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Re: [MI152] Cloudia

@Ippolita Ciao! Felicissimo che ti sia piaciuto e che tu abbia colto quella leggerezza che volevo trasmettere <3 @
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@bestseller2020 Ciao! Mi dispiace che la trama non ti abbia convinto fino in fondo, ma sono felice che comunque la seconda parte sia stata di tuo gradimento! Grazie <3

@Poeta Zaza 
Grazie carissima! Sei davvero gentilissima <3 @
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@Alba359 Hai colto tutto il coglibile! Che bellissimo commento, grazie <3

@L Ciao! Ho optato per un finale disneyano perché mi sono fissato con il fatto che con il procedimento del gas sotto pressioni enormi si poteva ottenere un solido e quindi un corpo per Cloudia! Mi sono concentrato sul lato Frankenstein della cosa e non tanto sul risvolto di tenerezza che creava! :D Grazie per il passaggio e il commento <3
Kasimiro ha scritto: riesci ad astrarti completamente da qualsiasi  forma di realtà e costruisci una tua realtà dove può succedere qualsiasi cosa
 Questa me la tatuo @Kasimiro davvero grazie infinitamente <3

@Edu ma WTF sta per "W la Tua Fantasia"? :D Grazie per aver lasciato un passaggio <3

@ivalibri Tutto chiaro! Felice che ti abbia fatto riflettere su un po' di cose e che abbia generato un certo tipo di riflessioni! Non saprei cosa chiedere di più a un racconto, quando lascia qualche pensiero di vario genere al lettore! Di nuovo grazie <3

Re: [MI152] Cloudia

@@Monica ma ciao! Felicissimo che ti sia piaciuto tanto! All'inizio ho messo tutto un po' velato per evitare di svelare subito troppo e mi rincuora che il colpo di scena sia arrivato ancor meglio così! Troppo troppo gentile <3

[MI152] Cloudia

traccia di mezzanotte

Il mio commento

Sono disteso sul prato.
Le mani intrecciate dietro la nuca.
Due fili d’erba più lunghi mi solleticano il gomito destro.
Tra poco pioverà e mamma mi ha già chiesto due volte di rientrare in casa.
Ho fatto finta di non sentire.
Mi piacciono i temporali estivi, perché durano pochissimo.
Sembrano quasi un dispetto della natura, un modo per farci scuotere e non farci stare troppo tempo allungati con la pancia al sole.
E poi rimane quel buon profumo di umidità nell’aria.
Ho chiesto a mamma se lo vendano e mi ha detto di no.
Ho pensato che bisogna essere davvero scemi con tutti i profumi che ci sono nei negozi a non vendere il più buono.
Una goccia sul naso.
Passa sempre un po’ di tempo fra la prima e le altre, perché così uno ha il tempo di ripararsi se vuole.
Oltre che profumata, la pioggia è anche gentile.
E ha un buon sapore.
Mi alzo in piedi e tiro fuori la lingua, che raccoglie due gocce gemelle nello stesso momento.
Resto così, per qualche secondo, con le braccia allargate e gli occhi rivolti al cielo.
C’è una piccola nuvola grigia a forma di “L”. Se ne sta sopra la mia testa, in disparte rispetto alle altre, e sembra essere lei la diretta responsabile dei miei capelli bagnaticci.
Sorrido e torno in casa. Devo raccontare a mamma questa stranezza.
«Mamma, c’è una nuvola con la mia iniziale in cielo! Sta piovendo per me!»
«Lorenzo! Ti avevo detto di rientrare prima che cominciasse e adesso sei tutto fradicio. Vai direttamente in doccia e basta con queste sciocchezze!» mi urla lei dal salotto.
Io eseguo, ma prima apro la finestra del bagno e do un altro sguardo alla “mia” nuvola.
Un ululato di vento risuona nella stanza e per un attimo mi sembra che qualcuno stia gridando un «Nooo».
Forse voleva che restassi un po’ di più con lei.
 
«Ci vediamo giovedì prossimo» dice il mio coinquilino, con la faccia pallida.
«Fai le condoglianze ai tuoi. E a tua sorella» gli rispondo io, quindi ci abbracciamo e lo seguo con lo sguardo fino all’ascensore.
Torna al paese per una settimana, perché il nonno è venuto a mancare improvvisamente.
Ha pianto tutta la notte e io per consolarlo ho fatto una carbonara. Il pecorino ha fatto un po’ di grumi e l’uovo si è cotto un po’ troppo, ma lui ha apprezzato lo stesso e quantomeno ha sorriso.
Ora però devo scrostare la pentola, rimasta a mollo nell’acqua e sapone.
Entro in cucina e sospiro. Sarà un’impresa titanica, perché la massa gialla non ha nessuna intenzione di venir via dal teflon.
Fuori piove e seguo ipnotizzato le gocce che si rincorrono sul vetro della finestra, mentre do dei colpi ritmati di spugna alla pentola. Poi la mia attenzione viene colta da una piccola macchiolina scura nell’angolo alto del soffitto e resto per qualche minuto a fissarla. Solo quando capisco di cosa si tratta, mi allarmo.
«Un’infiltrazione» pronunciano le labbra, ma le mani continuano a dare colpi di spugna.
E la macchiolina diventa una striscia nera, che attraversa tutta la parete in diagonale, fino a formare un piccolo cuore stilizzato sulla parete fra le maioliche e la cappa aspiratrice.
Lascio cadere la spugna nella pentola e raggiungo il pianerottolo a grandi falcate, quindi mi lancio nella tromba delle scale.
Quando esco sul terrazzo condominiale la pioggia non mi risparmia e in pochi secondi sono zuppo dalla testa ai piedi.
Guardo in alto e all’inizio non la vedo. C’è un muro grigio e uniforme, venato da qualche lampo sparso.
Poi riesco a distinguerla direttamente sulla mia testa. E dove sennò.
Non ha il contorno della mia iniziale questa volta. La “mia” nuvola ha la forma di una mano, con il palmo e tutte e cinque le dita. Mi sta salutando e il vento la sostiene, scuotendola di qua e di là.
«Ti chiamerò Cloudia! Ti piace? Un miscuglio fra l’inglese “cloud” e…»
Non mi fa nemmeno finire di parlare.
La mano adesso è chiusa e tiene solo il pollice in su.
Ha apprezzato.
«Ti posso offrire qualcosa, Cloudia?» le urlo.
Non so da dove mi sia venuta questa idea.
Né a quali leggi fisiche appellarmi per realizzarla.
Ma Cloudia in una folata di vento scende giù e mi precede lungo le scale.
Le apro la porta d’ingresso dell’appartamento e dico «Dopo di te, cara», quindi la faccio accomodare su una delle sedie del tavolo in cucina. Si bagnerà un poco, ma poi mi inventerò una scusa con il padrone di casa.
«Caffè?» chiedo.
Lei alza il pollice e io metto su la moka, incurante della parete infiltrata.
Mentre attendiamo il fischio, faccio la domanda che mi sta tormentando più di ogni altra cosa al momento.
«Sei tu, vero? Quella di quel giorno? Come hai fatto a trovarmi?»
Lei rialza il pollice e si fa rossa di vergogna, come se avesse un sole che tramonta dietro di sé. Quindi si prolunga con un’estroflessione biancastra e spumosa verso di me e viene percorsa da un piccolissimo fulmine, che mi illumina il petto come il flash di una fotografia.
«Le due gocce» dico io.
Quelle che ho mandato giù quel giorno di tanto tempo fa. Mi sono rimaste nel cuore e mi hanno legato a lei per sempre.
La cucina si riempie intanto di odore di caffè e afferro la moka, per versarne il contenuto in due tazzine.
Ma dopo averne riempita una, prendo il liquido restante e lo verso direttamente su Cloudia, che prende la forma di un cuore color caffelatte.
«Vuoi restare a dormire qui? Sono solo stanotte» le dico all’improvviso.
Non so perché, ma non me ne pento.
Lei mi regala di nuovo lo spettacolo mozzafiato di un mini tramonto di imbarazzo e alza il pollice.
 
Io e Cloudia stiamo insieme ormai da dieci anni.
Lo scorso dicembre siamo finiti sulla copertina del Time come “man of the year” e “cloud of the year”, perché il nostro operato nel deserto del Sahara ha salvato diciassette villaggi dalla carestia. Luoghi in cui pioveva una volta all’anno negli anni buoni e zero volte all’anno negli anni cattivi, hanno beneficiato delle piogge di mia moglie.
Non dimenticherò mai i volti felici di quella gente. Quando siamo tornati a trovarli ci hanno offerto metà del loro primo raccolto. Al nostro gentile rifiuto si sono opposti con due grandi ceste di pomodori. E abbiamo dovuto accettarle per forza.
Ora Cloudia li ha sciacquati e sta aspettando me per affettarli.
Entro in cucina e la trovo a piovere a dirotto.
«Perché piangi, amore mio?» le chiedo.
Lei per un attimo prende la forma di una mamma con un bambino in grembo, quindi torna al suo naturale contorno, con tanto di grandinata singhiozzante sul parquet.
Io non riesco a guardarla e tengo la fronte bassa.
Anche io vorrei dei figli da lei. E un modo ci sarebbe anche. Ma ho troppa paura di perderla durante l’operazione.
Allora lei prolunga un’estroflessione gassosa sotto il mio mento e mi costringe a guardarla. Ha capito che c’è qualcosa che non va.
«In Cina c’è questo visionario… Gli ho scritto una notte, di getto. Qualche mese fa. E mi ha detto che è assolutamente in grado di aiutarci. Ma ho sbagliato, amore mio. Se non andasse bene, non potrei mai perdonarmelo.»
Lei smette all’istante di grandinare e forma due mani giunte in preghiera. Ha già deciso. Come faccio a dirle di no?
 
«Dottore, lei è sicuro?» chiedo e l’interprete traduce per me.
«Sì» mi dice dopo qualche secondo. Quindi aggiunge «Le ho già spiegato il funzionamento diverse volte. La pressione elevata trasformerà sua moglie in una donna solida a tutti gli effetti. Non c’è alcuna ragione perché lei si preoccupi. Ora esca fuori e attenda di abbracciarla. Sarà bellissimo, vedrà.»
Il dottor Xiaoyu mi sorride e mi indica la sala d’aspetto. Lancio un ultimo sguardo a mia moglie, che tiene il pollice alzato per farmi coraggio.
Prendo posto su un’elegante sedia in legno.
Passa un’ora.
Due.
Infine la porta alla mia destra si apre. Ne viene fuori una donna bellissima, con la pelle diafana.
«Lorenzo»
Ha parlato.
Mia moglie ha parlato e ha le guance rigate di lacrime di commozione.
«Cloudia»
Non riesco a dire nient’altro. La bacio sulle labbra, sugli occhi. 
Ovunque. 
La sua pelle profuma di umidità. 
Il profumo più buono del mondo.
 

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