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Re: [MI 153] Nessuno può farlo in tua vece

Edu ha scritto: Per ora ti dico che ci sono parti in cui hai montato su un po' troppo teatro.
Ok, ti aspetto, perchè mi incuriosisce capire che significa. Intanto, grazie per esserti fermato, Edu.
Loscrittoreincolore ha scritto: Un Frankenstein stilistico
Sei fantastico anche nei commenti, Mattia. Grazie mille per i complimenti, un saluto caro.

Re: [MI 153] Nessuno può farlo in tua vece

@Almissima, grazie! Che belle parole hai per me.  <3

Alberto Tosciri ha scritto: gio giu 24, 2021 12:26 pmmi ha ricordato le bellissime atmosfere di Avatar.
Sono contenta. Amo quel film.
Alberto Tosciri ha scritto: gio giu 24, 2021 12:26 pmMi viene la curiosità di chiederti come mai hai scelto un protagonista maschile, poteva benissimo essere una donna.
Spesso il mio "io narrante" è maschile, non saprei dirti perché. Di solito il genere s'impone da solo quando comincio a scrivere. Però hai ragione: poteva benissimo essere una donna. 
Alberto Tosciri ha scritto: gio giu 24, 2021 12:26 pmanche se toglierei alcune attività e atti fisici puramente materiali, umani, secondo me non necessari in pieno in una esposizione poetica. Non si tratta di pudore o atteggiamento da codino… si tratta… solo così, ecco. 
Quando scrivo mi fido del mio istinto. So cosa intendi dire riguardo alla sensazione provata: io, ad esempio, non amo il turpiloquio negli scritti, a meno che non sia davvero funzionale. L'accenno cui fai riferimento mi sembrava utile per far comprendere la gioia totalizzante che l'uomo prova, gioia in cui il fisico non è disgiunto dalla mente e dal cuore. 
Alberto Tosciri ha scritto: gio giu 24, 2021 12:26 pmForse eviterei di usare anche il termine “mezzo galattico”; si intromette troppo nella poesia, come pure il petto che sussulta come un motore impazzito.
Per quanto appaia con la forma di un albero magnifico, si tratta pur sempre di un'"astronave" o similia, che ha solcato le galassie ed è giunta sul pianeta Terra. Sono a digiuno di fantascienza, quindi mi perdonerai se ho scritto sciocchezze.
Grazie infinite per la tua gentilissima attenzione e le gradite considerazioni, @Alberto Tosciri.

Re: [MI 153] Nessuno può farlo in tua vece

bestseller2020 ha scritto: Mi pare però di intravedere ( correggimi se sbaglio) una sorta contaminazione con la filosofia shintoista.
Best, non saprei. Di certo amo profondamente le cose della natura e vi percepisco un movimento che mi scuote. Come nel sasso che citi. 
Felice di averti mostrato un lato della mia scrittura che ti era ignoto. 
bestseller2020 ha scritto: lun giu 21, 2021 6:56 pmSei sempre stata anticonformista, ma questa volta vedo in te dell'altro
Non so cosa tu abbia visto, ma mi auguro che sia bella. 
Grazie mille per le tue considerazioni, @bestseller2020.

[MI 153] Nessuno può farlo in tua vece

Traccia di mezzanotte



Chi apre la finestra e vede un albero è una persona felice. Io ero una persona infelice fino a questa mattina.
Sto scrivendo di corsa queste righe sul taccuino del cellulare, prima di lasciarlo cadere giù dai rami, delicatamente, e abbandonare questa nostra Terra per sempre.
Se appaio pomposo, letterario, è perché, nonostante abbia fretta di farvi sapere cosa mi sta accadendo, voglio descrivere gli eventi con precisione millimetrica.

Dunque, questa mattina mi sono alzato alla solita ora, ho bevuto il caffè e sono entrato nella doccia. 
Raccontare a voi, che troverete il telefono e divulgherete al mondo intero il suo contenuto, è anche un modo per ricordare il succedersi degli eventi e per capire se sono, ed ero, presente a me stesso.
Erano dunque le cinque e mezza del mattino quando ho aperto il rubinetto dell'acqua: posso dirlo con certezza perché un attimo prima avevo guardato la sveglia posta sulla mensola davanti allo specchio. Quanto posso aver impiegato per la solita doccia? Non più di dieci minuti. Altri cinque minuti per la seduta mattutina sul water, e poi dieci tra rasatura veloce e indossare i vestiti.
Alle sei meno cinque mi trovavo, quindi, di nuovo in cucina per la colazione.
La finestra era già aperta, perché è agosto e fa caldo e di notte non la chiudo, ma siccome la tenda era tirata non ho notato nulla; l'ho visto solo quando mi sono avvicinato per tirare giù la serranda e chiudere i vetri prima di andare al lavoro.
Per colazione mi ero battuto due uova con lo zucchero e dentro ci avevo spezzettato un po' di pane del giorno prima. È stata la prima volta: me lo aveva consigliato qualche giorno fa Gianmario, un mio collega, perché secondo lui a ora di pranzo, quando rientro in ufficio, barcollo come se avessi un calo di zuccheri. Possibile che due uova battute, scivolate nel mio stomaco, abbiano potuto far nascere dal nulla un albero imponente? No, non è possibile, e non è neppure possibile che sia stato il bicchiere di succo di mango che ho bevuto subito dopo. Non ne ho mica piantato il seme, perdiana! E anche se lo avessi fatto, come può un albero mostruosamente grande sollevarsi dal terreno in pochi minuti? Non stiamo nella favola del fagiolo magico, perdiana un'altra volta.
Dunque, dopo aver lasciato nel lavello le stoviglie sporche, mi sono avvicinato alla finestra. 
È stato in quel momento che ho notato un'ombra inusuale, una frescura eccessiva nonostante l'ora. Era lì, e mi tendeva una mano – un ramo, volevo dire – come se mi stesse aspettando. Ho cacciato un urlo e stavo per cadere all'indietro, ma il tavolo in mezzo alla cucina mi ha bloccato. 
Mentre cercavo di capire se stavo sognando, o ero morto, ubriaco o avevo fumato senza accorgermene, ho sentito nel cervello un canto. Era come un petalo sulla mano, se posso azzardare un paragone, o la carezza di una donna che ti guarda dritto negli occhi. Non era solo un suono, ma anche un sapore e un colore. Il sapore era come di latte tiepido e il colore la nebbia chiara del mattino. Questo canto, o sapore, o colore – non saprei distinguere con precisione – si infilò in ogni parte del mio corpo fino a farmi avere un'erezione. 
Ero così eccitato e insieme impaurito da non rendermi conto che non stavo più nella cucina del mio piccolo appartamento buio, ma tra le braccia, o i rami, dell'albero maestoso che aveva infilato il suo canto e le foglie profumate di menta dentro la finestra.

È stato quello il momento in cui ho compreso di avere a che fare con entità extraterrestri: si sono palesati, parlandomi e mostrandosi. Voci, non figure. Colori, sapori, non forme come le intendiamo noi. Odori.
Sentivo, e sento tuttora, un tepore diffuso nel corpo – so infatti di avere ancora un corpo, anche se non lo vedo, e percepisco le mie dita che picchiettano sui tasti del telefono, le palpebre che si alzano e s'abbassano –, un canto delizioso nella testa, e il naso pieno del profumo di funghi e di muschio.
Mi hanno lasciato libero di decidere se andare o no con loro: perché non c'è ritorno, hanno specificato.
Una voce simile al rumore che fa l'acqua che zampilla mi ha detto: «Nessuno ti attende a casa, la sera, quanto torni stanco. Nessuno ti toglie le scarpe, né ti bacia i piedi dolenti. Non trovi dolcezze ad attenderti. Non c'è dolcezza alcuna nei giorni della tua vita su questo pianeta».
Così mi ha detto la voce, e potevo vedere mille occhi fissi sulla mia persona e sentire mille mani che mi carezzavano i piedi. 
Sì, pensavo tra me, mentre percepivo le mie parole uscire dal corpo senza che io lo decidessi e sfiorare quegli innumerevoli occhi; sì, non c'è dolcezza nella mia vita, a parte le uova di stamattina, e il succo di frutta. Ho provato a rendere piacevole il lavoro che mi è capitato, ma non sono bravo. È per questo che barcollo quando torno in ufficio: perché non sono capace. Un rappresentante di scarpe deve saper vendere, e io non so vendere. Non so tenermi una donna. Non so guadagnare. Non ho alberi davanti alla mia finestra.
E lacrime bollenti mi sono uscite allora dagli occhi, mentre il petto sussultava come un motore impazzito; nessuno mi consolava, come se quel dolore che mi premeva le viscere dovesse uscire dal corpo quasi fosse il vomito che esce a fiotti da uno stomaco malato: nessuno può farlo in tua vece.

Ecco, ora quel dolore è sparito. Le foglie mie amiche, e i rami, e il tronco tutto sono io a vederli così, mi hanno detto, perché lo desidero. Forse, più avanti, riuscirò a intuire come è fatto il mezzo galattico che mi porterà lontano da qui. Ma a me non importa. Mentre mi parlavano, ho visto il momento in cui la Terra si è staccata dal Sole, e quando il Sole diventerà così immenso da riempire il cielo. Ho visto i miei nonni zappare, e il cordone rosso di sangue mentre mi spingevo fuori con forza dal ventre di mia madre. Ho visto l'albero su cui mi arrampicavo e i nidi di uccelli tra i rami.
La Vita mi prende con sé o mi lascia, non saprei dire. Sento ancora di esistere, sento che tutto è semplice. Ormai ho deciso di andare. 
Ma se restassi, so che, questa volta, sarei comunque felice.

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