Pacco nr 8 - Traccia di pan di zenzero: prendete la prima frase di un racconto dell'Officina di Costruttori di Mondi e fatene l'incipit del vostro racconto.
Frase estratta dal racconto di:
@Silverwillow Il sorriso della pioggia.
Link:
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Scritto in partecipazione con
@Poeta Zaza
Il richiamo
Roma, gennaio 1943
Scroscia nelle piazze, striscia a raccogliersi nei vicoli sporchi.
Dietro gli anfratti, nei posti più oscuri dell’animo, la paura si tocca, si testa a colpi di vigliaccheria, di parole e gesti inumani.
Davide tocca con il dito i vetri appannati sopra i tetti di Roma. Alle sei del mattino, la cupola della basilica di San Lorenzo è un tortino di panna dietro ai fumi del suo fiato. Un ritorno strano di recenti immagini allegre, di vacanze estive, e giochi spensierati si sbriciolano in polvere. Da un grigio sfocato, prendono forma immagini assurde di luoghi sconosciuti, non distingue né il posto né le persone che lo guardano assenti. Muove il dito sulle scie della condensa, sembrano recinti di filo spinato; si specchiano dietro al vetro e lo guardano mille visi scheletrici che si dissolvono in fumo, non appena suo padre lo chiama.
- Davide, svelto, dobbiamo andare!
Gliel’ha spiegato bene. Davide ricorda il discorso di suo padre parola per parola. Le spalle chine, gli occhi smarriti per le visioni che non lo lasciano in pace e la valigia con poche cose che gli è permesso portare, si muove a malincuore. Indossa il cappotto e va verso il genitore che lo aspetta sulla porta dell’appartamento.
- Dove andremo, papà?
- Metti bene in vista la stella, Davide! Stammi dietro e non parlare.
Davide sgambetta sul marciapiede dietro a suo padre. Il signor Michele Levi ha passi da gigante; è alto, e non ha i tratti somatici fuorilegge degli ebrei.
I vicini, come consapevoli tordi che accettano di fare da richiamo per impaniare i loro simili, li hanno traditi. Quel giorno si era fatto scuro in pieno sole e in un attimo non avevano più nulla: né casa né lavoro né diritto alcuno. Padre e figlio Imboccano a passo svelto la via Tiburtina. All’ombra delle mura del Verano, protetti dai petali e dalle foglie ritagliate dai mazzetti che i fiorai lasciano a terra, i passi non fanno rumore. Davide ha un brivido. Gli balena nella mente un presentimento e una lieve tristezza lo prende. Un’auto nera si ferma di fianco a loro, e un uomo chiede qualcosa che non arriva alle orecchie di Davide.
- È la neve di maggio - risponde suo padre. Il passeggero che siede davanti scende, apre lo sportello e li invita a entrare in macchina, per poi allontanarsi a piedi verso il centro. L’uomo che guida non si scompone, non saluta e riparte immediatamente.
La strada è tortuosa: ai lati, distese d’erba gelata brillano sotto i primi raggi soffusi. Viaggiano da ore. Non sono la fame o i vestiti umidi a far star male Davide, è qualcosa che incombe e che sa di non capire. Sono le immagini che gli tolgono il senso reale delle cose e arrivano violente senza preavviso. Suo padre, che prima rideva e giocava con lui ogni tanto, adesso è lontano, perso in gravi pensieri, e gli sembra che non lo ascolti nemmeno. È colpa di quella stella sul petto che ora gli brucia sul cuore e che per lui non ha il senso che a la legge gli ha dato.
- Papà, perché la nostra stella serve a distinguerci? Da chi dobbiamo essere diversi ora?
- Non preoccuparti, Davide, staremo bene, Anacleto è una brava persona, ci aiuterà, non accadrà mai più nulla di brutto.
Sotto un sole languido, la macchina si arresta lungo l’argine di un canale.
- Scendete, da adesso dovete cavarvela da soli. Costeggiate il corso d’acqua, non seguite la strada. Dopo la prima chiusa, tagliate per i campi; la casa di Anacleto vi sembrerà lontana, ma non ci vorranno più di dieci minuti.
La pianura dell’Agro Pontino gli appare come un miraggio. Nuvole basse all’orizzonte e il profumo di mare sembrano invitarli a scoperte avventurose.
Michele solleva il figlio sopra un muretto.
- Laggiù, vedi? Se si guarda bene, sembra di scorgere la linea dove il mare tocca la terra.
Davide si sforza ma vede solo terra; pronti per la semina della prossima primavera ci sono campi disossati. Si mettono in cammino; solchi profondi e stoppie rendono grevi i passi e camminare é faticoso.
- Davide, guarda, è il podere di Anacleto, riconosco la sua casa! Siamo quasi arrivati, dai!
Sopra l’arco d’ingresso c’è un numero: “Pod. 209”
L’immagine si distorce nella nebbia del pomeriggio che volge alla sera. S’infrange nel cielo una linea che spezza, trasforma. Davide riesce a vedere oltre l’ingresso:
i muri sono di mattoni cotti; nell’aria si sentono odore di carne bruciata e il canto di un disco che suona. Davide ha scarpe pesanti e un sudore gelato. Sente un freddo che scotta le ossa. Davanti, gli sfilano spettri che indossano pigiami a righe e gli mostrano i polsi; numeri blu si incastrano nei rivoli azzurri delle vene. Hanno sul petto una stella a sei punte, camminano e svaniscono nel fumo acre che sale verso il cielo terreo.
Davide arranca, inciampa sui solchi profondi. Suo padre si gira verso di lui si avvede che il figlio sta male; lo prende al volo prima che lui cada a terra.
Nel tinello, Il camino scoppietta vivace. Michele e Anacleto parlano piano.
- Finalmente ora riposa, ma ha qualcosa che non va. È sempre stato un bambino chiuso, ma da quando sua madre ci ha lasciati, è peggiorato. Racconta cose strane, a volte così orribili che…
- Non preoccuparti gli passerà. Sono tempi difficili per tutti. Antonia si occuperà di lui, vedrai che qui starà bene.
- Hai detto alla domestica di non lasciarlo mai solo? Potrebbe capitare di nuovo e noi saremo fuori due giorni.
- L’ho informata. È una donna in gamba, ha cresciuto cinque figli, ne sa qualcosa.
Le lenzuola profumano d’erba, nella stanza illuminata da una candela, Davide si sveglia cullato da voci schermate; la porta socchiusa gli lascia uno spiraglio di sicurezza. Non chiama
non si lamenta: suo padre ha la voce più bella del mondo e lui si gira, tende l’orecchio per ascoltarlo.
- Dicono che ci sono delle regole nate con l’uomo, ma con eccezioni che si accettano supinamente come regolari, quando si forma un gruppo. Ossia: se vuoi far parte del nostro gregge, adeguati al pensiero dominante.
- Certo che lo dicono loro - risponde il suo ospite - ma noi non ci adeguiamo se riteniamo le nostre regole più importanti. È essenziale quello che sentiamo noi. Io non voglio adattarmi a sopravvivere nel guano, quando la mota monta.
I due uomini si abbracciano e si danno la buonanotte.
Davide si riaddormenta, non sa cosa aspettarsi ma è troppo stanco e scosso per stare a pensarci. Le immagini che lo prendono e lo portano via lo lasciano senza forze. L’evanescenza della realtà che cambia lo sfinisce e lo spaventa.
La fame, i rumori sommessi e gli odori in cucina lo svegliano. Ha addosso una camicia pulita e sulle scarpe vicino al letto non c’è traccia del fango rappreso dei solchi. Fa uno sforzo per ricordare, ma gli sembra di aver soltanto sognato quel viaggio. Scende dal letto, apre la porta, non c’è molta luce e l’enorme stanza gli fa un po' paura. Poi la vede: una donna sta pulendo il camino e lui aspetta, fermo sullo stipite . Lei continua a raccogliere cenere e la versa con molta attenzione in un recipiente. Si muove con calma, senza fretta. Sembra non accorgersi di essere osservata, invece lo ha sentito e gli parla senza voltarsi.
- Buongiorno, giovanotto, Hai fame? Ti preparo la colazione. Si alza, si gira verso di lui.
- Sei tu che mi hai pulito le scarpe? Perché nel caso, dovrei ringraziarti.
Lei si strofina le mani sulla gonna - certo! Sono stata io.
- Dov’è mio padre? E lei, chi è?
- Io sono Antonia, mio bel signorino. Lavoro qui!
- Sei molto vecchia? Hai le mani così rovinate...
- Ah, e chi abbiamo qui? Un indovino?
- Che cosa vuoi dire?
- Voglio dire che sei uno che vede le cose, che sa osservare. Anch’io, sai, vedo anche quelle nascoste, che nessuno dovrebbe sapere. Immaginavo che tu, stamattina, saresti stato molto affamato. Per questo ti ho preparato, guarda un po'? Una bella torta con lo zucchero fino. Ci sono le noci dentro. Mangia su, che non ho tempo da perdere.
La torta e il caffelatte, la voce del padre che lo chiama gli danno la sensazione di aver messo una bella distanza tra l’oggi e le ultime brutte cose che ha dovuto sapere e vedere a Roma.
- Una tazza di caffè, signor Michele?
- No, Antonia, ti ringrazio.
- Davide, io devo andare. Ti ricordi cosa ti ho detto? Starò via due giorni, due soltanto e quando tornerò, andremo a trovare Lisetta, ti ricordi di lei vero? Faremo un bel viaggio in treno. Troveremo una nuova casa, ce la faremo vedrai. Intanto, ricorda, non devi muoverti da qui, resta in casa e non uscire mai se non con Antonia. Ah, la stella qui non devi metterla, capito? Qui non siamo più quelli che devono distinguersi, siamo come tutti gli altri.
- Meglio, papà! A me non piace portare la stella sul petto, sai, ieri ho sognato delle persone, avevano una stella sulla giacca del pigiama e un numero scritto sui polsi e avevo tanto freddo.
- Era solo un sogno: non preoccuparti. Qui staremo bene, vedrai. Ora devo chiederti una cosa molto importante. Il tuo nome da oggi è Luca, il mio Alfredo. Fabrizi il cognome. È molto importante, devi mettertelo bene in mente. Noi due siamo uguali in mezzo a tutti gli uomini uguali. Hai capito? Solo Antonia e il signor Anacleto sanno che abbiamo portato la stella sul petto, ma nessun altro deve saperlo. Altrimenti non saremo più al sicuro nemmeno qui.
I tordi vadano a lanciare il loro verso lontano da noi, figlio mio.
- Va bene, ho capito, ma tornerai presto vero?
- Farò prima che potrò, Luca, non preoccuparti.
Davanti agli occhi di Davide, la strada bianca in mezzo ai campi sembra s’inghiotta il furgone con Anacleto e Alfredo, e lui resta a guardare la strada vuota. Antonia si passa una mano sulla fronte e lo chiama.
- Metti il cappotto e vieni con me, dobbiamo sbrigarci.
Nonostante l’aria fredda, lei va a braccia nude col secchio di zinco pieno d’acqua, avanti e indietro dal cortile al pavimento del tinello. Fa veloce le sue faccende con Davide che gli corre appresso per tutta la mattina. Deve fare tutto prima che arrivi l’uomo che ritira il latte dalle stalle (lui non deve vedere il ragazzino).
Il padrone, Anacleto, si è raccomandato:
“Portalo di sopra e dagli qualcosa da fare, non deve scendere per nessuna ragione; resta in casa con lui fino a che quel disgraziato non se ne va!
Ci sono tordi consapevoli che si rifiutano di fare da richiamo.
Adesso, Davide, andiamo a giocare di sopra: tu devi stare buono. Tra poco arriverà una persona che non deve vederti. È uno di quelli che vanno a raccontare in giro le cose, uno di quelli vestiti di nero, caro mio. Devi stare molto attento; vieni, andiamo da sopra che ti faccio vedere una cosa.
- Cos’è? Una sorpresa? Mio padre una volta mi regalò un gioco musicale, adesso non so dove sia finito, però…
- Aspetta, stai zitto, mi stanno chiamando?
- Antonia, Antonia scappa, li hanno presi! - La domestica si precipita giù per le scale
- Tu, aspetta qui, non muoverti.
- Antonia, presto, dove sei?
- Anita, cos’è successo?
- Erano appostati vicino il confine, li hanno fermati prima della cantina del Barone:
li hanno portati in caserma. Io ero lì e ho visto tutto, se ti sbrighi puoi salvare il ragazzo, sai già dove portarlo vero?
- Si, Anacleto mi ha informato. - Ho visto Arturo: è andato alla vineria a vantarsi di aver fatto il suo dovere e a ubriacarsi prima di venire a prendere il latte. Ha detto che se trova il ragazzo qui ci pensa lui a portarlo in caserma.
- Starò attenta, Anita, grazie.
Antonia corre in casa, ha una pistola nella sua stanza; passa davanti a Davide che ha sentito ogni cosa. Imbronciato le grida:
- Non voglio venire con te. Mio padre mi ha detto di aspettare qui.
Antonia nasconde la pistola nello scialle e gli grida:
- Davide, ora dobbiamo fuggire, ma torneremo presto te lo giuro, prima che tuo padre ritorni. Siamo in pericolo ora, sbrigati!
Antonia avanti e Davide dietro, a testa bassa, corrono lungo il canale. Fiotti di canne sferzati dal vento li nascondono: la paura sta toccando il suo limite all’apice del canneto che sta per finire.
Tra poco saranno allo scoperto, e se Arturo li sta già cercando li vedrà sicuramente. Antonia si ferma e si accuccia tra la vegetazione, vicino al ragazzo.
- Davide, io so delle tue visioni, so che vedi anche cose orribili quando ti portano via. Devi credermi, succede anche a me ogni tanto, non devi preoccuparti; quello che vedi non è reale, ma solo una delle possibili realtà. Cerca di capire bene: c’è sempre qualcosa a cui aggrapparti quando la paura ti gela, c’è sempre un modo perché il peggio non accada. Oggi, noi non dobbiamo farci prendere da quell’uomo, dobbiamo correre e sparire come lampi. Guarda laggiù, vedi dove c’è quella costruzione? Dobbiamo entrare lì dentro; se tutto è andato bene, là troveremo qualcuno con un’auto. Fuggiremo lontano da qui.
- Ma se andiamo via come farò a rivedere papà? Lui tornerà e non mi troverà!
- No! Ti troverà invece, Anacleto sa dove ti sto portando, lo sa anche Anita e altre persone che ci stanno aiutando. Ti troverà e farete insieme quel viaggio in treno. Va bene?
- Va bene.
Allora sei pronto? Corri come una saetta e non guardarti indietro qualsiasi cosa accada.
Davide corre e guarda avanti. Mentre il sole gli pizzica gli occhi, le zolle di terra si staccano dalle suole e gli rimbalzano sulle gambe. Corre come non ha mai fatto prima; Antonia scompare ma lui non si volta, non la cerca nemmeno con lo sguardo. Vola rapido come il fulmine e il campo diventa solido, compatto sotto i suoi piedi: sta correndo su una strada, ai lati c’è una folla che urla e grida il suo nome. Scorge tra la gente suo padre che esulta e lo saluta con la mano. C’è aria di festa, è felice e sta per tagliare il traguardo, quando... Antonia lo prende per un braccio e lo trascina all’interno della casa diroccata.
- Ma come hai fatto? Sei velocissimo, per un attimo ho pensato che non ti avrei più raggiunto. Che diavolo, se non ti pigliavo al volo chissà dove finivi, e poi avrei dovuto correrti appresso… Sei stato bravo sai? Bravissimo!
- Antonia… - Dimmi!
- Credo di aver visto il mio futuro mentre correvo.
- Davvero? Sei fortunato, vuol dire che riusciamo a uscire da questo guaio.
- Fortunato? Non credo che il marmocchio camperà parecchio! il ragazzo viene con me o finisci pure tu in caserma. - Il lattaio è dietro di loro.
- Arturo! Non avvicinarti! Ho una pistola, guarda che sparo se non lo lasci in pace. Non ne hai ancora abbastanza? Adesso denunci anche i bambini?
- Quali bambini? Quello non è della nostra razza. Deve stare con la sua gente.
- Vattene, Arturo, lasciaci in pace.
- Antonia, lo sai che io non ti farei del male, ma non costringermi: potresti pentirtene.
- Scappa, Davide, corri! E tu non muoverti o ti faccio un buco nella pancia.
Con un salto, il lattaio sorprende la donna e, le torce il braccio; le dita di lui e quelle di lei sono serrate sulla pistola. I muscoli si tendono ma la lotta è già finita. Antonia cede al dolore e la pistola cade con un tonfo nella polvere. Davide, che non si è mosso dal fianco di Antonia, non esita: raccoglie l’arma. "C'è sempre un modo" gli ha detto Antonia.
Prende la mira e spara sicuro.