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Re: A filo d'acqua

Ciao Zouks, bello questo racconto quasi sospeso nel tempo e ancor più bello voler dare risalto a un'arte che è sul punto di scomparire come quella della lavorazione del bisso.

Mi permetto di indicarti gli aspetti che mi hanno convinta di meno, perché in fondo è la ragione principale dei commenti qui.


Il tono "sfumato" e intriso di lirismo serve a rendere ancora più "senza tempo" e quasi fiabesco il racconto, farlo brillare come il filo del bisso. Va benissimo, però secondo me a tratti ti fai prendere la mano ed esageri in quel senso. In particolare, ci sono immagini che ritornano più e più volte, o come nell'incipit, due periodi che dicono la stessa cosa, con sfumature minime. Come se non avessi saputo/voluto scegliere quale usare e deciso di tenerle entrambe.

"C’è un istante in cui due realtà completamente separate, create in modo da non potersi unire mai, si toccano"


"due universi nati per non incontrarsi mai si incontrano"

Nell'incipit, ti segnalo anche lo "spazio che a fatica si può chiamare millimetro" perché non mi sembra corretto: un millimetro è un millimetro o non lo è, non è questione di chiamarlo così o no. Al limite, è uno spazio infinitamente più piccolo di un millimetro, o vedi tu.


Un altro paio di esempi in cui, a mio parere, lo stesso concetto è ribadito più volte con parole diverse (neanche troppo, in realtà):


Le mani della bambina ancora vergini/intoccate dal lavoro. (vergini e intoccate sono sinonimi, perché usarli entrambi?)


Le sue mani che un giorno saranno come quelle della madre/un giorno tesseranno il bisso come quelle della madre.


"Era come se la madre prendesse la luce del sole al tramonto e le desse forma tangibile."/"era come se il sole stesso prendesse vita e danzasse nel mondo. "


Mi fermo qui con gli esempi, ma ce ne sono molti altri. Ad esempio, una cosa che mi ha colpito leggendo, è il ripetersi in più punti dell'immagine delle dita della madre che accarezzano la figlia, o i suoi capelli, con gli stessi movimenti con cui tocca e lavora il filo di bisso. Intendiamoci, è un'immagine efficace e molto ben trovata, ma il riutilizzarla ancora e ancora rischia di smorzarla, piuttosto che metterla in valore.


Una cosa su cui secondo me dovresti riflettere è anche il primo passaggio in cui il narratore introduce la storia del bisso: molte delle cose che dice saranno poi ripetute nel dialogo tra madre e figlia. Non sarebbe meglio ridurre al minimo questa prima "spiegazione" per poi illustrare storia, bellezza e importanza dell'arte del bisso in modo più naturale, attraverso le parole delle due protagoniste?


Sempre a proposito di ripetizioni (non per usare la penna rossa come una maestrina, ma perché in un racconto si notano e pesano davvero, ben più che nella narrativa lunga) ti suggerisco di soffermarti sull'onnipresenza di verbi legati alla vista, in particolare guardare e vedere. Ti cito un passaggio che ne è particolarmente denso, ma vale per tutto il testo.


"e la bambina la vedeva guardare le sue mani muoversi rapidamente, con movimenti sicuri e antichi, ed eppure era come se non le stesse guardando


I suoi occhi osservavano le dita, ma era come se guardassero oltre agli intrecci dorati che si piegavano e si muovevano; era come se vedessero qualche cosa al di là della dimensione in cui la bambina si trovava, al di là della luce, al di là del mondo, e quando ciò succedeva, quando la mamma era persa in quell’estasi dorata, la bambina la vedeva"


(ho sottolineato anche "occhi" perché contribuisce al sovraccarico di lessico legato alla vista.)


Analogo discorso vale per quel che riguarda mani e dita. Certo, sono fondamentali per l'argomento del racconto, ma il troppo stroppia e nel testo sono davvero citate e descritte e messe in risalto molte volte. Tutte assolutamente necessarie? A te la risposta.


Qui invece credo manchi qualcosa alla fine, dopo "ben", probabilmente è un refuso nella battitura.


"Quando ancora la magia primitiva dell’universo, la stessa magia che aveva creato il Bisso, era ancora ben."


"Era un sorriso bellissimo, un sorriso di una madre che ti sveglia alla mattina, ma non era minimamente paragonabile al sorriso che aveva mentre filava il Bisso."


Questo è un altro esempio in cui mi sembra che la ricerca dell'immagine poetica nuoccia alla scrittura. Qui la madre, mentre fila, guarda la bambina sorridendo e usi l'immagine del sorriso della madre che ti sveglia alla mattina per poi dire che però non è paragonabile al sorriso con cui fila. Ma è proprio il sorriso che ha mentre fila, quello di cui stiamo parlando. Il paragone è quindi fuorviante.


Un altro passaggio che mi sembra in contraddizione con cose scritte prima è questo:


"Proprio come un re non è niente di speciale senza i suoi sudditi, un vestito di seta di mare non è nient’altro che un vestito normale se indossato da una persona qualunque."
È una bella affermazione, ma contrasta con quanto hai detto all'inizio, nella digressione sulla seta di mare:
"dove tutti si vestivano con tessuti meno pregiati ma resi più preziosi perché qualcuno di importante li aveva fatti, o perché quegli abiti, una volta indossati dalla persona giusta, venivano investiti di un’eminenza quasi sovrannaturale.
Ma tutto questo era perché l’uomo aveva deciso che fossero speciali. 

I vestiti in Bisso, invece, erano speciali per loro natura."


Insomma, un consiglio utile è quello di rileggere le frasi concentrandoti, oltre che sulla loro correttezza e resa estetica, sul senso che veicolano al lettore, sul fatto di essere coerenti e non in contraddizione con quanto scritto in altre parti dello stesso racconto.


Concludo ripetendo l'invito a cercare di ridurre le ripetizioni, sia quelle di verbi e sostantivi, che quelle di immagini e similitudini, che, soprattutto, quelle di concetti. La maturità e consapevolezza della madre (e delle sue mani), la verginità e incomprensione della figlia (e delle sue mani), la luce del sole, le due cose non congiungibili che si congiungono...sono bei concetti e il fulcro del racconto, certo, ma si ripetono così tante volte in sfumature appena variate, che il rischio è di indebolire l'impatto e l'efficacia del testo stesso, piuttosto che dargli forza.


Ti ringrazio per la piacevole lettura, ho un debole per le "piccole" storie di "piccola gente", credo siano quelle che più meritano d'essere raccontate.

Un saluto.


P.S. Naturalmente, ti ho riportato le mie impressioni, non delle verità assolute, utilizza quelle che ti convincono e ignora il resto :)

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