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Re: [CC24] La maschera invisibile

Grazie @Modea72per il commento.
 Allora, il tema non è strettamente carnevalesco, ma la traccia 6 lasciava una certa libertà di azione. In fondo si parla di una maschera speciale.
Per quanto riguarda l’originalità non lo sono stata affatto! Qui la realtà supera l’immaginazione. Si tratta di un racconto storico. Le rapine in banca con la maschera al succo di limone sono state davvero fatte nel 1995 da un tale Mc Arthur Wheeler che ha dato da mangiare a fior di psicologi da allora in poi! 
Io ho solo romanzato un po’ gli episodi della sua vita ma le rapine con la maschera l’inchiostro simpatico sono tutta “farina del sacco di Wheeler”.
Mi era sembrata una storia buffa da raccontare. Alla prossima! 

[CC24] La maschera invisibile

Traccia 6: "Chi c'è dietro la maschera?"



Quando Arthur decise di rapinare una banca, la parte più facile fu quella di procurarsi un’arma. Si ricordò che nonna Mae possedeva una scacciacani alla fattoria e decise di andare a cercarla. Ricordava di avergliela vista nascondere sotto a un’asse del pavimento. L’aveva trovata una delle tante volte che l’aveva chiuso in casa dopo una malefatta. 

La fattoria di nonna Mae, nella contea di Greene in Pennsylvania, era immersa nel verde della campagna. Arthur ci trascorreva le vacanze estive. Avrebbe dovuto studiare per recuperare i brutti voti in pagella, ma pensava che gli insegnanti fossero degli schiocchi incapaci di comprendere la sua intelligenza e così, invece di fare i compiti, divideva le giornate tra la stalla e i campi.
L’unico ragazzino che poteva frequentare era Frank, il figlio di un contadino che abitava in una fattoria non troppo distante da quella di sua nonna. Frank era più grande di lui di qualche anno e gli insegnava cose sempre molto interessanti. Per esempio, una volta gli fece trovare un pulcino sotto a una grosso cespo d’insalata e Arthur da quel giorno si convinse che bastava mettere le uova sotto a quelle piante  per avere un pollaio da primo premio. Nonna Mae, invece di apprezzare il suo lavoro, aveva impiegato tutto un pomeriggio per portare le uova nel campo d’insalata, lo aveva chiuso in casa per una settimana. Anche la nonna non aveva compreso il suo genio.

Arthur era ormai un uomo di quarantacinque anni, abitava a Pittsburgh e si occupava di mantenere in ordine il reparto verdure del piccolo market in cui aveva trovato con fatica lavoro, ma non aveva mai smesso di credere che il mondo prima o poi si sarebbe accorto di averlo sottovalutato.
Un giorno capitò in negozio un cliente molto pignolo: aveva richiesto un chilo di limoni di una particolare qualità prodotta in Pennsylvania e la commessa non riusciva a capire cosa avessero di tanto speciale. Arthur intervenne nella discussione:
«I nostri limoni sono piccoli, rotondi, di un giallo intenso e molto molto succosi.»
L’uomo gli parlò come nessuno lo aveva fatto prima: «Non capisco perché abbiano scelto una commessa ignorante invece di dare questo ruolo a lei che è un vero esperto!»
Arthur da quel momento lo guardò con occhi diversi. Quell’uomo doveva essere uno intelligente almeno quanto lui.
«A cosa le servono quei limoni?» chiese curioso.
«Per un esperimento in classe. Come ha detto bene lei, sono piccoli e succosi e in un chilo ce ne sono parecchi, così posso darne uno a ciascun allievo senza spendere troppo.»
«E di che esperimento si tratta?»
«L’inchiostro invisibile.»
«Invisibile?»
«Se lei scrive su un foglio con uno stecchino intinto nel succo di limone, la frase resterà invisibile fino a quando non si metterà la pagina vicino a una fonte di calore. Allora si potrà leggere il messaggio segreto!»
«Funziona davvero?»
«Assicurato. Lo chiamano inchiostro simpatico.»
Arthur, la sera stessa, ripeté l’esperimento. Il foglio sembrava bianco fino a quando lo poneva sotto a una candela e mostrava la sua scritta: “Sono il più furbo di tutto il mondo.”
Da quel giorno non riuscì più a dormire: pensava di continuo al modo in cui poter sfruttare la sua nuova competenza. Se il succo di limone rendeva invisibile la scrittura, poteva rendere invisibile qualunque cosa su cui fosse spalmato, persino il proprio volto. Però lui non era uno sciocco, la cosa doveva essere confermata. Ma come fare? 
Possedeva una macchina fotografica Polaroid, una di quelle che stampavano subito le foto scattate.
Si pettinò, si spalmò con cura  il viso di succo di limone lasciando scoperti solo gli occhi, poi scattò una foto verso il soffitto. Attese trepidante di vedere il risultato e… la foto risultò bianca. Lui non si vedeva! Era la prova che il succo lo aveva reso invisibile e questa cosa gli offriva possibilità di arricchirsi mai neppure sognate fino a quel momento. 
Decise di lasciare il lavoro e iniziò la sua nuova carriera di rapinatore. Per allenarsi scelse due piccole filiali di banche non troppo frequentate. 
Si disse che non avrebbe dovuto creare sospetti e si presentò come un nuovo cliente che aveva necessità di un piccolo prestito. Frequentando più volte le filiali, poté annotare con precisione gli orari degli impiegati, dei custodi, e stabilire il momento migliore per effettuare il colpo.
Ben spalmato di succo, indossati i guanti e infilata la scacciacani in tasca, partì a piedi per l’impresa. Per l’occasione aveva acquistato una valigetta capiente in cui riporre il malloppo.
Entrò con facilità nella filiale, nessuno sembrò far caso alla sua presenza. Era l’ennesima conferma della sua invisibilità. Si fece più audace e arrivato davanti alla telecamera, fece un gran sorriso e un saluto come il re ai sudditi dal terrazzino del palazzo.
Giunto di fronte alla cassa, tirò fuori la pistola e ordinò all’impiegato di riempire la valigetta di contanti. L’azione fu talmente rapida che colse tutti di sorpresa. Uscì camminando piano e continuando a salutare, convinto di non essere visto.
La rapina era andata così bene che nel giro di mezz’ora si presentò a un’altra filiale. Nessuno poteva fermarlo. Nel tragitto pensava a quanto fosse stato sciocco l’insegnante che gli aveva raccontato il trucco del limone, se fosse stato intelligente avrebbe sfruttato l’informazione per se stesso invece di sbandierarla ai quattro venti. Per fortuna che lo aveva incontrato, lui sì che aveva saputo trarre il massimo e aveva avuto l’idea vincente.
Con la valigetta piena di bigliettoni, camminava sicuro tra i passanti quando sentì un gran colpo dietro le spalle. Caduto a terra, si rese conto che due poliziotti lo stavano tenendo fermo mentre un terzo gli metteva le manette.
Si alzò barcollando incredulo. 
Raggiunta la centrale della polizia fu rinchiuso in una stanza per essere interrogato. Guardò i poliziotti e prima che  gli rivolgessero la parola chiese:
«Come avete fatto a prendermi?»
«Non faccia domande idiote, o aggiungiamo anche l’accusa di vilipendio a ufficiali pubblici. Lei ha fatto due rapine a volto scoperto. Pensava di farla franca?»
«Eppure mi ero spalmato il succo…»
Si accorse in quel  momento del grande specchio che rifletteva la sua immagine. Si toccò il volto, pizzicò la pelle, fece delle smorfie: l’effetto dell’inchiostro simpatico era svanito. Forse era colpa della lampada che gli avevano puntato addosso: troppo calore aveva distrutto la maschera. Per questo lo avevano acciuffato. 

La sua maschera al succo di limone riempì la cronaca di tutti i giornali dell’epoca e, ancora oggi, ripensando alle sue gesta Arthur sente di aver compiuto un’impresa straordinaria e continua a essere convinto che se si fosse accontentato di fare una rapina al giorno, nessuno avrebbe mai scoperto chi si celava dietro la maschera. 

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