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Re: [MI173] Domani è lunedì e ricomincia il mondo

@Modea72 @Talia @Alberto Tosciri @ScimmiaRossa @Almissima grazie a tutti per essere passati. :muu: 
Talia ha scritto: Prima situazione che mi suona strana: la mamma di lui che entra così senza bussare ne niente nella  camera della coppia per svegliare il figlio. Non è una cosa comune tale invasione di privacy. 
Ti assicuro che in molte famiglie la parola ”privacy” è una parolaccia. Le persone di una certa età, in particolare, spesso si muovono come se tutto il mondo fosse casa loro. Io stesso ho vissuto in una famiglia in cui mia nonna vagava per le stanze come le pareva. Te la trovavi in camera la mattina presto a rovistare tra i cassetti, mentre tu cercavi di dormire. Sembrava un fantasma. Poi semplicemente ha smesso (quasi) di camminare e adesso passa le giornate davanti alla televisione.
Talia ha scritto: Terzo punto la compagna del protagonista che risulta una figura di contorno
Sì, infatti con più caratteri a disposizione avrei lavorato di più su questo personaggio, che nella mia testa deve comunque essere immobile e impotente, magari avere qualcosa della bambola, come dici tu, ma non essere privo di pensieri. Anche la nonna potrebbe “delirare” di più. E Alberto sbattersi di più prima di crollare. Serve più spazio, come sempre.
Alberto Tosciri ha scritto: Ci ho visto del realismo magico.
Sì, ultimamente mi sono mangiato tutti i racconti di Gabriel Garcia Marquez, autore che senza dubbio mi influenza tantissimo, insieme agli altri giganti dell’America Latina. 
ScimmiaRossa ha scritto: E sarei curiosa di sapere se è un prodotto della tua fantasia, oppure una citazione che mi sfugge. 
Non ti sfugge niente, ho semplicemente cercato di distruggere tutto ciò che Dio ha creato nei primi sei giorni.

Grazie di nuovo a tutti :muu: <3 
È un racconto che vorrei ampliare. 
È stato bello tornare.

Re: [MI173] Domani è lunedì e ricomincia il mondo

Poeta Zaza ha scritto: Non è verosimile, a fine gravidanza, avere ancora il seno di partenza. In media, cresce di una misura e mezza, in  quanto il corpo si prepara all'allattamento
@Poeta Zaza  Io non so ancora nulla di donne incinte, per fortuna (è presto). Mi sono informato un po’, perché volevo che la mia Beatrice apparisse come una creatura esile dominata da un grembo pieno ed enorme, quasi inquietante. E ho trovato la testimonianza di una donna che sostiene di aver allattato quattro figli con una seconda. 
Nulla che contraddica quanto dici tu, comunque: magari prima della gravidanza era completamente piatta.

Mi sono informato anche sulle cure quotidiane di una donna incinta, perché mi serviva qualcosa per tenere impegnate le mani dei miei personaggi, e google mi ha suggerito il dettaglio delle creme e degli oli antismagliature.
Ovviamente non avevo spazio a sufficienza, ma mi sarebbe piaciuto insistere sulle seccature della gravidanza (la nausea, il mal di schiena…), per torturare ancora di più i miei personaggi già sfiniti dal caldo e dalla “nonna”.
Poeta Zaza ha scritto: Il MI ti ritrova senza ruggine e in gran forma! 
Il MI è un castigo e noi siamo tutti masochisti. Ero sicuro che non ce l’avrei fatta, fuori allenamento come sono, ma leggendo il titolo della traccia di mezzogiorno mi sono detto: questa sembra pensata per te.
Poeta Zaza ha scritto: Hai fatto il mix con la traccia di mezzanotte!
E ti giuro che non l’ho fatto per il gusto di fare lo sborone, ma questo sole che toglie il respiro e brucia la terra mi sembrava sposarsi alla perfezione con la storia che avevo in mente. 

Grazie @Poeta Zaza, come vedi approfitto dei commenti per fare due chiacchiere :muu: 

[MI173] Domani è lunedì e ricomincia il mondo

Traccia di mezzogiorno - L’ottavo giorno
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Alberto si svegliò con la sensazione di trovarsi sepolto sotto tre metri di terra. Gli pesava sul petto tutta l’aria che divideva il materasso dal soffitto. E sapeva per certo, nonostante gli riuscisse impossibile crederlo, che non aveva respirato una sola volta dal momento in cui si era addormentato. 
Aprì le palpebre trafitte dagli aghi del sole e lentamente, come uscissero da una nebbia, le macchie che lo circondavano presero forme nette e familiari. Vide Beatrice addormentata accanto a lui, con quei lineamenti sottili e affilati che rendevano ancora più alieno l’enorme grembo sotto il seno minuto. Vide le boccette con gli oli e i tubetti di crema sul comodino. Vide la finestra aperta sul cielo di agosto e in cima a quel cielo, decisamente troppo in cima, un sole gigantesco e dai bordi nitidi. 
Si è fatto giorno ore fa, pensò ancora intontito dal sonno. Poi sussultò come se un calabrone gli avesse punto il cuore e si alzò a sedere con uno scatto: la sveglia non aveva suonato. 
«Dormi sereno, non è lunedì».
Era la voce di sua madre. Se ne stava in piedi sulla soglia della porta spalancata. Alberto guardò la vecchia, i suoi capelli come zucchero filato, gli arti magri e allungati di un levriero. 
«Mamma, che ore sono? Devo correre in ufficio».
«Ti ho detto che non è lunedì» ripetè la vecchia. Sembrava cent’anni più vecchia del giorno prima.
«Ieri era domenica, ti ho portato a messa. E oggi è lunedì» ribattè paziente Alberto.
«No, oggi è un giorno senza nome. Ieri Dio ha riposato e in sogno ha visto il suo errore».
Alberto pensò che il caldo doveva aver sciolto quel poco di senno che restava a sua madre. Si liberò dal groviglio delle lenzuola e si alzó in piedi. Sentì che il sudore gli colava dappertutto giù fino alle caviglie. 
Sua madre gli si avvicinò a piccoli passi.
«Alberto» disse con voce tremante, «Dio ha visto il suo errore e ha deciso di ricominciare da capo».
Tastava il corpo del figlio con mani incerte, come per assicurarsi che non stesse parlando a un’ombra.
L’uomo fece accomodare la vecchia sulla poltrona accanto al letto e andò in cucina per prenderle un bicchiere d’acqua. Quando tornò, sua moglie si era svegliata.
«Beatrice, mamma sta male».
«Che cos’ha?»
«Delira per il caldo».
Alberto si asciugò la fronte con il dorso della mano. Si sentiva bruciare da dentro, come avesse un tizzone acceso al posto del cuore.
«Dovresti essere in ufficio» disse Beatrice con le mani sul pancione.
«Sì, ora chiamo e dico che faccio tardi».
Alberto prese il telefono dal comodino e compose il numero. Restò in attesa.
«È l’ultimo giorno» gridò la vecchia dalla poltrona, «È il giorno dopo il riposo. Il giorno della distruzione».
«Mamma, sta’ zitta un secondo!» esclamò lui, che attese un minuto intero prima di riagganciare. Nessuno rispondeva, avrebbe riprovato più tardi.
«Eccola là! Presagio di morte» tornò a urlare la vecchia.
Alberto si voltò verso il punto che sua madre indicava col dito. Appoggiata al balcone, una civetta li fissava coi suoi occhi tondi e gialli come soli.

Beatrice lasciava che il marito la spalmasse dalla testa ai piedi con creme idratanti e oli contro le smagliature. La gravità aliena di quella mattina le rendeva difficile persino alzare un braccio. Ed era certa che se avesse provato a staccarsi dal letto, avrebbe lasciato lì tutta la pelle appiccicata alle lenzuola. Guardò verso la finestra: la civetta era ancora là, con due occhi da diavolo insonne; e su in alto il sole bruciava la terra, sbiadiva il blu del cielo, faceva sudare persino le pareti della casa.
All’altro capo della stanza, sua suocera si torturava le mani seduta in poltrona e non la finiva più di blaterare.
«E l’ottavo giorno Dio ingoiò la luce, annegò le stelle e asciugò gli oceani, soffocò il vento con tutti gli uccelli, schiacciò le montagne e aprì la terra che fagocitò il cielo intero».
Da quasi un’ora Alberto aveva smesso di zittirla e si limitava a tamponare la fronte della madre con un asciugamano bagnato. Nel corso della mattinata aveva provato ancora e ancora a mettersi in contatto con l’ufficio, ma senza successo.
«Resto a casa» le aveva annunciato dopo l’ultimo tentativo, «dopotutto non posso lasciare te e la mamma in questo stato».
In effetti neanche Beatrice aveva un bell’aspetto. Si era fatta tanto pallida da confondersi tra le pieghe del lenzuolo e ora si lamentava di un insolito odore di polvere che le grattava i polmoni. 
«Siamo noi che torniamo polvere» le rispose la suocera. «Senti la puzza dei nostri corpi che si disfano».
«Mamma, smettila!» urlò Alberto strofinandosi sulla pancia nuda le mani bagnate di lozione.
Proprio in quel momento Beatrice cacciò un grido che sembrava salire dalle viscere della Terra, un grido che gelò il sangue del marito nonostante l’ossigeno della stanza fosse sul punto di prendere fuoco. Si stringeva la pancia con le mani e spingeva, come cercasse di contenere l’esplosione di una stella che le stava dilaniando l’utero.
Alberto non perse un istante e recuperò il telefono dalla tasca. L’ospedale era troppo lontano da quella vecchia villetta in collina. Avrebbe invece chiamato il medico perché salisse in fretta dal paese a valle. Il telefono squillò tre volte, poi rispose una voce familiare ma disturbata e distante, come attraversasse un oceano in burrasca.
«Corri su, Bea sta male. Credo sia il bambino».
«Vengo subito» rispose la voce del medico dall’altro capo del mondo.
Alberto si rannicchiò accanto alla moglie che non la smetteva di gridare. Cercava di calmarla accarezzandole la fronte madida, suggerendole di inspirare ed espirare a intervalli regolari, offrendole una mano che lei stritolò con una forza da gigante. Sentiva la schiena piegarsi sotto il peso del sole e degli occhi gialli della civetta e dello sguardo da pupazzo di sua madre che ora aveva preso a pregare sottovoce. 
Dopo pochi minuti, il campanello suonò.
«È tuo padre che viene a prendermi» disse la vecchia, «portami il vestito buono».
«Papà è morto vent’anni fa. Questo è il medico».
«È tuo padre ti dico».
Alberto corse alla porta e aprì. Davanti a sé trovò soltanto il viale di terra che cadeva a valle fino a perdersi nel paese distorto dall’afa. Un gatto nero ne approfittò per infilarsi in casa e trovare riparo da quel sole assassino. Alberto non ci badò. Richiuse la porta e barcollò confuso verso la camera da letto.
A Beatrice non restava neanche più la forza di gridare. Sembrava un mucchio d’ossa schiacciate da un macigno rivestito di pelle. Alberto si stese accanto a lei con gli occhi chiusi e la abbracciò. Si lasciò cullare da quei lamenti lunghi e bassi simili al canto delle balene, finché non si rese conto che Beatrice soffriva nel sonno, che sua madre aveva finito le preghiere e che ora tutta la casa sudava in silenzio sotto gli occhi vigili della civetta.
Sentì di nuovo il campanello, ma capì subito che era un’altra ombra in cerca di rifugio. Restò sdraiato, consapevole che il torace si era stretto intorno ai polmoni, che il cuore non aveva più spazio per battere, che la gola si era ridotta a una fessura. Aprì gli occhi solo quando sentì che qualcosa gli bagnava le gambe, e vide un liquido nero e denso che colava da in mezzo le cosce di sua moglie. Beatrice respirava piano nel sonno, e a ogni respiro il ventre si sgonfiava, perdeva piano piano la sua solidità di macigno. Un ultimo respiro e la pancia tornò piatta e tesa come sette mesi prima. Un ultimo respiro, poi Beatrice non respirò più.
Alberto richiuse gli occhi e in una volta sola inalò tanta polvere che la sentì seppellirgli l’anima. Attraverso le palpebre vide che fuori si faceva scuro, che il sole finalmente affondava, e un soffio venuto dal nulla fece vibrare le sue ossa e i flaconi sul comodino e tutto il soffitto. Prima di addormentarsi sentì che sua madre si alzava dalla poltrona e gli posava una mano sulla testa.
«Riposati Alberto» gli disse, «che domani è lunedì e ricomincia il mondo».

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