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Re: [MI148] Strano

Allora, confermo le impressioni notturne. Mi gioco la spada laser che non sei uno che ha iniziato a cimentarsi adesso @L'illusoillusore , perché, come ti è stato già detto, la tua è una scrittura matura, e si vede che hai una grande padronanza. Confermo anche l'impressione che se sfrondassi giusto un pochino, con qualche giggioneggiamento in meno, il testo, che già di per sè è magnifico, potrebbe migliorare ulteriormente. 
Confesso che anche a me non è ben chiara la dinamica: perché lui va in riformatorio? Si capisce che non è stato lui ad aggredire Anna, altrimenti non sarebbe diventata sua moglie. Ma a un certo punto dai davvero intendere che sia morta, e che lui un po' strano, in effetti, sia... beh, c'è differenza tra lasciar intuire e depistare, quel punto lo chiarirei.
Per il resto un esordio davvero notevole (ma ripeto, magari è un esordio qui, ma mi sono giocato la spada laser che non sia un esordio in assoluto), con descrizioni da professionista (non mi stupirei se venisse fuori che qualche pubblicazione l'hai fatta).
A rileggerti con molto interesse 

Re: [MI148] Strano

L ha scritto: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Il paese è un’erta stretta e lastricata.[/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]È uno spingersi di case incombenti, talmente pigiate tra loro che basterebbe sfilarne via una per vederle ruzzolare tutte a terra. Loro e i panni perennemente stesi, sempre gli stessi come cinquant’anni [/font]fa
ok, @L'illusoillusore , non ti conosco e non ti ho mai letto ma mi bastano tre righe per dirti che già hai conquistato la mia attenzione.
L ha scritto: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Il paese è la salita umida che percorro, un budello ombroso slavato della pioggia appena cessata, un vicolo che puzza di muffa e di ricordi.[/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Io so che non dovrei essere qui, vorrei non esserci. Eppure, è bastata una voce ed eccomi, arrancante nei miei sette decenni lungo questi muri zeppi di [/font]ricordi
Attento qui, eviterei la ripetizione
L ha scritto: Il mio commento
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Traccia di Mezzogiorno:  La maledizione delle piccole cose[/font]

Il paese è un’erta stretta e lastricata.
È uno spingersi di case incombenti, talmente pigiate tra loro che basterebbe sfilarne via una per vederle ruzzolare tutte a terra. Loro e i panni perennemente stesi, sempre gli stessi come cinquant’anni fa.
Il paese è la salita umida che percorro, un budello ombroso slavato della pioggia appena cessata, un vicolo che puzza di muffa e di ricordi.
Io so che non dovrei essere qui, vorrei non esserci. Eppure, è bastata una voce ed eccomi, arrancante nei miei sette decenni lungo questi muri zeppi di ricordi. Travolto dai dettagli, dal significato di ogni mattone, di ogni finestra, di ciascun uscio.
Se potessi, procederei con gli occhi chiusi, completamente cieco di pensieri, ma ogni lastra sconnessa è un trabocchetto per le mie instabili gambe e non desidero affatto rotolare giù, come un sacco di patate, o come il vecchio che sono.
Così devo lottare con la follia che mi ha portato via da qui. Quanti, quanti anni mi ci sono voluti per imparare a gestire la mia stranezza?
Già, era così che mi definivano le donne al mio passaggio: lo strano.
 
Salivo questo medesimo vicolo tirato dal passo svelto di mia madre, la domenica per la messa, quando sfidava la vergogna, osando portarmi fuori.
Nei miei passettini infantili, quasi volavo mentre gli occhi cercavano appigli ovunque. La maniglia d’ottone d’una porta, il perché della sua forma, l’alone scolorito da migliaia di prese… ed ero già oltre, a una ciocca di capelli scuri, lucidi, che sfuggiva da un foulard azzurro e al suo perché, alla ragione per cui… gli scalini di pietra davanti alla chiesa, il tarlo nel legno del portone, la mano inchiodata del poveretto sulla croce. Il sangue, la sofferenza sul suo volto.
Poi le panchine scricchiolavano di persone, il vociare cresceva. Visi, mani, vestiti. Troppi, troppe cose da guardare, da capire. Era come se la testa si frantumasse in migliaia di cristalli luminescenti. Tutto, tutto. Dovevo vedere ogni cosa e saettavo gli occhi, giravo la testa a destra, a sinistra e poi ancora di lato e ancora, senza fine.
Non sarei stato in grado di fermarmi, se non fosse stato per mia mamma, che estraeva dalla borsetta un foglio piegato in quattro, lo apriva e me lo passava.
Non ho idea di chi le avesse dato quella pagina di libro, vi erano rappresentate delle scale impossibili che iniziavano dove finivano, senza soluzione di continuità. Mi perdevo in esse per ore ed ore; forse sarebbe stato per sempre se ogni volta mia madre, finita la funzione e con la chiesa già vuota, non me le avesse strappate di mano.
Escher?
Occhei, si vede subito che sei bravo. Non gigioneggiare troppo su questa cosa però (ovvero nel compiacerti nella scrittura). Vado avanti.
L ha scritto: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Proprio dove mi trovo ora, accanto alla crepa a forma di [/font]rosa
Questa frase mi dà la stura per spiegare meglio il commento che precede: si nota subito l'ottima padronanza della scrittura, ma se la calchi troppo, se indugi e ti compiaci un po' troppo nelle ripetizioni, ad esempio, rischi di diventare retorico. Qui, sinceramente, un po' lo risulti

Beh, caspita! Su questo racconto ci tornerò a un'ora meno tarda. è evidente che c'è tanta sostanza e tanta bravura, complimenti. Non so se l'impressione un po' barocca e retorica che mi ha dato a tratti è frutto del fatto che ti commento alle due di notte passate o se forse è una tendenza che si può limitare, soprattutto voglio rileggere per comprendere se sia funzionale o meno al testo... però, cazzarola, si capisce anche a quest'ora che come new entry sei più che interessante. Aspé che torno, eh. Buonanotte

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