La ricerca ha trovato 1 risultato

Torna a “Ambientare le storie in Italia o all'estero?*”

Ambientare le storie in Italia o all'estero?*

@Swetty 9 gennaio 2012
Apro questa discussione sulla scia di un'altra, come spesso succede.
Io preferisco sempre ambientare le mie storie in Italia, dove mi muovo meglio e riesco a descrivere con più precisione dettagli come le strade, il cibo, l'atteggiamento stesso dei personaggi. Persino le storie di fantascienza ambientate su mondi lontani sono in realtà ambientate in Italia.
Leggo invece di una difficoltà ad ambientare altre storie in Italia e sarei curiosa di sapere che tipo di storie è difficile ambientarvi. Ovviamente non parlo di storie con un'ambientazione vincolata dalla storia o in cui gioca il gusto dell'autore o l'esoticità, ma di quelle che viene naturale ambientare altrove e di solito negli USA.
È davvero così difficile usare il bel paese come ambientazione?


Spesso le agenzie e le stesse CE consigliano agli autori di ambientare le storie in Italia. Innanzitutto perché per usare un’ambientazione bisogna conoscerla… e un difetto comune tra gli aspiranti scrittori (non tutti, ovvio) è la scarsa propensione a documentarsi. Si rischia l’effetto Angeli e Demoni (NotadiMercy: romanzo di Dan Brown ambientato in un’Italia che ha poco di italiano), dimenticando come Stephen King sia riuscito a rendere interessante (persino iconico!) un posto apparentemente privo di attrattive come il Maine.
Senza contare che è molto più semplice scrivere guardando al mondo che ci circonda. Non solo del paesaggio che vediamo dalla finestra, ma degli usi, delle abitudini, dei fenomeni socio-culturali che ci sono familiari.

Un’ambientazione nota (o comunque nostrana) sembra poi essere gradita a molti lettori italiani – che si rivelano esterofili solo riguardo gli autori stranieri. Se si vuole ambientare il proprio romanzo all’estero, insomma, oltre a un’accurata documentazione, rischia di essere necessario uno pseudonimo esotico. :asd:

Purtroppo (o forse no) siamo subissati da “prodotti culturali” stranieri (statunitensi, ma non solo) e una sorta di imitazione, ancorché involontaria, è quasi automatica, perché questi prodotti hanno formato il nostro immaginario e la nostra cultura letteraria e non.
E anche lasciando da parte il fascino che hanno" Jack e Kate" rispetto a "Giacomo e Caterina", bisogna tener conto che spesso trama e ambientazione sono strettamente legate. Ci sono storie che non possono essere ambientate in luoghi diversi da quelli in cui sono nate, a volte è la trama a imporre l’ambientazione. Non si può non ambientare il furto della Gioconda al Louvre, per esempio, o la lotta al proibizionismo negli Stati Uniti.
Certo, scegliendo una "location" estera le difficoltà aumentano, ma non è così anche per il romanzo storico? Si tratta di un lavoro di documentazione.
E la narrativa è fiction: richiede realismo, non realtà. Allo scrittore dev'essere concesso di ignorare una parte della realtà per andare incontro alla storia.

Senza contare che leggere (e scrivere) è anche bisogno di “evadere”, e può essere frustrante limitarsi al nostro mondo, alla nostra cultura, alla nostra quotidianità trita e ritrita.
Può succedere così di sentire un "richiamo", un impulso verso un determinato luogo con la sua cultura e le sue tradizioni, con i suoi colori e sapori, e da lì immaginare una storia. È "Fernweh”, parola tedesca traducibile come "nostalgia per l'altrove". Forse non è vero, allora, che bisogna scrivere solo di ciò che si conosce, ma bisogna conoscere e amare ciò di cui si scrive.

*Topic recuperato da due discussioni sul WD

Torna a “Ambientare le storie in Italia o all'estero?*”