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Re: [MI 177] Recondite fughe

Ciao @Alberto Tosciri. Un intreccio particolarmente complesso; avvincente per il tipo di ambientazione, ma con qualche pecca.
Inizierei proprio dall'incipit. Quello è stabilito a priori e propone la scena in cui lei si gira verso il protagonista. Il fatto che lui noti il rossetto e il profumo è perfettamente in linea con quello che sta accadendo, ma improvvisamente la scena si interrompe per dare spazio a un lungo periodo esplicativo di tutto quello che era successo nel passato.
La scena riprende solo qui:
Alberto Tosciri ha scritto: Ebbi l’impressione che le mancasse il fiato nel vedermi
A mio avviso un po' troppo lontano rispetto a dove l'avevamo vista girarsi, con l'effetto di aver perso di vista il momento presente e di doverlo riacciuffare.
Alberto Tosciri ha scritto: prima che io entrassi nella cerchia ristretta di Niko...
Diventare la sua donna era stato un passaggio quasi obbligato...
Ero l’ultima persona al mondo che si aspettava, non era stata informata della mia presenza per motivi di sicurezza...
Riferiranno che ti sei affacciata al balcone mentre io venivo a portarti un ordine.
Che lei non fosse stata informata dalla polizia della sua presenza va bene, ma se lui era entrato nella cerchia ristretta di Niko e lei era diventata la sua donna è difficile che non l'abbia mai visto prima in quel contesto, tanto più se Niko manda lui a riferirle un suo ordine.
Alberto Tosciri ha scritto: ― Devo darti disposizioni. Dobbiamo andare sul balcone ―
...
Ma sapevo, e certo lo sapeva anche lei, che il balcone era l’unico posto della villa senza microfoni, né di Niko né di altri.
Se è così, il luogo dove viene pronunciata la prima frase avrebbe potuto essere controllato da qualche microfono, e quella sarebbe stata una frase molto compromettente.
Alberto Tosciri ha scritto: Quasi fin dal primo momento con cui avevo avuto a che fare con Dario mi accorgevo che talvolta sembrava mettermi alla prova parlandomi in dialetto stretto,  usando termini arcaici particolari, tipici di certi rioni  della nostra città e io rispondevo sempre a tono, generando in lui un  guardingo stupore. Per evitare pericolose dimenticanze avevo detto loro buona parte della verità sulla mia vita: i miei erano emigrati al nord che io avevo dieci anni e lì ero cresciuto e avevo iniziato a studiare, diplomandomi. Poi avevo deciso di tornare. Non avevo raccontato che nel frattempo ero diventato un poliziotto. Dario affermava che eravamo coetanei e probabilmente eravamo stati assieme alle elementari, ma non ricordava nessun Salvatore e dannazione poteva essere anche vero, c’erano due scuole elementari in quel quartiere, potevamo essere entrambi in una di quelle scuole. Intuivo che nella mente di Dario, e non solo nella sua, rodeva come un tarlo, l’ombra di un sospetto. Un’ombra che poteva uccidere.
...
― Luca. Si chiamava Luca quel bambino al primo banco. Io era all’ultimo. E così siamo rimasti, vero Luca? ― disse Dario con una punta di tristezza.
Se Dario si ricorda di Luca, possibile che Luca non si ricordi di Dario? E comunque, se anche Luca a un certo punto ha iniziato a pensare che forse Dario avrebbe potuto riconoscerlo, perché rispondergli a tono? non sarebbe stato meglio dissimulare e far finta di essere di un paese vicino?

Nel finale c'è invece qualcosa che va salvato. Se quell'amarezza e quella disillusione sul valore dell'eroe fosse trasparsa anche nel resto del racconto, tutto avrebbe assunto più spessore.
Alla prossima.

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