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[Lab6] Lo studio azzurro

Roberto aveva un problema. Se ne stava nel suo studio, sulla sua poltrona, i piedi incrociati sulla scrivania.
Fissava una macchia di umidità sulla parete, senza riuscire a capire che forma avesse.
Il quotidiano, una rivista di auto d’epoca, un romanzo giallo erano sulla scrivania. Buttati senza interesse.
Fuori tamburellava una pioggia lieve. Fatta apposta per disturbare.
Roberto si annoiava. 
Stava fissando la parete da almeno mezz’ora, secondo l’orologio, ed era la cosa più eccitante delle ultime tre settimane. 
Da qualche parte, nel mare di fogli sulla scrivania, doveva esserci il fascicolo del suo ultimo caso. Roberto lo prese, tanto per distrarsi dal mistero della macchia.
Una dozzina di foto, qualche appunto, due paginette di rapporto scritto in maniera formale. E la ricevuta di pagamento.
Pochi fogli, bastati a distruggere quindici anni di felice matrimonio. Secondo la signora Albini, almeno.
Per Roberto, mentre scorreva le foto, ognuna con la signora Albini e un ragazzo diverso, quel matrimonio proprio non si poteva dire felice.
Sbuffò. Ributtò il fascicolo sulla pila, tornò a fissare la macchia sul muro.
Si era quasi deciso per un rettangolo storto, quando qualcuno bussò alla porta
-È il postino!- urlò, senza nemmeno cercare la voglia di alzarsi -o il barista sotto casa, a scelta!- 
Chiunque fosse alla porta dovette esitare, ma poi bussò di nuovo. Roberto roteò gli occhi.
Facendosi forza col pensiero della parcella, andò ad aprire.
Una giovane ragazza se ne stava sul pianerottolo, con ancora la mano alzata pronta per bussare. Un’onda di dolce profumo alle rose investì le narici di Roberto
-Rettifico… la postina- disse Roberto, sbuffando -o l’amica di scuola; se ce l’ha, la segretaria… o la prima che vede, faccia lei-
-Mi scusi… di che sta parlando?- domandò la ragazza.
Roberto si concesse di darle un’occhiata. Forse si sarebbe rivelata più interessante della macchia sul muro.
Alta, forse un paio di centimetri più di lui pure senza i tacchi che portava. Non che ci volesse tanto.
Vestito elegante, un tailleur giacca pantalone d’un colore strano tra blu e nero.
Volto giovane, pulito, poco trucco. Bocca sottile, occhi verdi, capelli rossi.
Classificabile senz’altro come una bella ragazza. Era in casi come quello che Roberto non capiva il suo lavoro. Che passasse per la testa di certa gente era un mistero, uno di quelli che lui evitava volentieri
-Dell’amante del suo ragazzo- sbuffò lui -se è qua, è perché sospetta le corna; bene, può scegliere una colpevole tra le categorie di prima. Vada a casa, faccia una scenata e buona giornata a tutti-
Stava per chiudere la porta, quando si accorse che la ragazza era diventa color porpora
-Punto primo- disse, levando un dito a mo’ coltello -sono single, e anche avessi un fidanzato non le permetterei di parlarne così! Punto secondo, non sono qua per, come dice lei, delle “corna”; e, punto terzo, l’ispettore Monbianchi l’aveva definita un professionista, ma si è impegnato a smentirlo! Buona giornata a lei!-
La ragazza fece per andarsene, al che Roberto, che di colpo si era dimenticato come si parlasse, finalmente si ricordò come muovere la bocca 
-Ferma ferma ferma! Va bene, ho fatto una figuraccia, è un periodaccio per il mio lavoro- la ragazza si voltò, decisa a folgorarlo con lo sguardo -ora, che ne dice se entriamo, mi spiega cosa la porta qui, e capiamo come la posso aiutare?- 
Marciando a grandi passi, la ragazza entrò nello studio, dove rimase in piedi, fermamente decisa a incenerirlo a forza di occhiatacce 
-Prego, si accomodi…- disse Roberto, rendendosi conto di quante cartacce e faldoni occupassero le due poltrone 
-Credo possiamo iniziare a presentarci- disse la ragazza, la faccia poco meno porpora di rabbia -sono Stefania Rossini, figlia dell’avvocato Armando Rossini-
-Molto piacere- disse Roberto, stringendo la mano; la ragazza aveva una stretta niente male, e lui era era molto, troppo, fuori allenamento -temo non abbia mai avuto il piacere di incontrare suo padre-
-Purtroppo non lo avrà più- la voce della ragazza si incrinò, d’improvviso la spavalderia la abbandonò -è morto una settimana fa-
-Condoglianze- lui cercò di apparire contrito e dispiaciuto, ma l’interesse per la questione stava rapidamente scemando 
-Verrei subito al punto, se non le dispiace- proseguì Stefania, asciugandosi gli angoli degli occhi -la polizia ha intenzione di classificare il tutto come un suicidio, ma gradirei se desse un secondo parere; potrà suonarle… scontato, ma mio padre non era tipo da uccidersi!- 
Roberto sospirò. Quel caso si presentava di certo più interessante della solita solfa di tradimenti e corna; ma pure bello tragico, con la necessità di scavare Dio solo sapeva quanto a fondo
-La contatterò di sicuro, signorina Rossini, se potrò prendere in carico questo caso- la ragazza abbozzò un sorriso, annuì ed uscì dopo avergli fornito il numero di cellulare. 
Sbuffando, Roberto tornò a sedersi. Il profumo della ragazza era rimasto ad aleggiare nella stanza, ma era una piacevole variazione all’odore di caffè e inchiostro. Soppesando le alternative, macchia sul muro e telefono, alla fine una punta di curiosità si accese dentro di lui.
Prima che se ne rendesse conto, Roberto aveva il cellulare in mano, tamburellando irritato sulla scrivania 
-Pronto?- rispose la voce dall’altra parte dell’apparecchio -Roberto?-
-Sì sono io, lascia stare i saluti Alfredo- il verso esasperato dell’ispettore Monbianchi fu l’unica risposta -mi hai mandato qua una ragazzina, Stefania Rossini, dice che le hanno ammazzato il padre-
-Si, si sì, ho capito- rispose l’altro -io qua ho le mani legate, ma la faccenda mi puzza. Hai presente i delitti della stanza chiusa, quelli che ti piacevano tanto?-
-Si…- Roberto digrignò i denti. L’interesse gli si stava riaccendendo nel corpo
-Ecco, questo ti piacerà, e tanto: studio senza finestre, una porta sola, chiusa dall’interno- ingranaggi fermi da tempo, nel cervello di Roberto, iniziarono a girare -dentro solo il corpo del poveraccio, tre scatole di sonniferi e nient’altro-
-E perché non ti convince?- la voce di Roberto era molto più interessata di quanto volesse
-Vai allo studio e lo capirai; qua vogliono chiudere in fretta, troppi pochi fondi per indagare su qualcosa di così scontato, ma nessuno mi vieta di farti andare a dare un’occhiata-
Gli ingranaggi nella mente di Roberto mulinavano, girando e formando immagini, ipotesi, ricordi, supposizioni, un miscuglio di pensieri connessi tra loro da fili sottili.

Il giorno dopo, Roberto percorreva i gradini del palazzo dov’era lo studio Rossini. La scala era stretta, Stefania lo precedeva, e lui si sentiva smaniare.
Aveva dormito poco, rigirandosi nel letto, si era gettato nella doccia e per poco non aveva trangugiato il caffè dalla moka stessa.
Si era presentato all’appuntamento con la ragazza con due ore di anticipo. Non era stanco, non era infreddolito. Si sentiva come un bambino pronto per la gita.
Saltellava e faticava a tenere le mani ferme. Anche la ragazza lo aveva guardato sorpresa, incapace forse di dare un senso ai suoi occhi luminosi ed al sorriso tirato.
Roberto immaginò di essere sembrato un qualche tipo di folle.
Dopo tre anni di casi noiosi, ripetitivi, scontati, finalmente un qualcosa di interessante, stimolante. Eccitante.
La sua mente stava registrando tutto, una quantità di dati che non ricordava di poter analizzare.
Gli sembrava che, per lungo tempo, avesse avuto i paraocchi, e ora potesse vedere liberamente 
-Eccoci qui- disse Stefania, entrando nello studio. Roberto si fiondò dentro, superando di scatto la ragazza; gli occhi guizzavano, annusava, fremeva dal bisogno di toccare e spostare quello che vedeva davanti.
Dalla porta si entrava in un piccolo salottino, due divani in pelle erano sulle pareti opposte. C’erano quattro porte, una subito a destra dell’ingresso,la targhetta lo classificava come bagno.
Oltre i divani c’era un disimpegno, con tre porte, ognuna con una targhetta ad indicare il proprietario dello studio 
-L’altro associato?- chiese, indicando il nome, “Ettore Fierrini”. Stefania annuì 
-Se vuole può entrare nello studio- 
-Ci mancherebbe- Roberto ghignò, spalancò la porta del luogo del delitto ed entrò.
La serratura scattò, poi un altro suono più flebile, ovattato.
Roberto guardò la stanza. Pareti d’un azzurro chiaro, nessuna finestra, un caos di carte e faldoni che spaventò perfino lui.
Un’imponente libreria abbracciava due pareti, proseguendo dietro la scrivania. Carte, documenti, post-it colorati spuntavano da tomi e volumi. 
Sulla sinistra un terzetto di mensole raccoglieva oggetti strani, che in un primo momento Roberto non riuscì a definire. Una gondola viola e verde; una sfera con dentro la torre di Pisa; una statuina di Totò, con la testa snodabile
-Souvenir dai suoi viaggi- disse Stefania, tossicchiando imbarazzata
Roberto annuì, non trovando come dire che li riteneva orrendi, ma senza offendere la ragazza. 
Si diresse alla scrivania; legno scuro, massiccio, con dietro una grande poltrona foderata in rosso. Il caos la ricopriva del tutto. Fogli, carte, penne, matite, un romanzo horror. E tre pacchi di sonniferi dai nomi strani, lunghi e complessi.
Roberto aggrottò la fronte. Una parte del suo cervello si illuminò di colpo.
Un ben noto prurito si risvegliò nella sua testa, dietro gli occhi.
Guardò meglio le scatole. Ben disposte sulla scrivania, dritte davanti alla poltrona. Perfino i bordi erano perfettamente allineati
-Suo padre era disordinato…- commentò Roberto. Ignorò l’occhiataccia di Stefania.
Gli sembrava di pensare per la prima volta. Poteva sentire il suo cervello sbadigliare, svegliarsi dal letargo
-Queste sono in ordine, precise- Roberto si girò verso Stefania, la ragazza trasalì -suo padre prendeva sonniferi regolarmente?-
-Si- fece Stefania -soffriva di insonnia, ci sono le ricette dei medici; ah, e anche medicine contro il mal di testa-
-Mmm- Roberto aggiunse quell’informazione, ricontrollando i farmaci sulla scrivania. Uno era prescritto proprio per le emicranie. Sbuffò, come al solito i lunghi nomi dei farmaci e dei suoi componenti non gli dicevano nulla.
Si guardò attorno di nuovo. Le mensole attirarono la sua attenzione. Un vuoto, uno spazio strano tra una replica del Colosseo e quella di un cannolo
-Suo padre ha viaggiato, di recente?- 
-No, nessun viaggio- Stefania parve rifletterci -ah, Ettore era tornato dalle Canarie, qualche settimana fa; gli aveva portato qualcosa-
-E adesso dov’è?- 
-Cosa?- 
-Il regalo; l’orrido… il souvenir!- Roberto scattò, uscendo a grandi passi dallo studio dell’assassinato. Quasi sfondò la porta del dottor Ettore Ferrini, mettendosi a rovistare all’interno
-Ma che fa? Cosa cerca?- Stefania si affacciò alla porta, Roberto la folgorò. Un’idea, una rivelazione, per poco si convinse di avere una lampadina accesa sulla testa
-La porta, provi a chiuderla dall’interno- Roberto spinse Stefania dentro lo studio del padre.
La ragazza protestó, ma acconsentì. La porta scattò, due volte. Roberto sorrise trionfante. La ragazza tentò di aprire la porta, senza riuscirci 
-È incastrata!- Stefania fece forza, lottando contro la maniglia. Roberto aprì la porta
-Hanno modificato la serratura- entrò di nuovo nella stanza, annusando come un segugio 
-Che cosa…- Stefania balbettò.
-Profumo, non si sentiva- Roberto puntò un dito contro la ragazza -lo ha addosso, una roba ai fiori-
-Si, mio padre odiava gli odori forti- la ragazza appariva confusa
-L’impianto di aerazione si attiva dopo qualche minuto, non subito quando apri la porta- altri dettagli, altri fili che adesso formavano un disegno chiaro.
Uscì di nuovo, corse a una vetrinetta nello studio di Ferrini. Afferrò il telefono
-Monbianchi! Muoviti! Portami la scientifica!- non diede all’altro il tempo di rispondere. Agganciò, indicando a Stefania una serie di bicchieri -quelli si usano?- 
-Si, papà non li aveva nello studio- Stefania faceva palesemente difficoltà a seguire i suoi ragionamenti
-Quindi i farmaci li ha presi con questi-
Rimase a girare per la stanza. Stefania provó a fare qualche domanda, ma lui si limitò a sbuffare.
Monbianchi arrivò, con un ragazzo della scientifica chiaramente trascinato lì a forza. Roberto non perse tempo, mise il tizio al lavoro, facendogli cercare sostanze sospette sui bicchieri. Altre domande ebbero solo grugniti come risposta 
-Lasciate stare- borbottò Monbianchi -quando fa così è vicino alla soluzione del rebus-
-Allora?- Roberto tamburellò sugli avambracci, fissando in tralice il ragazzo della scientifica. Quello sollevò un bicchiere 
-In effetti, qui ci sono delle tracce sospette…- iniziò a buttar giù una serie di paroloni scientifici
-Si si, taglia corto; c’è veleno o no?- 
-Non proprio, però è una sostanza che può reagire con facilità ed essere tossica-
-Ecco qua- Roberto ghignò, sentendosi due centimetri buoni da terra -arma del delitto trovata: caso chiuso!-
Stefania e il ragazzo lo fissarono, straniti; Monbianchi levò gli occhi al cielo 
-Su, fa lo spettacolino alla Sherlock, finiamola prima che s’accorgomo che non sto in ufficio-
-La porta è modificata- Roberto quasi corse fuori, indicando la serratura -così una volta all’interno è impossibile uscire; e l’impianto di aerazione è stato impostato per accendersi in ritardo!-
Le facce confuse dei tre lo fissavano. Roberto morse un’imprecazione tra i denti
-La signorina Rossini usa molto profumo, piacevole certo ma lo si può sentire fino a qualche centimetro da lei- la ragazza arrossì un poco, balbettò qualcosa che si perse nel fiume della spiegazione -il padre odia gli odori forti, quindi l’impianto dev’essere impostato per eliminarli appena lui apre la porta, corretto?- Stefania annuì -e invece no! Si attiva dopo cinque minuti buoni, un tempo lunghissimo per uno a cui questi odori fanno venire l’emicrania!-
-Ottimo, come gli ha fatto venire l’emicrania?- Monbianchi sbuffò, era chiaro che la scena gli fosse ben nota 
-Con questo!- Roberto estrasse dalla scrivania uno di quei deodoranti per ambienti, di quelli che spruzzano a comando -nascosto dentro uno di quei souvenir è programmato per appestare lo studio!-
Stefania e il tecnico della scientifica continuavano a fissarlo, dai loro volti Roberto comprese che lo ritenevano un folle
-Bene, serratura modificata, condizionatore modificato, spruzzino nascosto… i sonniferi…- Monbianchi gli fece cenno di andare avanti 
-Uno che li prende da una vita non sbaglia le dosi; e uno così disordinato non allinea le scatole con precisione svizzera! Il dottor Rossini ha chiesto un bicchiere al collega, il dottor Ferrini, questo bicchiere!- Roberto indicò l’arma del delitto -ha bevuto il calmante e l’altra sostanza strana, e così è morto-
-Poi Ferrini entra, sistema le scatole in bella vista, aspetta un poco e chiama i soccorsi- Monbianchi si grattò gli occhi -va bene, torno in centrale e lo mando a chiamare, gli facciamo qualche domanda e vediamo che ne esce…-
L’ispettore si girò, Stefania si asciugò le lacrime. Roberto sorrideva euforico
-Scusate, ma il movente?- chiese il ragazzo della scientifica. Monbianchi lo folgorò, come se avesse appena innescato una bomba 
-Il movente?- Roberto sentì le vene del collo pulsare -ma chi se ne frega del movente? Io t’ho detto per filo e per segno com’è andata, e te me chiedi il movente?- il povero scienziato cercò di ritrarsi, facendosi piccolo piccolo sotto il fiume di invettive -per lo studio, per i soldi, perché a Rossini piacevano quei soprammobili orrendi, perché non aveva altro da fare! Ma a me, del movente dell’assassino, ma che me frega?!-
Roberto respirò a fondo, cercando di calmarsi. Vedeva appannato, fissando il ragazzo pallido in volto 
-Bene, evitiamo un secondo delitto- Monbianchi mise una mano sulla spalla del ragazzo -riporto questo qua al commissariato-

Qualche giorno dopo, Roberto leggeva sul giornale di come Rossini avesse confessato. Era spiegato per filo e per segno il perché, mentre del metodo non si diceva nulla. Come al solito.
Roberto gettò il quotidiano sulla scrivania, sbuffò e tornò alla sua macchia. Sperò solo di non dover aspettare altri tre anni, prima di un altro caso stimolante.

[SLab6] Lo Studio Azzurro

Roberto è un investigatore di mezza età, con un brillante passato in polizia, ma adesso passa le sue giornate a risolvere noiosi casi di infedeltà o simili.
Inizia a odiare il suo lavoro, lo trova ripetitivo e ormai privo di stimoli.
La signorina Rossini lo contatta per risolvere quello che lei crede sia l’omicidio del padre; la polizia ha archiviato il tutto come un suicidio, ma lei non ne è convinta. Secondo la versione ufficiale, l’avvocato si è ucciso assumendo una dose letale di sonniferi.
Roberto raggiunge la scena del crimine: lo studio del notaio, chiuso dall’interno e privo di finestre o altre aperture. L’unico ad avere le chiavi è il fidato assistente della vittima. Entrato, Roberto nota come la porta emetta un secondo suono, e come l’impianto di aerazione sia molto potente. I sonniferi incriminati sono sulla scrivania, in bella mostra. Il resto dello studio è alquanto in disordine, ma sembra che manchi un soprammobile da uno scaffale.
Un bicchiere fuori posto sulla scrivania dell’assistente, e la sua reticenza ad usarlo, confermano a Roberto chi sia l’assassino. L’eccitazione per il rebus passa in fretta, scacciata dall’ennesima soluzione.
Quando la signorina Rossini chiede cosa abbia spinto l’amico del padre a ucciderlo, Roberto le dice di farselo spiegare dalla polizia; a lui interessa il rompicapo, il metodo, le motivazioni le lascia volentieri a psicologi e simili.

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