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Re: La differenza tra agenti letterari americani e italiani

Darksy ha scritto:  Tipo la minuscola casa editrice "di quartiere" americana, quella ad esempio di una libreria, può darsi che però abbia lo stesso 20-30mila lettori super affezionati che comprano ogni suo libro solo per il marchio, contro la controparte italiana che ne avrà sì e no 200 o 300.
Secondo me questo poteva essere vero vent'anni fa, non oggi. Oggi l'industria del libro - soprattutto in USA - si fonda su degli standard che lasciano poco spazio a realtà indipendenti. Inoltre, 20-30 mila lettori spesso non li raggiungono nemmeno alcuni titoli pubblicati da grossi editori. A proposito di comprare qualcosa "solo per il marchio", si consideri che il più grosso gruppo editoriale del mondo (Penguin Random House) fattura quanto l'Harley Davidson, circa 4 miliardi di dollari, lontanissimo dai fatturati dei giganti del web, che sono dell'ordine di centinaia di miliardi. Questo può dare l'idea del fatto che il mercato del libro, pur essendo un grosso mercato, è sempre e comunque un mercato di nicchia, almeno ai nostri giorni.

Re: La differenza tra agenti letterari americani e italiani

Aggiungo (non posso più modificare il precedente post) che comunque, sia in Italia che all'estero, oggi la tendenza è che gli agenti editoriali guadagnano molto di più nel vendere diritti di traduzione a editori/agenti esteri che non nel proporre autori connazionali a editori del proprio paese (a meno che non siano star di Hollywood, sportivi, politici, ecc). In un mercato globale, in cui le tendenze di mercato sono sempre più pianificate e pre-deteminate e non c'è spazio per l'imprevisto, gli stessi editori sia in Italia che all'estero sono molto più propensi a investire su un autore estero già rodato che non su un connazionale esordiente. Ciò spiega perché le agenzie di primo piano nostrane - come la TILA o PNLA - non hanno alcun interesse nel valutare nuovi autori italiani, meno che mai improbabili esordienti. Quando lo fanno, se proprio devono farlo, spesso vogliono essere pagati, perché il loro tempo è denaro (e non è poi un discorso del tutto sbagliato...). Quindi, in questo caso, non perché la scheda di valutazione a pagamento sia diventato il loro "core business" - come direbbe il buon @cheguevara - ma proprio per il motivo opppsto: non è quello il loro core business, non rientra nei loro interessi né in quelli dei loro clienti. Da questo punto di vista, non credo che negli States ci sia poi molta differenza, anzi, forse la tendenza è ancora più marcata, perlomeno per ciò che concerne le agenzie editoriali più altolocate (non conosco bene il mondo dei piccoli e medi editori e agenti letterari americani, ma sospetto sia sempre più cannibalizzato dai colossi e da Amazon che, per inciso, negli States dispone anche di una serie di marchi propri).

Re: La differenza tra agenti letterari americani e italiani

Darksy ha scritto: All'estero non voglio proporre un romanzo italiano tradotto in inglese, ma un romanzo originale scritto in lingua inglese, senza specificare che ne esiste una versione in italiano. Tanto, finché quest'ultima resta inedita, nessuno può sapere che si tratta di un adattamento. Tra l'altro i protagonisti sono italiani ma il romanzo è ambientato in USA, quindi anche come storia si presta bene.
Anche io ho scritto un'opera con simili caratteristiche, e ho pensato di proporla a qualche agenzia statunitense. Tuttavia, non ho tradotto l'opera e non intendo farlo di persona. Non credo sia una buona idea farlo di persona, perché il testo va reinterpretato dal traduttore, che lo adatta a un mercato diverso da quello di partenza. Ci sono alcune sottigliezze che solo un madrelingua può rendere. Inoltre, non basta tradurre alla perfezione l'opera, bisogna conoscere alla perfezione anche le norme e le consuetudini editoriali, in mancanza delle quali l'opera sarà cestinata (pensiamo, ad esempio alle D eufoniche in italiano).

Per i motivi di cui sopra, io ho fatto un unico tentativo (andato a vuoto) con un'agenzia in cui leggono testi anche in altre lingue, italiano compreso (a dimostrazione del fatto che le agenzie sono interessate al "concept" dell'opera, anche nella lingua di partenza, non al fatto di ricevere un'opera già pronta nella lingua di arrivo). Te la segnalo, se può essere utile. https://www.mmqlit.com/

Credo che non sia affatto facile quello che proponi. Le agenzie estere si occupano soprattutto di acquisire/vendere i diritti di traduzione di opere già fortunate (o almeno promettenti) sul mercato di partenza, e che non sono ancora state tradotte. A volte sono le agenzie stesse a occuparsi di tradurre le opere, quindi il fatto che l'opera sia già tradotta potrebbe essere uno svantaggio, invece che un vantaggio. Più facile sarebbe se tu hai già pubblicato l'opera in Italia, anche con un piccolo editore, e contatti l'agenzia estera per vedere se è interessata ad acquisirne i diritti. 

Se invece vuoi proporti direttamente come autore "estero", e quindi proporre la tua traduzione come un originale (con tutte le avvertenze di cui sopra) allora io credo che dovresti utilizzare uno pseudonimo esterofilo.

Concordo sul fatto che il mondo delle agenzie anglofone è molto più virtuoso, a cominciare dal fatto che in genere rispondono, anche se si tratta di grosse agenzie. Ma questo vale soprattutto per i traduttori freelance (quando l'agenzia è interessata a vendere diritti), forse non per gli autori. La mia unica esperienza da autore è stata quella con l'agenzia che ho riportato.

Re: La differenza tra agenti letterari americani e italiani

La differenza dipende anche dal fatto che negli States è tutto più in grande, quindi girano più soldi a tutti i livelli. I big sono più big (Penguin Random House fattura cinque volte il gruppo Mondadori), i medi sono più grossi, i piccoli sono meno piccoli. Quindi, è molto più facile per un agente letterario fare il suo lavoro guadagnando soltanto sulle royalties degli autori.

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