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Bianco, nero, grigio

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Bianco, nero, grigio

Start.

La BMW si accese con un rombo elegante e con tutta la sua tecnologia: cruscotto digitale, luci a led e computer di bordo.

Marta indossava grandi occhiali da sole scuri in quella nuvolosa mattina di novembre, e nonostante fosse in leggero ritardo per il lavoro, si voltò verso il suo piccolo amore. Gli sorrise, gli diede una carezza e subito dopo si avviò con l’auto verso la scuola di Luca.

Luca ormai non era più un bambino, ma neanche un ragazzo: stava in quel limbo che impaurisce tante mamme. Correva veloce verso il muro ignoto dell’adolescenza.

Durante il tragitto se ne stava buono a osservare tutto quello che gli passava vicino: auto, persone, palazzi, alberi e cagnolini.

«Tesoro, stasera non riuscirò a passarti a prendere finita la scuola, e neanche il papà. Ho sentito con la madre di Simone se ti può accompagnare fino a casa.»
«Non c’è bisogno mamma, posso tornare a piedi con Matteo, tanto dobbiamo fare la stessa strada.»

Marta fece no con la testa, mentre continuava a guidare.

«No amore, preferisco che ti venga a prendere qualcuno.»
«Mamma, davvero… non ti devi preoccupare,» sorrise Luca, «ci vogliono solo dieci minuti ed è pieno giorno.»
«Eh lo so, ma non si sa mai, c’è gente strana in giro…»

Ci fu qualche minuto di silenzio, nel quale era la voce dello speaker radiofonico a riempire i vuoti.

In perfetto orario, Marta accostò la sua auto nei pressi dell’entrata della scuola e si voltò amorevole verso Luca.

«Grazie mamma.»
«E di cosa amore? Grazie a te! Non mi dai neanche un bacino?»

Luca buttò furtivo un occhio al di fuori, accennò un sorriso e le diede un veloce bacio sulla guancia, per poi uscire vispo dall’auto.

6 ore dopo

Driiiin!

I ragazzini iniziarono a uscire dalla scuola, giù per la grande scalinata dell’ingresso.
Luca era tra i primi a uscire, con Matteo al suo fianco. Chiacchieravano come se non si vedessero da mesi, ma in realtà erano passati solo pochi minuti. Erano totalmente immersi nei loro discorsi, tra carte magiche, cartoni violenti e video virali su TikTok.

Scesero le scale e si incamminarono verso casa, quando a un certo punto successe qualcosa che catturò la loro attenzione: un ragazzino di colore veniva preso di mira da alcuni bulletti della scuola: Miki, i suoi due compari e una loro amichetta.

«Ciccione di merda, dove vai?» urlò il solito Miki, mentre lo spingeva indietro, per impedirgli di passare.

Quel “ciccione” si chiamava Jamal e nonostante la stazza imponente per un ragazzino della sua età, era un pezzo di pane, mai nessuno lo aveva visto arrabbiarsi ed essere violento con anima viva. 

«Da-da-dai, non ti ho fatto nie-nie-nie…»
«Nie-nie sei proprio un ritardato!» esclamò Miki.

La ragazzina del gruppo lo stava squadrando con disprezzo, mentre ciancicava una gomma: «sei anche brutto!» aggiunse.

Jamal non sapeva cosa fare e cosa dire, se avesse parlato, la sua balbuzie le avrebbe di certo tirato un altro brutto scherzo, se si fosse ribellato… non ci voleva neanche pensare.
Così si piantò lì nel mezzo, chiuso in se stesso come un punching-ball. E i colpi non tardarono a piombargli addosso. Colpi alla sua autostima più che altro, spesso accompagnati da qualche spintone violento.

Poi Miki fece una cosa che non aveva mai fatto prima: si avvicinò quel tanto che basta per sputare con precisione addosso a Jamal e lo centrò negli occhi.
«Non riesci a piangere? Tieni! Te le regalo io le lacrime!»
Jamal iniziò a piangere per davvero, e tutti gli altri giù a ridere…

Luca era rimasto a guardare con attenzione, a una ventina di metri di distanza. Matteo intanto lo stava strattonando per invitarlo a passare oltre, e aggirare ben bene quella pericolosa situazione.
«Dai vieni, cosa vorresti fare? Vuoi prendere le botte?»
«Matti, tu vai. Non ti preoccupare» disse Luca, poco prima di incamminarsi verso i bulletti.
«Cosa fai! Vieni via, andiamo!» Disse Matteo tra i denti; ma quell’invito non sortì alcun effetto.

Appena Miki notò Luca, lo guardò con strafottenza.

«E tu che cazzo vuoi? Sfigato!»

In quel momento Matteo decise di abbandonare il suo amico e assieme alla sua codardia sgattaiolò a testa bassa lontano da lì…
Luca lo vide fuggire, ma non gliene fece una colpa. Subito dopo si voltò di nuovo verso Miki.

«Lo vuoi lasciare stare? Non ti ha fatto niente» disse con voce ferma.

Miki si mise a ridere, e anche gli altri suoi amici. Poi si avvicinò a Luca con fare arrogante.
Gli era quasi sotto, pronto per dargli uno dei suoi spintoni, ma d’un tratto Luca sganciò un bel destro sul naso del bullo.

Nessuno se lo aspettava, e per qualche secondo tutti rimasero di pietra.

Miki se ne stava con le mani sulla faccia per il colpo preso. La sua consueta spocchia fu colpita duro da quel colpo. Che rabbia gli salì in quei pochi secondi… tanto che appena si riprese, serrò i pugni.
«Brutto pezzo di me…» non fece in tempo a finire l’insulto che si vide piombare un altro cazzotto da Luca. Sempre lì: sul suo naso, fino a quel giorno immacolato.
Miki si mise di nuovo le mani sulla faccia, ma questa volta si macchiarono di rosso.

«Come sei messo? Te non sei normale!» sentenziò la ragazzina.
«Mi hai rotto il naso…» disse Miki con voce tremula, mentre indietreggiava da Luca.
«Ne vuoi ancora? Così impari a fare il bulletto!»

Miki continuò a mugugnare come se avesse preso uno schiaffone dal padre, poi si voltò dall’altra parte e si allontanò come un cane bastonato, senza proferir più parola, seguito a ruota dagli altri.

«Grazie» disse Jamal, sorpreso dal gesto di Luca.
«Come stai? Devi reagire se ti prendono in giro, sennò lo faranno sempre!»
«Lo so, ma non ce la faccio…»
«Ma come? Sei grande e grosso, se vuoi li mandi all’ospedale»
Jamal sorrise.
«Tu dove abiti?» chiese Luca.
Jamal gli indicò la strada e gli disse dove abitava. Anche Luca doveva fare la stessa strada, così i due si incamminarono l’uno a fianco dell’altro.

Jamal iniziò a parlare del più e del meno e Luca capì che in realtà non era così timido come sembrava.

All’inizio parlarono un po’ di scuola, ma non di libri e interrogazioni, parlarono di compagni di classe e compagne di classe, amici in comune, interessi in comune… e in effetti, al di là della scuola, c’erano diverse cose che li legavano, come la passione per i videogiochi e per il basket.

A un certo punto Jamal si fermò, e poco dopo anche Luca. I due erano a pochi passi da un piccolo parchetto incolto, ricoperto di foglie marroni e gialle. Uno di quei parchetti anonimi e un po’ abbandonati a se stessi, ravvivati solo da qualche vecchio gioco per bambini e qualche panchina.

Jamal fissò il vuoto di quel parchetto e rifletté un po’.
«Vuoi vedere una cosa? È il mio segreto.»
Luca si incuriosì, allora Jamal lo invitò a entrare.

I due si incamminarono in fila indiana su quel terreno umidiccio e oltre la panchina, oltre i giochi per bambini e oltre un grosso albero mezzo spoglio, vi era un piccolo cespuglio, ben nascosto tra l’erba alta.
Jamal si avvicinò al cespuglio stando ben attento a dove mettesse i piedi, e disse di fare lo stesso anche a Luca. Poi si accovacciò davanti al cespuglio, ci infilò le mani dentro per guardare oltre ai rami e, proprio in quel punto, li vide.

Jamal sorrise, era davvero felice di averli trovati ancora lì. Poi fece un po’ di spazio a Luca, per farglieli vedere. I tre micetti avranno avuto al massimo due settimane e dai loro fievoli e insistenti miagolii sembravano affamati.

«La mamma non c’è quasi mai, sarà andata a mangiare» disse Jamal, mentre ne prendeva delicatamente uno in mano, per poi porgerlo al suo nuovo amico. Luca però sembrava a disagio con quel micetto vicino.
«Non avrai paura?» Sorrise Jamal.
«No, no, è lo stesso, fai tu» rispose Luca, cercando di non guardare l’animaletto.
Jamal insisté scherzosamente ma poi capì che Luca era davvero a disagio in quella situazione, quindi ripose il gattino vicino ai suoi fratelli.

Poi frugò nel suo zaino in cerca di cibo, ma non trovò nulla di utile.
«Cavolo, dicevo di avere ancora i biscotti. Aspettami qui un attimo, vado a prendere qualcosa al supermercato qui vicino, ci metterò massimo due minuti.»
«Meglio che vado a casa, non voglio fare preoccupare mia mamma» disse Luca.
«Non ti preoccupare, faccio prestissimo» esclamò Jamal mentre correva impaziente verso il supermercato.

Luca fece due passi per rincorrere Jamal, ma poi si fermò lì, da solo assieme a quei gattini.

Il miagolio dei cuccioli catturò la sua attenzione e Luca si avvicinò a loro come fosse calamitato.
Quando li ebbe sotto gli occhi, una vampata di emozioni lo sovrastò: poteva sentire il suo cuore pulsare più veloce, il sangue si fece più freddo e iniziarono a tremargli le mani.

Luca prese uno dei gattini con fare impacciato. Era così piccolo e gracile che lo poteva tenere all’interno di una mano. Lo fissò come si fissa un alieno e iniziò a respirare sempre più forte, andando quasi in affanno.

Nel frattempo l’altra mano di Luca  si avvicinò al collo del piccolo, fino ad afferrarlo. Luca iniziò a stringere, sempre più… e quei dolci miagolii si affievolirono. Fino a che scomparvero, davanti al volto eccitato di Luca.

Ci fu un attimo di silenzio, poi Luca spezzò bruscamente il collo del micetto e, facendo qualche torsione con le mani, gli staccò con relativa facilità la testolina dal resto del corpo.
Si soffermò a guardare la testolina che teneva appesa da un orecchio, attento a non sporcarsi le mani di sangue. Poi d’un tratto, come irritato da quell’oggetto, la scaraventò via.

Luca si mise a cercare qualcosa nel suo zaino e poco dopo estrasse un taglierino. Lo aprì e impugnandolo a rompighiaccio trucidò in pochi fendenti anche il secondo gattino.

Infine si alzò in piedi e, come si fa con gli scarafaggi, schiacciò con dei calci anche il terzo animaletto, spappolandolo quasi all’istante.

«CHE COSA HAI FATTO!»

Jamal, devastato da quella orrenda visione, si scagliò contro Luca, urlando con tutta la rabbia che aveva in corpo.
Luca venne travolto da quel ragazzone in corsa e Jamal, in men che non si dica, gli montò sopra e lo colpì con una serie infinita di cazzotti in faccia.
Luca provò a ripararsi, a reagire, ma l’impeto di Jamal era devastante, tanto che Luca iniziò a colare sangue da ogni parte del volto.

Quando per Luca sembrava finita, il suo istinto gli diede la forza di colpire con un calcio i genitali di Jamal, tramortendolo per un attimo.
Approfittò di quei pochi secondi per liberarsi e scappare via.
Jamal, non ancora soddisfatto, inseguì Luca per finire il compito.

«AIUTO!» gridò Luca.

Jamal l’aveva quasi riacciuffato, quando venne notato da due poliziotti: un uomo e una donna, che accorsero per difendere Luca dal pestaggio.

30 minuti dopo

Un’infermiera del 118 stava finendo di disinfettare le ferite di Luca; lì vicino, a pochi passi dall’auto della Polizia, Jamal rimase affranto a guardare la scena, mentre la poliziotta lo tratteneva da un braccio.

Furono chiamati i padri di entrambi i ragazzini: Sergio e George, che arrivarono nel giro di poco. Nel frattempo sopraggiunsero anche alcuni curiosi.

«L’ho aiutato papà e mi ha picchiato lo stesso! Te lo giuro quattro ragazzi di terza lo stavano prendendo in giro e l’ho aiutato!» Esclamò Luca, con gli occhi lucidi.

Sergio cinse Luca con un braccio e si imbestialì contro Jamal, che si nascose dietro il padre George.

«I ga- i ga- i ga- i ga- ha ucci- i ga-» continuò a singhiozzare Jamal, senza essere capito da nessuno, neppure dal padre e dai poliziotti.

«È così che li educate i figli a casa vostra? A picchiare gli altri senza motivo? Non siamo mica in Africa qua!» urlò Sergio guardando dritto negli occhi George.

Poi continuò a spingere l’acceleratore con altre esclamazioni di questo tipo, tanto che George si difese, alzando anch’esso la voce. In un italiano sgrammaticato disse che suo figlio non avrebbe mai fatto un gesto simile e accusò Sergio di essere razzista.

La situazione degenerò in fretta tra i due genitori, tanto che la poliziotta, ormai stufa, prese Jamal da un braccio e lo accompagnò in auto, spiegando in fretta a George che avrebbe dovuto seguirli in commissariato, vista la tensione che si era creata.

George non comprese appieno quelle parole dette con quella freddezza, anzi travisò quel gesto, e vedendo portarsi via il figlio, si impaurì. Quasi d’istinto mise le mani sul collo della donna, facendola cadere a terra.

Intervenne il collega della poliziotta, che braccò da dietro George, cercando di buttarlo a terra, ma George era forte, molto più forte. Con un gomitata colpì il naso del poliziotto e si liberò dalla presa, allora intervenne Sergio, che si gettò su George, per bloccarlo di nuovo.

«Sei proprio un cazzo di animale!» gli urlò Sergio.
«Vai papà!» lo incoraggiò Luca, con i pugni serrati.
Jamal invece pareva di pietra, come se lo avessero congelato, eccezion fatta per le lacrime che scendevano copiose.

George, con una testata sullo zigomo di Sergio, riuscì a liberarsi anche di lui, ma non fece in tempo a raggiungere il figlio, perché venne stordito da una forte scarica elettrica. Il poliziotto gli conficcò il taser nel collo fino a che George non si accasciò sull’asfalto a pancia in giù.

I pochi curiosi che si erano fermati a guardare divennero sempre più e uno di loro fece un video con un smartphone, inquadrando George.

Il poliziotto montò sopra a George puntandogli un ginocchio sul collo e l’altro sul centro del torace, con tutti i suoi novanta chili sopra. Nel frattempo la collega provvide ad ammanettarlo con le mani dietro la schiena, poi anche lei montò sul corpo di George, puntandogli un ginocchio all’altezza della zona lombare e l’altro dietro la coscia.

George emise qualche rantolo incomprensibile e l’uomo che stava registrando la scena esclamò: «Non respira! Non vedete che così non resp…»

Non fece in tempo a finire la frase che Sergio, con lo zigomo gonfio e violaceo, buttò a terra lo smartphone con una manata. 

«Fatti i cazzi tuoi! Stanno facendo il loro lavoro!» gli disse energico.
«Ma che cazzo fai? L’ho pagato mille euro!» ribatté l’uomo, parecchio arrabbiato, «adesso me lo paghi nuovo!»
«Non ti pago un cazzo» concluse Sergio.
A quel punto un amico dell’uomo si avvicinò minaccioso a Sergio, dandogli uno spintone.

«Aaaah! Aaah! Aaaah!» Provava a gridare George, sbavando sull’asfalto.
«Silenzio!» Affermò il poliziotto, schiacciando ancora più forte i polmoni di George a terra.
A quel punto la collega chiamò al walkie talkie un’altra volante a supporto.

«Un’altra volante? Quando mi sono entrati i ladri in casa mica siete arrivati in così tanti» urlò una donna sui quaranta.

Intanto Sergio reagì alla spinta con un’altra spinta, ancora più forte, facendo cadere l’altro.
Il proprietario dello smartphone, dopo averlo raccolto da terra tutto crepato, si gettò a difendere l’amico, colpendo con un pugno il naso di Sergio.
Sergio incassò il colpo, si mise le mani sul volto e iniziò a pisciare sangue tra le dita.

Luca difese a gran voce il padre, cercando di attirare l’attenzione dei presenti: «Vogliono picchiarlo! Non ha fatto niente! Aiutatelo!»

Visto il caos che si era creato, altre persone intervennero; questa volta a difesa di Sergio, che si era già scagliato furibondo contro chi gli aveva spaccato il naso.

Jamal restava immobile e spaventato come un bimbo in mezzo alle bombe. Sguardo basso e perso nell’asfalto. Ormai non se lo filava più nessuno. Solo il padre, ormai agonizzante, con la coda dell’occhio lo cercava ancora.

In poco tempo tutto degenerò in una rissa da stadio, con urla, insulti, spinte e botte: una ventina di persone che se le davano di santa ragione.

Intanto, a una certa distanza di sicurezza, un altro smartphone stava inquadrando la baruffa.

«Nooo, hai visto bro’?» disse il ragazzino che stava registrando.
«Puttana che sleppe!» esclamò l’amico, anche lui su di giri.
«No dai, minchia se mena il tipo!»
«Questo entra nella top del mese bro’.»
«Dopo lo sparo nel gruppo.»
«Lo sta distruggendo il tipo, bro’!»
«Guarda il negretto, bro’! Ahah! Sotto a un treno.»
«Un baby zombie bro’, come Z Nation.»
«Z Nation di brutto bro’!»
«Lo sai cosa puoi fare, bro’? Che m’hanno detto… Hai presente la tipina che s’è scopato il Mollo? Quella col septum, biondina, dai bro’.”
«Quella che fa i bocchini al Paradise?»
«Braaavo! M’ha detto il Mollo che lei ha fatto ‘sto video di un incidente, bro’, e l’ha venduto a MilanoNews, loro li cercano a palla ‘sti video.»
«Sì? E quanto ha grattato bro’?»
«Boh, mi sa una cento.»
«Solo?»
«Ah, bro’, meglio che zero, no?»
«Meglio che zero bro’.»
«Fifty-fifty bro’, ok?»
«Col cazzo bro’! Fattelo tu il video, con cinquanta non prendo neanche un pezzo.»
«Facciamo così bro’, prendiamo un grammo e mi lasci uno zerodue.»
«Uno zerodue bro’? Ci sta.»
«Bella.»
«Minchia il negro è steso, non si muove più un cazzo, finita la festa mi sa.»
«Mi sa che è game over, bro’.»
«Mi sa che taglio, cosa dici bro’?»
«Taglia pure che andiamo bro’.»
«Bella.»

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