La trama è molto intrigante, il sogno folle della madre/figlia e la disperazione di entrambe, il continuo richiamo all'inferno ed al peccato originale, il tutto mischiato in modo da "forzare" il lettore a proseguire per comprendere tutto ciò che è sottinteso fino alla rivelazione finale
Concordo con chi fa notare che ricorri molto al "detto", limitando abbastanza il "mostrato"; alcune frasi non mi convincono del tutto, forse perché spezzate da troppo dialogo
Alba359 ha scritto: Ferma sulla strada, un sentiero sconnesso e impervio, la madre è inginocchiata nel fango, si strappa i capelli, il viso è una maschera dai lineamenti trasformati. Piange e si tiene il petto, la pioggia leggera le batte le piante dei piedi nudi.Questa frase mostra molto bene la madre, non indulge in descrizioni inutili e fa capire benissimo cosa prova e come devo figurarmi il personaggio
Alba359 ha scritto: L'aria è satura di zolfo e di altri miasmi pestilenziali. A fiotti tumultuosi si spargono nell’aria borbottii sommessi, crescono e rotolano tra urla e bestemmie. Rumori assordanti, d’ipogee tempeste, smorzano i lamenti dei dannati. Rovinosi boati franano verso l’abisso infuocato.Questa descrizione, invece, mi sembra troppo vaga e "casuale", messa lì a descrivere genericamente l'inferno dantesco; complice anche il linguaggio molto aulico, "ipogee tempeste", mi pare che spezzi troppo il tono del racconto: fino a questo momento si è tenuto molto piano e quasi colloquiale, semplice, adesso viene preso per i capelli e portato in alto, poi alla frase successiva ributtato giù dov'era prima
Il racconto mi è piaciuto molto, complimenti, e ci tengo a sottolineare che la "critica" qui sopra è dovuta solo all'argomento del contest