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Re: [Lab 9] La legge di Eleonora cap 1 di 5

@Ippolita ciao dottoressa Avanzini! :P
Ippolita ha scritto: Forse la familiarità è dovuta al fatto che il professore è amico del padre di Martino? 
Esatto. Come ben saprai, i baroni esistono ancora nelle università! 

Ippolita ha scritto: Altra cosa: cosa intendi accennando ai "valori della professione"?
Accenno al compito delicato che hanno tutti quelli che ruotano attorno alla giustizia. Devo riconoscere che in effetti il rapporto o la descrizione dell'ambiente non è proprio tanto realistico, ma dato che è un racconto di stampo "idealistico" ho voluto iniziare con questa rappresentazione forse fuori dalla realtà. Penso comunque che essere un numero in un corso di giurisprudenza ( da cui si parte per procedere verso altre strade) produce e ha prodotto, l'esercito dei legali senza scrupoli di cui è piena l'Italia ( 5 volte quelli della Germania). Grazie, @Ippolita, mi ha fatto piacere risentirti...

Re: [Lab 9] La legge di Eleonora cap 1 di 5

@sefora ciao e grazie del passaggio e degli utili consigli.
sefora ha scritto: Periodare piuttosto faticoso e "sovrabbondante". 
Hai ragione. Rompere il ghiaccio su come iniziare non è mai facile. Ho deciso di dedicare il primo capitolo interamente a Martino, trovandomi senza il bisogno di tagliare nulla. Ho lasciato tante parole inutili. Grazie ancora. :sss:

[Lab 9] La legge di Eleonora cap 1 di 5

   
La legge di Eleonora




Capitolo primo. Tesi di laurea.




Il Professor Della Monaca terminò di dare le ultime indicazioni agli studenti dell’ultimo anno del corso di giurisprudenza. Si mostrava rassicurante e soddisfatto per il lavoro fatto, verso quei ragazzi a cui aveva trasmesso tutte le sue competenze e i valori della professione. Dall’alto dei posti dell’auditorium i ragazzi lo seguivano attenti, ma già assaporavano la felice sensazione di aver finito il lungo ciclo di studi, che apriva alla fase finale per il conseguimento della laurea.
Martino se ne stava in disparte dal gruppo centrale e aveva ascoltato attentamente il discorso di conclusione. Sapeva che da lì a poco gli sarebbe arrivata una domanda dal suo docente. Quando l’aula si svuotò si alzò e scese verso la cattedra, dove lui lo aspettava.


“Allora, Martino. Sei rimasto solo tu che ancora non mi hai detto come imposterai la tua tesi.”
“Sì prof.”, rispose timidamente.
“Bene. E quindi cosa avresti deciso?”
“Vorrei impostare il discorso sull’uso strumentale della legge”.
“Me ne avresti dovuto parlare prima” , rispose quasi sorpreso.
“Perché prof?”
“Non ti vedo a scrivere di abusi del processo, fosse civile o penale. Mi sembra un argomento dove non avresti la possibilità di avanzare niente di innovativo. Sai bene che oramai la legge prevede mezzi di dissuasione e comunque anche l’aspetto giurisprudenziale non è affatto semplice. Poi se credi che al contrario possa elaborare qualcosa di decente per una tesi di laurea, vedi te. A tuo padre l’hai detto, poi? Non credo che sia stato lui a metterti questa idea in testa, dato che ha a che fare quotidianamente con simili atteggiamenti. Tuo padre è sempre stato un avvocato stimato e tu dovresti avere le idee chiare, dato che lui che ti ha sempre seguito in questi anni di studio, oltre me come insegnante”.


Il giovane parve indeciso se rispondere; poi si fece coraggio e disse : “Papà non sa niente di questa mia decisione. Io però non vorrei solo parlare dell’abuso del processo, o di abusi in genere, vorrei parlare di come si è evoluto l’utilizzo della legge da parte della gente.


“La tua idea mi pare più adatta alla rappresentazione sociologica della legge...Non mi convince.
Però è una tua decisione. Fammi una prima bozza e sottoponimela, poi vedremo”.


Martino fece un cenno con la testa e, dopo aver salutato il suo prof, abbandonò l’aula.
L’uomo rimase perplesso e lo guardò andarsene: il fare del giovane da qualche mese era cambiato. Non che fosse un grande chiacchierone, ma ultimamente sembrava essersi chiuso al dialogo e ai rapporti con il gruppo. Si domandò cosa mai lo preoccupasse e e pensò di richiamarlo per chiederglielo; ma poi ci rinunciò pensando a un’altra occasione.


Martino si incamminò per il lungo corridoio dell’ateneo e prese le scale per scendere al piano terra, verso l’uscita. Il passo lento e senza forza, mille pensieri per la testa che pesavano sulle gambe. Sul pianerottolo della prima rampa trovò Marcella e Sonia che parlavano a bassa voce in atteggiamento confidenziale. Quando lui le raggiunse le salutò, ma Marcella strattonò l’amica verso un lato come se volesse distanziarsi da un appestato. Martino si accorse dello sguardo severo di lei e abbozzò il tentativo di guardarla negli occhi. Lei raccolse il confronto visivo e tra i due ci fu un silenzioso leggersi in profondità. Lei continuò severa a scrutarlo e alla fine lui cedette al peso di tutte quelle parole non dette. Abbassò la testa e continuò a fare le scale sino all’uscita. Sonia guardò l’amica come se volesse chiederle come mai quell’atteggiamento freddo e distaccato, quasi di odio, che gli aveva rivolto, considerato il tenero che sempre c’era stato tra loro due. Marcella si limitò a dirle due parole: “lascia stare”.


Martino percorse il tratto di strada che tra Corso Umberto arriva a via Mezzocannone. Poi si immerse nei vicoli del centro storico di Napoli e, dopo dieci minuti, entrò dentro l’atrio del palazzo dove abitava con la sua famiglia sin da quando era nato.


Si incamminò per l’ampia scalinata decorata e carica di fregi in perfetto stile barocco. I gradini di pietra si accompagnavano alla linea circolare dell’ampio vano scala e avevano incastonati le singole colonnine di ferro modellate che sorreggevano il corrimano di mogano. Il padre Tullio Bellisai aveva ereditato l’immobile dal padre, anch’esso noto avvocato, appartenente a una famiglia di mezzo aristocratici, caduti in disgrazia all’epoca del secondo conflitto mondiale. Il lussuoso appartamento, che stava al secondo e ultimo piano, era rimasto miracolosamente intatto nonostante ben duecento raid aerei alleati contro la città. Martino, che conosceva la storia del palazzo, pensava che San Gennaro si fosse adoperato per proteggerlo.


Quando entrò dentro casa i suoi erano fuori per lavoro. Il padre per tribunali; la madre assisa nella sua cattedra di insegnante di matematica al liceo statale Elsa Morante. Andò direttamente verso la sua stanza e si buttò pesantemente sul letto facendolo sobbalzare dal peso del suo corpo sulla soglia dei novanta chili. Lo sguardo si fissò sui decori del soffitto; tra le anse delle foglie d’acanto dalle sfumature bianche e grigie. Dagli angoli partivano delle righe geometriche che riquadravano le pareti. I decori si incontravano al centro della volta tondeggiante, dove un medaglione di sgargianti fiori li riuniva. Si mise a pensare all’incontro con Marcella su per le scale, mentre un nervoso movimento delle dita sul materasso scandiva il tempo delle decisioni che doveva prendere. Fece un lungo respiro. Poi gli occhi si posarono sul pc sopra la scrivania. Si alzò alla fine rompendo gli indugi, con la solita tecnica di mettersi di fianco e far leva con le braccia sul letto per riuscire a sollevarsi. Andò a sedersi sulla poltroncina in pelle nera, e accese il pc. Aspettò che il sistema entrasse in modalità e digitò alcune parole come giustizia, legge, giudice.
Giustizia. Virtù sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge”.


Legge: atto normativo, giuridico, che ha come effetto la creazione, modificazione, abrogazione di norme generali e astratte di un determinato ordinamento giuridico in base alle norme sulla…”


Martino sbuffò e disse tra sé: “Che scoperta! Non so dove vado a parare di questo passo. Mi ci vorrebbe uno spunto adeguato per non cadere nel banale”.

Giudice: organo che svolge il compito di giudicare i fatti facendo applicazione di norme…”


Continuò a impostare diverse parole chiave senza nessuna convinzione e il motore di ricerca gli propose il variegato mondo argomentativo del web.
I giudicati” Che roba è?”, si domandò. Sarà il titolo di qualche libro che parla di processi o cose del genere”. Ci cliccò sopra per curiosità.


Durante i secoli medievali in Sardegna vigeva una particolare organizzazione governativa autonoma, unica in tutto il continente europeo e considerata da molti studiosi come il preludio agli Stati nazionali che successivamente si sarebbero sviluppati in Europa: il giudicato.”


Martino lesse tutto l’articolo: “Interessante… non sapevo di questo”.


Gli piacque molto la storia dell’ultima giudicessa di quella epoca sarda che aveva lottato per una idea di governo basata sulla autonomia da ogni imposizione dei monarca despoti che si avvicendavano a pretendere il possesso dell’isola e del suo popolo. L’eroina dal nome di Eleonora, discendente della casata dei Bar-Serra, governatori di gran parte dell’isola, era stata l’ultima combattente nella strenua difesa di tale organizzazione, che aveva fatto prosperare i quattro giudicati. L’eroina parve attirare l’attenzione del giovane che, quasi provando una strana attrazione, si fermò a pensare.

(continua)

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