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Mad Tania

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                      Mad Tania

 
La motocicletta avanzava roboante in mezzo alle macerie di quella che, una volta, era civiltà. Il sole era alto e spietato, a tal punto da abbrustolire la terra e tutto ciò che provava a nascerci dentro.
Pochi sopravvissuti percorrevano ancora quelle strade sporche, e Tania era una di quelli. 
In realtà non si faceva chiamare Tania, era conosciuta come “la cacciatrice”, al di là delle terre degli sfregiati. 
Tania era forte come una quercia, ostinata a resistere in un mondo arido.
Una cavaliera nera con la maschera antigas e i capelli legati, agghindata di pelle e borchie impolverate.
 
«Dove scappi amore?» disse uno sfregiato, ridendo e correndo.
La bimba correva come una gazzella in quel deserto di vita. 
Era sola, sotto al sole cocente, in una valle così sconfinata da sembrare una gabbia. Dietro di lei, sempre più vicini, due sfregiati. Brutti e spelacchiati come i condor che volavano alti sopra le loro teste.
«Tanto ti prendiamo troietta.» 
Il cuoricino della bimba tremava e scalpitava come se stesse scoppiando.
«Non vedo l’ora di scoparti e di mangiarti le orecchie» urlò ridendo l’altro sfregiato.
Entrambi erano affamati come iene. La piccola, nonostante la sua fuga affannosa, capì che la stavano raggiungendo. E i suoi occhi spalancati parlavano per lei.
Poco dopo uno dei due la raggiunse e la agguantò dal suo vestito. Lei iniziò a dimenarsi e a scalciare come una selvaggia. Arrivò anche l’altro sfregiato che la prese per i piedini, sghignazzando. 
La bimba, bloccata mani e piedi, tentò un ultimo gesto disperato azzannando la mano dello sfregiato. Serrò i denti a più non posso in quella mano sporca e purulenta. 
Lo sfregiato urlò dal male e, rabbioso più che mai, con l’altra mano colpì più e più volte la tempia della piccola; continuò a picchiarla e lei perse i sensi; poi continuò ancora e le ammaccò la faccia per un lungo, fatale minuto. 
 
Un’ora dopo
 
I coltellacci degli sfregiati giacevano conficcati a terra, imbevuti di sabbia e sangue. Poco a lato, buttati a caso, vi erano i pezzi della bambina. Macellati senza cura, come fosse cibo per cani. 
«Il capitano sarà contento della bimba» disse uno dei due, mentre finiva di succhiare un ossicino.
«Gliela vuoi lasciare tutta?»
«Se non fai l’infame gli lasciamo solo la metà, compresa di testa e occhi. Gli diciamo che aveva le gambe in cancrena.»
L'uomo si fermò a pensare qualche secondo, poi fece un cenno di assenso.
«Non sei così ritardato come sembra» disse tendendogli il pugno, per sancire l’accordo.
Si udì un sibilo lontano.
L’altro sfregiato non fece in tempo a ricambiare il pugno che il cranio gli esplose in diversi pezzi. Cadde a terra tinco, come un sacco pieno di sassi, e crollò con il suo volto spappolato a pochi centimetri dalla testa mozzata della bimba.
«Cazzo!» esclamò lo sfregiato rimasto in vita, «dove sei? Fatti vedere se hai le palle! Ho sempre pensato che i cacciatori sono dei conigli! Affrontami da uomo a uomo!» 
 
Tania aveva la testa di quell’uomo al centro del suo mirino, stava solo aspettando il momento per farlo tacere per sempre. 
Era una tiratrice formidabile, sdraiata a pancia in giù avrebbe potuto centrarlo da quasi un chilometro.
Poi, appena echeggiarono le provocazioni dello sfregiato, accennò un sorriso e lasciò da parte il suo fucile. 
Iniziò a camminare verso di lui, aiutata solo dal suo coltello, che impugnava con mano esperta.
Intanto lo sfregiato continuava a spostarsi a destra e a sinistra, abbaiando parole forti, ma piene di paura. Si sentiva ancora il bersaglio di un cecchino, ma non lo era più già da qualche minuto. Lo capì solo quando vide apparire Tania in lontananza, come un miraggio di morte.
 
Appena la vide, sembrò sollevato ed esclamò: “Troia del cazzo!” poi raccolse il coltellaccio conficcato a terra e iniziò a correre come un pazzo contro di lei.
A quel punto anche Tania iniziò a correre.
Sembravano due anime pronte a esplodere l’una con l’altra, attratte dalla stessa calamita.
Si scontrarono con violenza, coltello contro coltello. 
Entrambi lo sapevano maneggiare bene, tanto da evitare fin da subito ferite gravi, che avrebbero sancito la loro morte prematura.
D’un tratto lo sfregiato prese da una tasca della sua divisa un’arma subdola: una piccola pistola accecante. Quel flash inaspettato abbagliò Tania per qualche secondo, quel tanto che bastava per prendersi una coltellata sull’addome.
D’istinto Tania si difese ferendo la mano dell’uomo.
Entrambi indietreggiarono e ci fu un attimo di pausa. Si guardarono rabbiosi, mentre provavano a contenere con una mano le proprie ferite.
«Non te l’aspettavi vero? Era meglio se mi sparavi da lontano» disse ironico.
Tania non rispose, continuava a fissarlo con sguardo sofferente, ma determinato.
«Non ti preoccupare cacciatrice, tra poco sarà finita» rincarò la dose lo sfregiato, mentre si passò il coltello da una mano all’altra.
 
L’uomo si avventò rumoroso su Tania, con furore omicida. Lei rimase immobile fino all’ultimo. Non era paura, era istinto. Appena il braccio del nemico fu alla sua portata, con uno scatto felino schivò e neutralizzò l’attacco dell’uomo. E prima che lui potesse accorgersene, lei aveva già aperto da parte a parte la sua gola. 
 
Poi tutto si calmò, la polvere che librava nell’aria si iniziò a posare come neve a terra e il silenzio tornò a regnare in quel deserto.
Solo i rantoli dello sfregiato interrompevano quella quiete. Sperava di catturare anche solo una particella di ossigeno da quella gola lacerata. Ma ormai nei suoi polmoni entrava solo sangue sporco. Stramazzò a terra, e morì come un cane, annegando nei suoi liquidi.
 
Tania raccolse le poche forze rimaste e iniziò a frugare nelle tasche dei due sfregiati. 
«Cazzo» disse stizzita, quando non trovò nulla. Poi vide a terra, poco più in là, una boccetta azzurra, caduta allo sfregiato durante la colluttazione.
La raccolse e soffiò via la polvere che nascondeva la scritta “Anti Cancer 3.4”. Proprio quello che cercava, merce rara dai tempi dell’apocalisse. Più preziosa della benzina e più preziosa dell’acqua. 
 
Tania se la mise in tasca e prima di tornare alla sua moto posò lo sguardo su quei tre cadaveri: carne da macello, in quella terra dove preda e predatore giocavano a dadi con la sorte.
Si avvicinò alla testa mozzata della bambina, per guardarla bene negli occhi. Tania non fece trasparire emozione, quasi rassegnata a quella vita, anche se, sotto pelle, forse ribolliva di rabbia come un tempo.
 
5 ore dopo
 
La porta del bunker sotterraneo si aprì di botto. Subito dopo entrò Tania, si tolse la maschera antigas e, visibilmente provata da quel lungo viaggio, tossì. Aveva perso molto sangue e il pallore del suo volto non faceva altro che confermarlo.
«Mamma!» esclamò il piccolo Tom appena la vide. Dapprima fu pieno di gioia nel vederla, poi capì che sua madre non stava affatto bene.
«Cos’hai fatto?» chiese spaventato, provando ad alzarsi dal letto, ancora con la flebo attaccata.
«Fermo amore, sto bene, è solo un piccolo taglietto, devi rimanere sdraiato.»
Tania si avvicinò a lui, mascherando le fitte che la stavano distruggendo. 
Appena gli fu vicina, lui si avvinghiò a lei come un cucciolo di koala. Tania sussultò dal male, ma sorrise.
Lo accarezzò e gli chiese: «hai letto il libro che ti ho lasciato sulla scrivania?»
«Molto bello mamma! Io sono quel principe?»
Tania sorrise e gli disse: «tu sei molto di più di quel piccolo principe».
Poi lo cullò dolcemente tra le sue braccia.
«Quando potrò vedere i fiori e gli alberi là fuori?» chiese curioso il piccolo Tom.
Tania strinse forte il suo bambino e trattenne una lacrima con un profondo respiro.
«Voglio raccogliere mille girasoli e farci una barca, così ti porterò dove potrai sorridere» ribadì il piccolo.
Tania continuò ad accarezzarlo, sforzandosi di rimanere impassibile. 
Tempo qualche minuto e Tom si addormentò come un cucciolo, così Tania lo appoggiò delicatamente sul letto.
 
Ora poteva smettere di mascherare il suo dolore, e infatti si incamminò gobba su di un lato, come una vecchietta stanca della vita. Raccattò le sue poche energie e versò l’Anti Cancer nella flebo di Tom. Poi, appena finito, barcollò fino a un’altra stanza e, una volta arrivata, cadde a terra svenuta.
 
Si risvegliò diversi minuti dopo, in un piccolo laghetto di sangue. 
Tremava dal freddo e si sentiva debole come un’anziana leonessa deperita. Le girava la testa e ogni respiro le ricordava di quel taglio infetto che la stava divorando dall’interno.
Non so come abbia fatto, ma, a fatica, si rimise in piedi.
Di fronte a lei c’era un lungo specchio che la guardava con assoluto distacco.
A lato dello specchio vi era un tavolo bianco, sopra quel tavolo spiccava un revolver scuro e freddo. 
 
Gli occhi di Tania si posarono cupi su quell’arma, poi, prima che cambiasse di nuovo idea, si avvicinò e la raccolse.
Controllò che tutti e cinque i colpi fossero in canna, poi uscì da quella stanza.
 
Strisciò fino a Tom lasciando dietro di sé una bava rossa. Aveva entrambe le mani impegnate: una a contenere la ferita e l’altra a stringere il revolver.
Tom per fortuna dormiva come un angioletto.
Tania si fermò a due passi da lui e scoppiò in un pianto infantile. 
La mano che impugnava la pistola tremava come mai aveva fatto in tutti quegli anni. Quanto era diventato pesante quel revolver!
«Perché?» urlò tra sé e sé, invocando qualche miracolo. Ma i miracoli cessarono di esistere tanti anni prima, quando venne l’apocalisse e i sopravvissuti tornarono ad essere animali.
 
Più volte aveva messo in conto che sarebbe potuto succedere, ma c’è una brutale differenza tra l’immaginazione e la cruda realtà. Non pensava di meritarsi quello.
 
Ci mise tanto tempo a prendere la mira. Per lei furono i minuti più pesanti della sua intera esistenza. 
 
Sopra alla testa di Tom c’era una vecchia foto appesa alla parete: un campo sterminato di girasoli pieni di vita.
 
Alla fine Tania guardò quella foto.

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