Eccomi finalmente anche da te, pertanto.
Bello, davvero bello il nucleo principale del racconto, ambientato nel 1952. Atmosfere giuste e tutto molto visivo, secondo me.
Hai usato la frase imposta sfruttandola al meglio per creare la suspense che suggeriva.
Molto espressivo questo passaggio:
Adel J. Pellitteri ha scritto: comanda ancora a bacchetta i suoi tre figli maschi, nonostante siano diventati uomini sotto le bombe.Il salto all'oggi, pur ben fatto, mi ha lasciato un po' perplesso per motivi di costruzione narrativa (perdonami se faccio un po' il pignolo): la parte che riguarda Maria è raccontata con grande precisione e, proprio per questo, si scolla un po' da quella su Bina che non può conoscere la storia della madre con così tanto dettaglio. Ecco: non so se è solo la mia lettura, ma non mi pare che Bina possa averla appresa dalla madre, anche se, lo ammetto, nulla di ciò che hai scritto consente al lettore di supporre che Bina non abbia mai più incontrato Maria. Però è proprio questa la sensazione che mi lasci: a Bina non sono rimaste che poche foto e pochi (ma intensi) ricordi di bambina, riguardo sua madre. È l'incipit a lasciarmi questa sensazione. Vero anche che essendo Bina già molto anziana, è perfettamente lecito supporre che abbia avuto modo di vivere, da adulta, una volta affrancatasi dalla famiglia paterna, anche con la madre e che ora Maria non ci sia più per ovvi motivi anagrafici e biologici. Però l'esordio del racconto, con il riferimento (chiaramente carico di nostalgia) a vecchie foto (che a me fanno presupporre che Bina non ne possegga di più recenti, ergo non abbia mai potuto scattarne alla propria madre in tempi successivi), mi ha spinto a interpretare la separazione come definitiva e irreparabile. Ecco perché, secondo me, Bina non può conoscere la vera storia di Maria, ecco lo "scollamento" che percepisco: sono due racconti distinti, nei quali io, lettore, beneficio di un'onniscienza che trovo poco utile, se non per "gustarmi", separatamente, le due storie che sono il dramma di Marì e il dramma di Bina (che è "solo" quello della separazione dalla madre, della rottura dela famiglia e dell'aver subito menzogne più o meno indistinte, che però non le rivelano la crudele ingiustizia che il racconto di Maria svela al lettore). Che me ne faccio (di questa onnisicenza)? Non mi sento più vicino a Bina, non sento nemmeno troppo realistico il racconto nel suo complesso, sebbene sia intriso di forte e per altro credibile realismo (il finale amarissimo, con il tema del narrare, per necessità, senza nemmeno essere ascoltati mi ha colpito davvero tanto).
E, insomma, un racconto al quale manca un tassello fondamentale (ammesso che non ci sia già e sia io a non averlo colto): quello che faccia della vera storia di Maria un ricordo proprio di Bina. Forse ottomila caratteri erano davvero troppo pochi, ma servirebbe una trovata per far sì che quei fatti del novembre '52 siano patrimonio della memoria di Bina. Tipo (scusa se è banale, ma al volo non mi vengono idee migliori) che quelle vecchie foto facciano parte di un diario, o di un "grumo" di ricordi, o di una lettera con il racconto diretto della madre, scritto senza speranza alla figlia che ha dovuto abbandonare, dei quali Bina viene in possesso (ma in che modo?). Allora sì, la ferita mai davvero rimarginata si potrebbe riaprire con prepotenza e la parte "Bina, oggi" diverrebbe, narrativamente, il racconto in diretta del riaccendersi di tutto il dolore, di tutte le "emicranie", e le due parti di racconto risulterebbero una l'inevitabile conseguenza dell'altra all'interno di uno stesso racconto che coerentemente le contiene.
Non so se sono riuscito a spiegarmi, né se tu possa condividere queste elucubrazioni.
Nonostante alla fine mi manchi qualcosa, questo è un racconto che mi è piaciuto e la cui esclusione mi ha fatto soffrire al momento della scelta dei voti da assegnare.
A rileggerti.