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Re: [MI148] Strano

@Kasimiro grazie per l’apprezzamento. Sui 70 hai ragione, ma non sappiamo cos’è successo al protagonista negli anni (mi aggrappo a quello!)
A rileggerci!

Re: [MI148] Strano

@bestseller2020  grazie del tuo commento! Interessante. Ovviamente ognuno ha i propri gusti  non li si discute. 
Non mi è chiarissimo come possa essere contemporaneamente sui generis e la solita trama, ma non è importante: la tua opinione è chiara.
Grazie di nuovo e a rileggerti!

Re: [MI148] Strano

@Macleobond
Grazie davvero per il tuo giudizio.
Riguardo allo stile sono ovviamente gusti personali (e su quelli non si discute), ma qui mi sono divertito apposta perché l'io narrante non è un terzo neutrale: è lo strano, che le cose le vede alla sua maniera, ovvero dettagliate, esagerate. 
Accetto e rifletto su ogni punto di debolezza segnalatomi (sono qui per quello), ma sono abbastanza convinto che se avessi utilizzato una prosa secca e asciutta il racconto non avrebbe funzionato. 

Grazie ancora e a rileggerci!

Re: [MI148] Strano

@Loscrittoreincolore 
Non mi vedi ma sono arrossito! Grazie per il commento, davvero: si scrive per venire letti e se chi legge è soddisfatto, anche chi scrive lo è, no?
A rileggerci!

Re: [MI148] Strano

@Garrula
 Grazie
Garrula ha scritto: Dalla pioggia?
Dalla pioggia  :facepalm: , è dalla pioggia!
Garrula ha scritto: Questa sospensione mi sembra un po’ troppo retorica.
Capisco il punto, l'intenzione era di sospendere il pensiero solo perché il bambino è trascinato via e non fa in tempo a completarlo. Infatti poi c'è una rapida successione di dettagli telegrafici che lo portano fin sulla panca in chiesa.
Garrula ha scritto: Nel racconto si riconoscono molto controllo e capacità, cercherei solo di sfrondarlo leggermente: troppi fuochi d’artificio rischiano di distogliere l’attenzione dai dettagli preziosi del testo. 
Sì, questo punto mi è chiaro, adesso. Posso solo spiegare che volevo svolgere tutta la narrazione con il sovraccarico di dettagli dalla testa di Strano, che il contesto era parte del suo modo di vedere. Evidentemente per alcuni ho esagerato (e grazie di avermelo detto), ma di solito scrivo più asciutto 
Garrula ha scritto: Nel complesso, ottima prova, alla prossima! :D 
grazie, alla prossima!

Re: [MI148] Strano

@Mina, grazie davvero, anche perché hai tradotto al meglio le mie intenzioni sul rapporto madre/figlio. 
8.000 caratteri sono pochi per condensare una storia di vita e il fatto che possa aver funzionato mi rende serenamente euforico.
Grazie e a rileggerci!

Re: [MI148] Strano

@Alberto Tosciri 
Che dire se non grazie? Mi lusinga che sia proprio chi ha dato la traccia a scrivere un commento del genere. A volte capita che si creino delle affinità di pensiero, no?
A rileggerci.

PS non ho mai letto Il segreto di Luca e quindi l'ho appena ordinato!

Re: [MI148] Strano

@Brutus grazie,  migliorerò!
Brutus ha scritto: non sono riuscito a capire prima della fine se Anna era la moglie o una vecchia amica/fiamma
in effetti non l'ho detto fino alle ultime righe, sob!
Brutus ha scritto: ogni tanto ti innamori della tua scrittura
nego fermamente, è lei che si è innamorata di me!

Grazie ancora

Re: [MI148] Strano

Plata ha scritto: Ciao, @L'illusoillusore  Non so se sia corretto, o trattasi di una tua licenza, però a me non piace come hai gestito la parte finale della frase, mi riferisco al discorso diretto, la domanda, all'interno dell'indiretto anche qui, stesso discorso. Anna vorrebbe vederti sembra un inciso tra le due virgole e la frase, anche se ovviamente è comprensibile, sembra senza senso credo manchi una virgola dopo rugginosa, e credo che Voleva vada minuscolo perché non è l'apertura del discorso diretto ma il seguito di Tua nonna.

Ho trovato bello il tuo racconto, anche se a volte, parere mio, tendi un po' ad appesantire la scrittura che andrebbe snellita dai troppi aggettivi, dai gerundi e poco altro. Ho letto che era tua intenzione che hai lasciato credere il lettore che Anna fosse morta, l'ho pensato anch'io all'inizio, per ottenere una sorta di colpo di scena. Secondo me il racconto è già molto valido di suo e potresti ovviare a all'ambiguità che crea rendendo tutto più chiaro sin da subito.
Ti saluto e a rileggerti.
@Plata Contento che questo mio primo MI ti sia sembrato bello (a parte che devo meglio gestire i discorsi diretti: ho postato quasi allo scadere e la fretta mi ha fatto mancare nell'editing)
Grazie !

Re: [MI148] Strano

Almissima ha scritto: Racconto gradevolissimo, scritto con maestria. Le descrizioni sono più che azzeccate e le atmosfere rese a meraviglia.
L'unico piccolo appunto che ti faccio, a mio personalissimo gusto, alle volte si confonde lo Strano vecchio con lo Strano giovane e non si capisce al primo colpo chi fa cosa.
È vero che il racconto sembra pervaso da una certa atmosfera onirica di vecchio immerso nei ricordi, però io ho faticato a capire se Anna bambina la figlia del medico si rivolgesse al vecchio ( e come faceva a sapere che lo chiamavano Strano) oppure se era solo un ricordo a margine del gradino della rosa oppure, come poi effettivamente è, si tratta di un flashback della vita di questo vecchio.
In ogni caso complimenti, bello davvero!
@Almissima grazie per i complimenti e soprattutto per i suggerimenti! Son qui per imparare e ogni cosa mi serve!

Re: [MI148] Strano

Edu ha scritto: Allora, confermo le impressioni notturne. Mi gioco la spada laser che non sei uno che ha iniziato a cimentarsi adesso @L'illusoillusore , perché, come ti è stato già detto, la tua è una scrittura matura, e si vede che hai una grande padronanza. Confermo anche l'impressione che se sfrondassi giusto un pochino, con qualche giggioneggiamento in meno, il testo, che già di per sè è magnifico, potrebbe migliorare ulteriormente. 
Confesso che anche a me non è ben chiara la dinamica: perché lui va in riformatorio? Si capisce che non è stato lui ad aggredire Anna, altrimenti non sarebbe diventata sua moglie. Ma a un certo punto dai davvero intendere che sia morta, e che lui un po' strano, in effetti, sia... beh, c'è differenza tra lasciar intuire e depistare, quel punto lo chiarirei.
Per il resto un esordio davvero notevole (ma ripeto, magari è un esordio qui, ma mi sono giocato la spada laser che non sia un esordio in assoluto), con descrizioni da professionista (non mi stupirei se venisse fuori che qualche pubblicazione l'hai fatta).
A rileggerti con molto interesse 
@Edu grazie per essere tornato, come promesso. Prendo carico dei suggerimenti e, la prox volta, niente giggionamenti (forse  :sorrisoidiota: )

Re: [MI148] Strano

@ElmoInverso
Grazie per il tuo commento e lusingato che il racconto ti sia piaciuto.
ElmoInverso ha scritto: Passettini infantili ---> mi sembra un eccesso, meglio passettini da solo o passetti infantili

Nocchie ----> penultimo blocco, una piccolezza davvero (non penso tu intendessi le nocciole)
Che dire? Hai ragione su entrambe le cose il passettini infantili mi è proprio sfuggito, e ancor peggio nocchie al posto di nocche! Che vergogna!

Re: [MI148] Strano

@Kora  Innanzitutto grazie per aver messo un commento, sono contento che il racconto nel complesso ti sia piaciuto.
Kore ha scritto: L'unica cosa che non mi è chiara a livello del contenuto è: Lui viene incriminato della violenza subita da Anna?
Perché all'inizio credevo che fosse stata uccisa e lui fosse stato incriminato dell'omicidio, ma poi lui fa sapere che Anna ha segnalato più volte che non era stato lui. Quindi è viva.
Sì, è viva e ammetto di aver giocato un po’ a ingannare il lettore. In una prima versione quando lui la chiamava avevo messo esplicitamente che era svenuta, ma non mi piaceva perché è troppo esplicito ho preferito tralasciare lasciando al finale tutte le spiegazioni. Sapevo che poteva generare confusione ma ho pensato che valesse la pena per avere un piccolo piccolissimo colpo di scena.
Kore ha scritto: A livello formale ho solo due annotazioni da fare: la prima è che penso che visto che si sta parlando di case forse sarebbe meglio iniziare il periodo con "queste", al posto di "loro".
Sì, anche qui hai ragione, dal punto di vista formale sarebbe stato meglio queste al posto di loro e all’inizio era scritto così. Però nelle prime tre righe ho cercato di attivare subito una sorta di empatia con i luoghi e i dettagli ed ho pensato che utilizzando loro, quindi un’accezione vivente, si accelerasse il processo di immedesimazione. Insomma, ho sperato che i vantaggi contano più dell’errore…
Kore ha scritto: Meglio "piccola mano" perché per Anna, anche se bambina, la mano è completamente formata. è un adulto a vederla come manina.
Hai ragione!
Kore ha scritto: vedere attraverso gli occhi del protagonista.
Grazie, è una cosa che mi fa molto piacere perché generalmente riconosciuta da tutti quelli che leggono i miei lavori.
Grazie ancora per la voglia di fare un commento e a presto!!!

Re: [MI148] Strano

@Monica ha scritto: Caspita @L'illusoillusore ! 👏👏👏👏👏
 Un racconto stupendo. Non ho altro da dirti. Bello, intenso, perfettamente centrata la trama. Grande atmosfera e una scrittura matura e ficcante. Benvenuto. Di cuore.
@Monica  Grazie davvero! (PS non mi dà il tuo tag)

Re: [MI148] Strano

@Edu  Sono felice che ti sia piaciuto, grazie davvero.
Edu ha scritto: Attento qui, eviterei la ripetizione
Hai ragione, mi è proprio sfuggito!
Edu ha scritto: Escher?
Escher!
Edu ha scritto: Questa frase mi dà la stura per spiegare meglio il commento che precede: si nota subito l'ottima padronanza della scrittura, ma se la calchi troppo, se indugi e ti compiaci un po' troppo nelle ripetizioni, ad esempio, rischi di diventare retorico. Qui, sinceramente, un po' lo risulti
Spero di non aver esagerato, ma ho provato a usare le ripetizioni per rappresentare con più forza la mente maniacale dell'io narrante. Pensavo che fosse funzionale anche se mi rendo conto che la linea d'equilibrio è molto sottile!!
Edu ha scritto: Aspé che torno, eh
Ci conto, eh!

Grazie ancora per complimenti e spunti!

[MI148] Strano

Il mio commento
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Traccia di Mezzogiorno:  La maledizione delle piccole cose[/font]

Il paese è un’erta stretta e lastricata.
È uno spingersi di case incombenti, talmente pigiate tra loro che basterebbe sfilarne via una per vederle ruzzolare tutte a terra. Loro e i panni perennemente stesi, sempre gli stessi come cinquant’anni fa.
Il paese è la salita umida che percorro, un budello ombroso slavato della pioggia appena cessata, un vicolo che puzza di muffa e di ricordi.
Io so che non dovrei essere qui, vorrei non esserci. Eppure, è bastata una voce ed eccomi, arrancante nei miei sette decenni lungo questi muri zeppi di ricordi. Travolto dai dettagli, dal significato di ogni mattone, di ogni finestra, di ciascun uscio.
Se potessi, procederei con gli occhi chiusi, completamente cieco di pensieri, ma ogni lastra sconnessa è un trabocchetto per le mie instabili gambe e non desidero affatto rotolare giù, come un sacco di patate, o come il vecchio che sono.
Così devo lottare con la follia che mi ha portato via da qui. Quanti, quanti anni mi ci sono voluti per imparare a gestire la mia stranezza?
Già, era così che mi definivano le donne al mio passaggio: lo strano.
 
Salivo questo medesimo vicolo tirato dal passo svelto di mia madre, la domenica per la messa, quando sfidava la vergogna, osando portarmi fuori.
Nei miei passettini infantili, quasi volavo mentre gli occhi cercavano appigli ovunque. La maniglia d’ottone d’una porta, il perché della sua forma, l’alone scolorito da migliaia di prese… ed ero già oltre, a una ciocca di capelli scuri, lucidi, che sfuggiva da un foulard azzurro e al suo perché, alla ragione per cui… gli scalini di pietra davanti alla chiesa, il tarlo nel legno del portone, la mano inchiodata del poveretto sulla croce. Il sangue, la sofferenza sul suo volto.
Poi le panchine scricchiolavano di persone, il vociare cresceva. Visi, mani, vestiti. Troppi, troppe cose da guardare, da capire. Era come se la testa si frantumasse in migliaia di cristalli luminescenti. Tutto, tutto. Dovevo vedere ogni cosa e saettavo gli occhi, giravo la testa a destra, a sinistra e poi ancora di lato e ancora, senza fine.
Non sarei stato in grado di fermarmi, se non fosse stato per mia mamma, che estraeva dalla borsetta un foglio piegato in quattro, lo apriva e me lo passava.
Non ho idea di chi le avesse dato quella pagina di libro, vi erano rappresentate delle scale impossibili che iniziavano dove finivano, senza soluzione di continuità. Mi perdevo in esse per ore ed ore; forse sarebbe stato per sempre se ogni volta mia madre, finita la funzione e con la chiesa già vuota, non me le avesse strappate di mano.
 
Il cuore come lo sgretolarsi d’un sasso, manca il respiro. Mi devo fermare, appoggiandomi con la mano al muro, ed è quello che non vorrei fare. Ho paura e chiudo gli occhi, perché so dove sono. Ho visto lo scalino consumato, la crepa a forma di rosa, ora come cinquant’anni fa.
No. Qualcos’altro. Devo trovare un appiglio, un altro dettaglio. 
Una enorme, mostruosa cicala mi stordiva, ferma sull’ulivo, il sole mordeva le spalle. Ero lì per l’una o per l’altro? O per l’increspatura del tronco? Indeciso mi domandavo a cosa fosse importante dare la mia attenzione, quando: «Tu sei quello Strano?»
Voce di bambina. Sconosciuta, carezzevole. Occhi neri enormi da non scordare mai. E viso ovale, dolci labbra sorridenti. Cosa strana le labbra di un essere umano, che cambiano forma, ma tornano sempre uguali a prima. Come il mare. Come l’erba piegata dal vento. Come…
«Non ti agitare, sono Anna. Mio papà è il nuovo medico del paese. Sono giorni che ti spio. Perché fai quello che fai?» la sua manina calda mi prese il mento e lo volse a sé.
La forma delle sue scapole ossute era come la linea dolce delle colline, il collo la corda dei panni tra due finestre socchiuse e gemiti incomprensibili.
«Che dici, diventiamo amici?», sorrise radiosa.
Cercai nuovamente la cicala, ma non c’era più. Non avevo sentito che smetteva il suo richiamo e mi spaventai al pensiero di quanto mondo avevo perso per colpa della mia «Amica?» le domandai.
E lei sorridendo mi tirò per un braccio per andare a giocare.
 
Sono scivolato seduto per terra, sempre con gli occhi chiusi, maledicendo d’essere lì. 
Sento il vibrare di chi si muove dentro la casa al di là del muro e il loro parlare pacato m’attrae. Altri dettagli incombono, cercano strada nella mia spossatezza, ma più di tutti una voce di donna che mi chiama, la notte prima. L’assenza di mia moglie, solo una foto uguale a quella scelta per la lapide al finire della sua malattia e, Anna vorrebbe vederti, dice la voce.
Annuisco e dopo tanti anni trascorsi senza averlo nemmeno pensato, monto sul primo treno per tornare al luogo da cui fui rinchiuso. Proprio dove mi trovo ora, accanto alla crepa a forma di rosa.
Io e lei eravamo diventati amici. Di nascosto da genitori e adulti, timorosi del male che uno strano come me poteva procurare a una ragazza. Ogni notte d’estate dosavo la pressione delle dita per uscire di soppiatto dalla finestra. Salivo rapido l’erta pensando, concentrandomi, su dettagli di Anna, per non farmi catturare la mente dalle civette, dall’ondeggiare d’una camicia dimenticata appesa. Dalla luna verticale e dalla sua ombra, che non avrebbe dovuto esistere. Tutte le notti ci trovavamo in segreto alla rosa, e poi a zonzo per chiacchierare nel fresco dei prati, ma non quell’ultima notte.
Dettagli, in testa dettagli per non vedere il tutto. Un seno bianco, scoperto. Scuro capezzolo e sangue dalla bocca, e sotto i capelli. Scuro colore rubino, le mie mani che tremano. Vedo i pantaloncini intorno alla caviglia. La chiamo, prendo il suo volto tra le mani «Anna» grido «Anna». Ma non risponde. Le sue mutandine strappate proprio sopra la forma di rosa. Dettagli. Il pelo riccio sul suo pube. Morbido, sembra morbido. Posso toccarlo, Anna? Solo sfiorare quel particolare di te. L’ombra della luna sul suo ventre all’abbassarsi della mia mano.
E uno strillo. Un colpo alla testa e nero.
 
Piango mentre mi rialzo, ma ugualmente riesco a leggere l’ora.
Non penso all’acqua piovana tra le fessure del lastricato. Nemmeno alle pasticche, alle cure, all’abbandono nella clinica di detenzione minorile. Non penso alla vita passata, ma solo ad affrettarmi, perché manca poco e le nubi si sono aperte per me, per noi. Perché nel tramonto abbiamo un appuntamento speciale.
Mancano pochi metri alla curva che cela il miracolo. Il cuore sembra impazzito quando raggiungo l’angolo che cela l’ultimo tratto, svolto, e il dettaglio impresso a fuoco nella mia mente è davvero lì, ora come mezzo secolo prima. Un obliquo fascio di tramonto che trova spazio tra due case, che in queste sere d’estate sembrano scansarsi un poco per lasciarlo passare. 
Sedici anni, sto salendo ondeggiante sul lastricato e quell’inatteso chiarore mi sorprende. Polvere galleggiante nel suo aranciato splendore. Il nido d’una rondine come una conchiglia del cielo e il raggio che scivola fino alla finestra di Anna. I suoi occhi languidamente chiusi, affacciata a godersi quella luminosa carezza.
La sua maglietta leggera che sagoma le forme mature. Il naso dolce e le mie nocchie che le sfiorano la guancia. Vellutato calore. Il suo stupefacente sorriso e un bacio che promette amore eterno.
 
Ancora lacrime e ricordi.
Io di nuovo libero, curato dicevano, e Anna che è lì ad aspettarmi. Il suo scusarsi timido, perché non le avevano creduto quando giurava che non ero stato io. E perfino più umilmente il suo chiedermi se la volevo ancora. Se ancora ci amavamo come in quell’estate.
 «Nonno!» chiama Elisa salendo affannata verso di me «Ti abbiamo trovato, per fortuna. Se alla mamma non fosse venuto in mente che cinquant’anni fa…»
«Tua nonna» risponde la mia voce rugginosa «Voleva salutarmi un’ultima volta, mi ha chiesto lei di venire qui»
«E cosa doveva dirti, nonna Anna, di così importante?»
La osservo.
Dettagli. I suoi occhi come quelli di Anna. Sedici anni come al nostro primo bacio. Il viso ovale e un sorriso che sa di futuro.
«Mi ha ricordato che una vita è nei dettagli. Di non dimenticarlo e viverli tutti, uno per uno»
 

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