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Re: Labocontest n.3 - Discussione generale - Show don't tell

Tornando a riflettere sullo show don't tell, vorrei provare a dare al tema un ulteriore punto di vista relativo all'atteggiamento psicologico di chi scrive.
In primo luogo scriviamo perché abbiamo qualcosa nella testa che vorremmo comunicare; la "forma" con cui ci si presenta all'inizio nella nostra coscienza può essere molto diversa da caso a caso.
Chi parte dal voler comunicare un concetto, un valore, un'intuizione, qualcosa insomma che per lui ha un significato particolare a cui desidera dare corpo; chi parte da qualcosa di più concreto: un ricordo, la sensazione che abbiamo vissuto in una particolare situazione, una relazione significativa che ha lasciato una traccia in noi; chi invece viene attratto da un semplice particolare che lo affascina in quel momento e lascia che la fantasia (l'inconscio?) lo conduca per mano fino a fargli scoprire dove arriverà.
Non penso di aver esaurito la casistica, ma a grandi linee questi tre esempi mi sono utili per andare avanti nel discorso.
In genere penso che il primo caso sia il più problematico; se ciò di cui vogliamo parlare ha per noi un grande valore saremo istintivamente portati a imbrigliare la trama e i personaggi a uso e consumo di ciò che vogliamo rappresentare, dove il rischio è quello di perdere il "realismo" della scena: intendo tutte quelle sfaccettature fatte di grigi che possono dare concretezza e verosimiglianza a chi legge. D'altra parte riuscire a rendere un contenuto del genere in modo adeguato in narrativa può significare aver raggiunto le vette più alte.
Il secondo caso forse è il più semplice: riportando qualcosa che in qualche modo abbiamo già vissuto, anche se in modo diverso, abbiamo già davanti agli occhi una scena da descrivere, ma non solo, anche l'indicazione di quali sono gli elementi descrittivi più significativi per avvicinarci a quella condizione che è ancora presente nel nostro ricordo. L'obbiettivo in questo caso è quello di coinvolgere il lettore nella nostra stessa esperienza, ammesso e non concesso che quell'esperienza tanto interessante per noi lo sia anche per lui.
Nel terzo caso gli elementi descrittivi diventano indispensabili per chi scrive, perché solo immaginandosi anche i minimi particolari può riuscire a seguire qualcosa che a tutta prima potrebbe sembrare non avere senso. In questo caso il "mostrare" diventa il cuore pulsante della storia. La vera sfida diventa quella di raccogliere tutti i fili sparpagliati e, come nell'interpretazione di un sogno, riannodarli in un senso compiuto.

Re: Labocontest n.3 - Discussione generale - Show don't tell

Otta ha scritto: Ferma restando l'utilità dell'esercizio che ci stiamo accingendo a fare
Per l'appunto. Ed è esattamente questo il senso. Quello che propongo qui è un semplice esercizio, non il componimento della vita.

Criticare lo show don't tell è perfettamente legittimo e sono molto d'accordo nel dire che il troppo stroppia e che l'ortodossia dello stile non deve diventare una catena infrangibile.
A questo proposito posso muovere anch'io una critica alla regola, visto che per secoli di letteratura non se ne era mai sentito parlare.
Tutti abbiamo studiato a scuola I Promessi Sposi senza che nessuno ci abbia mai parlato di show don't tell e quando abbiamo iniziato a occuparci di scrittura ci siamo sentiti dire che quello di Manzoni è un narratore onnisciente e che adesso non va più bene. È vero che se oggi uno scrittore dovesse usare lo stesso stile di Manzoni forse non verrebbe apprezzato, ma questo non vuol dire che dobbiamo buttare alle ortiche i Promessi Sposi.
Il fatto è che nella mentalità ottocentesca lo scrittore doveva anche assolvere a un altro compito: mostrarci attraverso i fatti le conseguenze delle azioni dei personaggi in chiave morale. per questo motivo l'autore era più preoccupato di come far passare il suo punto di vista attraverso la voce del narratore.
In tempi più recenti si è sviluppata, a ragione o a torto, una certa intolleranza nei confronti della presa di posizione sui fatti narrati da parte della voce narrante. Un po' come dire: "Ti dico come sono andate le cose, giudica tu come ti pare".
Se questo atteggiamento riflette solo una mancanza di contenuto forse il testo rischierà di risultare un piatto elenco di oggetti, azioni, parole; ma, visto che secondo i dettami della pragmatica della comunicazione umana è impossibile non comunicare, finisce che comunque, attraverso il modo con cui descriveremo le cose, le azioni e le parole, arriveremo a comunicare qualcosa. Il problema a questo punto è essere consapevoli di cosa vogliamo comunicare.
Possedere la capacità di comunicare un proprio contenuto attraverso la tecnica dello show don't tell può dare al nostro messaggio una potenza che potrei definire maieutica. "Io ti mostro le cose in modo che ti appaiano come io le ho ordinate, ma sarai tu a leggerle e a giudicarle pensando che siano elementi oggettivi, e che il giudizio che ne trarrai sarà il tuo e non il mio. Io rimango nell'ombra a muovere i fili".
Se ci pensate quasi tutta la comunicazione moderna segue questo principio.
È un bene? È un male? Dipende. Ditemelo voi.

Re: Labocontest n.3 - Discussione generale - Show don't tell

Ciao @Poeta Zaza
Sicuramente interessanti gli esempi che hai citato, ma mi offri l'occasione per fare una precisazione.
A mio modo di vedere, si parla di show don't tell soprattutto in riferimento ai personaggi, alle loro reazioni emotive che, invece di essere raccontate in modo didascalico, vengono mostrate attraverso azioni concrete.
Altra cosa è la descrizione di un luogo dove viene ambientata una storia. Come giustamente fai notare, la descrizione deve sicuramente "mostrare" non solo ciò che può essere visto, ma anche i rumori, i profumi e tutto ciò che può rendere l'atmosfera di quel luogo.
Il tema della descrizione dei luoghi e anche quella dei personaggi sarà sicuramente uno dei prossimi temi del Labocontest.

Re: Labocontest n.3 - Discussione generale - Show don't tell


A quindici anni Pablo Picasso fa un ritratto della madre dimostrando di possedere tutte le capacità tecniche di un pittore del suo tempo, ma lui era molto di più.

Destrutturare e ristrutturare è un'operazione che possiamo permetterci se prima possediamo le capacità tecniche, c'è ancora tempo prima di poter esprimere il genio se mai ce l'abbiamo.
"A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita a imparare a dipingere come un bambino." (Pablo Picasso)

Il senso di un laboratorio è quello di esplorare le possibilità di una tecnica che magari potrà rivelarsi utile nel momento in cui vorremo esprimere i nostri contenuti. Solo se saremo in grado di padroneggiarla potremo scegliere se usarla oppure no.

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