Dopo che mi hai fatto becco e mi hai lasciato solo come un cane?” rispose a tono l’uomo che prese a ragionare tra sé: “Se la riprendo con me non starò solo ma di certo, mi toccherà mangiare pesce crudo, perché lei si farà fuori pane bresaola e vino, dato che odia il pesce”.
Vincenza vide il marito titubante, pensò di averlo convinto e si mise in acqua. A bracciate si spinse verso la gondola ferma. Ma Virgilio volle fare il duro; quando lei era quasi arrivata e già metteva le mani sul bordo del legno, si allontanò dando un colpo di remo.
“Che fai?” urlò la donna.
“Scusami cara, ma c'è il vento che spinge: non siamo mica nelle acque calme di Venezia! Dai, che ci sei, nuota ancora!” disse con gusto.
E lei continuò a nuotare e lui a spostarsi, fino a quando lei apparve esausta. Allora Virgilio fermò il crudele gioco messo su per farle pagare il male ricevuto e attese che lei lo raggiungesse.
Ma dal fondo del mare una strana creatura, simile a un enorme serpente prese a ingoiare la donna partendo dai suoi piedi: era un enorme pesce siluro ex abitante del Po.
Virgilio rimase di stucco, quasi divertito nel vedere la donna, occhi sbarrati, scomparire dentro le fauci del pesce emettendo l’ultimo ghigno verso di lui: cojon.
“Dovevi avere molta fame” esclamò l’uomo nel vederlo sparire sott’acqua tutto soddisfatto per avergli evitato di sbagliare. In fin dei conti era stato meglio così. In cuor suo non l’avrebbe mai perdonata e aveva salvato le provviste. Ma queste sarebbero finite lo stesso nel giro di qualche giorno.
La terra ferma non apparve all’orizzonte e lui, disperato senza acqua e cibo, si gettò sull’alcool.
Per la sbronza presa dormì per giorni sino a quando si svegliò e aprì gli occhi: la gondola viaggiava spedita trainata da un grosso natante. Ancora stordito cercò di rendersi conto guardando di fronte a lui. Con grande felicità vide una piccola isola a poca distanza dove il natante stava dirigendosi. Arrivati al molo di tavole precarie, vide una decina di persone in attesa che lo aiutarono a sbarcare dalla gondola. Tutti apparvero premurosi e si prestarono a sincerarsi delle sue condizioni di salute. Virgilio chiese dell’acqua ma qualcuno gli offrì persino dello champagne, dei crostini di vitello tonnato, assaggi vari di carne, formaggi e per finire il dolce. Virgilio divorò tutto avidamente. Poi i soccorritori lo portarono in quella che sarebbe stata la sua residenza dove avrebbe potuto rimettersi dalla fatica. Virgilio dormì e mangiò per diversi giorni, accudito dalle amorevoli cure dei residenti. Ristabilitosi in forze, la decina di residenti, tutti sulla sessantina, gli chiesero di lui.
Lui descrisse la vita da gondoliere tralasciando il drastico cambiamento che lo aveva portato a fare il malavitoso. I residenti si commossero alla sua storia e lo consolarono dicendogli che qui da loro sarebbe stato bene. Lo invitarono a fare un giro nella parte rimasta fuori dalle acque, un gruppo di lussuose ville unite da strade asfaltate e ben curate nel verde, dove stavano parcheggiate lussuose auto, tra cui una Ferrari F80 e una Lamborghini Urus. Gli fecero visitare ogni dimora e ogni angolo del borgo. Poi, uno di loro, un certo Pierluigi, gli disse che tutto quello che vedeva era a sua disposizione, in quanto tutto era messo in condivisione. Virgilio non credette da subito a quello che gli si prospettava. Poi si rese conto che a differenza di loro lui era giovane. Pensò che loro, oramai in età avanzata, non avessero più interesse verso le cose di loro proprietà. Lui poteva essere il loro figlio a cui lasciare ogni avere. In fin dei conti, gli si chiedeva solo di accettare le regole della condivisione della comunità, e lui, niente aveva da condividere. Accettò così le regole e mise da parte ogni dubbio dandosi alla pazza gioia per giorni. Usò a suo piacimento le auto per passare il tempo e usufruì del servizio mensa a colazione, pranzo e cena, inclusi i vari aperitivi a metà mattina e al pomeriggio. Tutto sembrava essere un paradiso in quel che rimaneva dell’isola di Montecristo.
Dopo due mesi, Pierluigi e gli altri si riunirono segretamente e tra di loro vi fu una accesa discussione. I coniugi Von Der Lyner ribadivano che fosse il momento per applicare la regola della condivisione. Invece Federico della Gardesca e la moglie Laura Francia Souvignon non ci stavano:
“Sono tre mesi che raccolgo mutande in giro e mi tocca lavare i vostri cessi.. io che non ne ho toccato uno neanche col sedere..” disse altera la donna.
“E io cosa dovrei dire? Tu fai i cessi e a me tocca cucinare per tutti! Io che venivo servita da sette persone, una per ogni portata” ribatté l’altra.
“Ah sì! A me invece tocca lucidare le auto e spazzare le strade da quando Massur il filippino è scappato da sotto il nostro naso prendendo il largo! E l’uso della lavanderia? Ne vogliamo parlare?” disse un altro.
“Se tua moglie non avesse avuto la pretesa del servizietto in camera per le sue esigenze sessuali, quello non sarebbe scappato!” rilanciò l’altro.
Pierluigi cercò di riportare la calma: “Signori, vi prego. Non mi sembra il modo di discutere tra gentiluomini. Mi sembrano giuste le vostre lamentele, ma io propongo di aspettare ancora una settimana, in modo da far aumentare le ore di condivisione”.
“Ancora? A me risultano ben diecimila ore totalizzate dal gondoliere” esclamò la signora Von der Lyner, “Ho fatto i conti di quanta benzina ha consumato usando la mia Ferrari, il costo di noleggio, il costo del vitello tonnato che divora da giorni!”
“Anche io ho fatto bene i conti” sbottò Laura Francia, “ Due mesi di pernottamento nella mia suite fronte mare.. lì! Di fronte alla isola del giglio. Sapete quanti soldi commutate in ore sono? Almeno cinquemila”.
"Ma di quale isola parli!” Sbottò qualcuno, “Da quando è finita in fondo al mare e non fa parte del panorama. Dovresti scendere con le pretese, cara mia!” Pierluigi alla fine riuscì a convincerli affinché si arrivasse a un monte di ore che non superassero le trentamila.
Finita la settimana, Virgilio si alzò comodamente a tarda mattinata. Andò alla cabina armadio per prendere quello che sembrava appropriato per la giornata di sole: pantaloni di fresco lino e camicia a fiori. Ma fece la sorpresa di non trovare nulla. Tutti gli abiti, le camice, golfini, pure le calzature erano sparite. Persino i Rolex e la serie di occhiali da sole per girare con l’auto decapottata.
Andò a cercare tra le stanze qualcosa da mettersi per non stare in mutande. Nella lavanderia, posati su di una cassettiera, vide piegati con cura degli indumenti.
Li indossò con molto scetticismo, gli parevano una divisa da lavoro. Imbarazzato, si diresse verso dove stava parcheggiata la Ferrari, che lasciava sempre aperta con le chiavi già sul blocchetto; ma la trovò chiusa e le chiavi non c’erano. Sempre più sorpreso andò a piedi verso la zona ristorante; ma anche qui non trovò la signora Meana della Riva Rembrant, la quale gli serviva la colazione ogni mattina. Nessun profumo di caffè, nessun profumo di calde brioche: tutto sprangato. Rimase lì a pensare cosa stesse succedendo e vide Pierluigi uscire di casa e andargli incontro. Virgilio gli chiese se qualcuno si fosse sentito male. Spiegò delle stranezze della mattinata. Pierluigi lo invitò a sedersi e gli parlò delle trentamila ore di lavoro che doveva in cambio della condivisione dei beni messogli ad uso e consumo. Gli spiegò che dato che lui non aveva niente di beni materiali, doveva condividere quello che aveva in termini di tempo. Gli fece presente che loro avevano enormi spese per far portare sull’isola quello che serviva per mezzo dell’elicottero. La crisi climatica aveva portato anche all’innalzamento dei costi di gestione. Gli disse che dato il suo non rispetto delle condizioni stabilite, gli erano state revocate tutte le concessioni fino a quando non avrebbe equilibrato il dare e avere. Virgilio si accese dalla rabbia: “Come sarebbe? Mi avete fatto credere che ero il benvenuto, che fossi come un figlio per voi. Prendi, prendi, usa, usa , mangia, mangia, e ora mi servite il conto? Trentamila ore sono una vita! E di cosa dovrei vivere?”
“Beh! In cucina potrai entrare e cucinarti qualcosa” precisò Pierluigi “Mi pare ovvio che da oggi dovrai accudirti in tutto”.
“Ma voi siete dei luridi capitalisti. Ecco da dove arrivano le auto e il vitello tonnato. Mi avete ingozzato tanto per costringermi a lavorare dato che avete fatto una vita agiata e da un po’ vi tocca lavorare. Sono stato stupido a credere alla vostra bontà. Ma io vi mollo subito” sbraitò Virgilio.
“Sei libero di andare, se vuoi, ma prima devi pagare quello che hai ricevuto. Hai una carta di credito?” chiese lui.
“Ma che menate vai dicendo. Sai che ti dico? Va a cagar su le suche marine de Cioza” imprecò lui girandosi di spalle per andarsene. Pierluigi assunse un tono minaccioso “Non ti lasceremo andare via come credi. Qui la legge siamo noi e non ci sono le forze dell’ordine”.
Ma Virgilio non lo stette a sentire. Infuriato si tolse la divisa che gli avevano di proposito lasciato e rimase in mutande. Andò poi a togliere la barca da dove era custodita e con la rabbia la mise in acqua. Guardò dentro la cambusa se ci fossero ami e lenza, i vari attrezzi che aveva usato per tutte le attraversate in mare. Trovò tutto in ordine, pure una sua divisa da gondoliere che mise addosso.
Prese a remare. Dietro di lui Pierluigi l’osservava serio. A circa cinquanta metri dal pontile ecco che sbucò da dietro la scogliera il natante da venti metri che lo aveva rimorchiato mesi prima. Lo pilotava il signor Von Der Lyner, mentre sua moglie, sul ponte di prua, stava con le mani sulla mitragliera: partì la prima raffica di avvertimento. Poi la seconda. Poi la terza, sempre più vicino.
Virgilio si tolse mestamente la divisa da gondoliere e raccolse quella del filippino Massur. Andò in quella che era stata la sua residenza ma la trovò chiusa. Di lato trovò aperta la porta della stanza che era stata del suo predecessore. Un buco di appena quindici metri, squallido e sporco. Sul tavolo la lista lavoro che gli avevano lasciato i generosi concittadini. Prese a leggere: “Ore 6,30- cani a passeggio- ore 7,10- servizio mensa- ore 8,30 lavaggio auto..”
La lista continuava all’infinito. “ Ore 12 servizio cucina- Ore 16 servizio al patio per apericena. "Ore 22- servizio in camera Von Der Lyner (extra bonus)”.