La ricerca ha trovato 5 risultati

Torna a “Quaccheri”

Re: Quaccheri

Ciao, @Nightafter .
Grazie per aver letto con attenzione il mio racconto e grazie anche per i tuoi complimenti generosi, ben al di là di quanto io potessi meritare.
I personaggi delle mie storie sono molto spesso idee più che persone. Non vado a ricercare l'immedesimazione del lettore quanto piuttosto quello straniamento che possa permettergli di valutare i fatti e costruirsi una propria idea. La letteratura a mio avviso dovrebbe essere soprattutto diffusione di idee e non già la ricerca della "meraviglia" a tutti i costi.  

Re: Quaccheri

Grazie, @Edu , per il tuo commento accurato che sicuramente mi sarà utile per una successiva stesura. Mi fa anche piacere che dalla storiella tu abbia tratto qualcosa, in fondo l'ho scritta perché tutti abbiamo da imparare da fatti poco noti perché volutamente dimenticati.
Giustamente osservi che l'espressione che uso, "il quacchero Tizio", probabilmente non è di quelle che oggi ti possano venire facilmente in mente. Infatti, l'ho trovata ripetuta quasi ossessivamente nei documenti quaccheri originali che ho consultato. Tutt'oggi. comunque è frequente che in comunità molto caratterizzate si adoperino appellativi per così dire "identitari", vedi "fratello" o "sorella" nelle comunità religiose cattoliche. 
Adesso andiamo ai punti specifici che hai sollevato:
1) "[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Domattina lavoro in filanda", hai ragione: "[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Domattina vado in filanda" avrebbe funzionato meglio. Che il padre vi svolgesse un lavoro manuale, in fondo, è detto alla fine.[/font][/font]
2) Sì, mi è sfuggita una virgola. Grazie per la correzione.
3) Tutt'ora, nei paesi anglosassoni è frequente leggere di persone che hanno conseguito lauree in giovanissima età. Non è la normalità, ci riescono soltanto persone eccezionali. Tale era appunto John Dalton, a15 anni possedeva la maturità necessari per iniziare quel tipo di studi e ne era perfettamente consapevole. E' stata semmai un fortuna per tutti noi che non lo abbia potuto fare, forse gli inglesi ci avrebbero guadagnato un avvocato e un politico illuminato e intelligente, ma l'umanità avrebbe perso il padre della chimica.
Un'ultima cosa su quella che tu chiami freddezza del racconto. Avrò anche torto, ma non aderisco ai canoni della "scrittura immersiva". Mi rendo conto di andar contro i dogmi della narratologia oggi di moda, ma al lettore non chiedo di immedesimarsi nei miei personaggi, ammesso pure che Dalton possa in qualche modo essere "mio", ma piuttosto di osservarli dall'esterno, di comprenderli prima di amarli/odiarli.

Re: Quaccheri

Grazie, @bwv582 , per il tuo commento e per la tua critica. Probabilmente il racconto risente molto della mia formazione, sono uno scienziato e un insegnante. Mi sono dato regole piuttosto strette: rispettare la storia e inserire elementi di fantasia soltanto quando essi sono verosimili e non contraddicono i fatti noti. Qui il solo elemento che non risulta dai documenti disponibili è la gita a Workington, verosimile in quanto distante meno di10 km dalla casa in cui nacque Dalton. La trama, come tu dici, è debole perché è incentrata, più che sui personaggi, sullo sviluppo di un'idea e di un metodo in un ambiente culturale particolare e sorprendentemente aperto, qual era quello dei quaccheri inglesi. Ho pensato il tutto come una breve lettura su cui vorrei mio figlio si potesse soffermare frequentando la scuola media. Uno dei progetti che ho per mano è la stesura di una specie di "storia del pensiero scientifico" attraverso un serie di "racconti".  
Osare di più? Qui la brevità della storia e, soprattutto, la quantità di informazioni disponibili sul periodo rendono la cosa oggettivamente difficile. Raccontare storie remote nel tempo permette maggiori libertà e anche su questo mi sto cimentando. Per il momento poi sto per postare qui un "racconto" un po' selvaggio. Tre brevi monologhi: i protagonisti sono animali che agiscono come animali ma pensano con pensieri umani. 
Le tue osservazioni, @bwv582 , come vedi, mi saranno preziose.

Re: Quaccheri

Grazie per la correzione, @Poeta Zaza. Raccontare la storia è una delle mie ambizioni. John Dalton, il padre della chimica, è un personaggio affascinante, e anche i quaccheri sono interessantissimi.  

Quaccheri

il mio commento


«Padre, vorrei vedere il mare». 
«Ѐ una lunga camminata, John, ma ci andremo domenica. Se il tempo lo permetterà».
Quella domenica non pioveva e non c’era nebbia. Riempite le bisacce di porridge per la colazione, la famiglia Dalton si mise in marcia all’alba per raggiungere Workington. John osservava l’azzurro del mare d’Irlanda e le barche dei pescatori ancorate in porto. Di domenica non si lavora, naturalmente, ma con gli occhi della mente John poteva vedere le reti lanciate in acqua e poi ritirate colme di pesce.
«Possiamo aspettare il tramonto, padre? Mi hanno detto che qui è bellissimo».
«Poi però dovremo camminare di buon passo. Domattina lavoro in filanda».
«Guarda il mare, John. Il sole sta calando e presto tutto si tingerà di giallo e poi di rosso».
«Che bello, il giallo. Ma non vedo nessun rosso, padre. Adesso tutto è grigio».
«Domani andrai a Pardshaw Hall, John. Lavorerai per mantenerti, ma ricorda sempre che il padrone compra le nostre braccia, non la nostra mente. Segui la tua voce interna. Ti dirà sempre cosa è giusto fare e cosa no».
Nel 1776 con le parole del padre bene impresse, John Dalton iniziò a soli dieci anni il servizio presso la Società Religiosa degli Amici. Dopo il lavoro frequentava gli incontri della Società e partecipava alle accese discussioni che seguivano. «Gli uomini nascono uguali davanti a Dio. Ricercare lusso ed eleganza, come fanno i signori anglicani, è peccato di vanità!»,  tuonava il quacchero  Elihu Robinson. «Potete essere orgogliosi soltanto del frutto del vostro lavoro». La voce interna spingeva John a cercare di comprendere la natura delle cose. Sotto la guida del quacchero Fletcher, leggeva fino a tardi gli Elementi della geometria di Euclide, divorando ogni singola idea che vi incontrasse.
John avrebbe voluto studiare legge o medicina, ma i dissenzienti come lui non erano ammessi alle università inglesi. Così, nel 1781, accettò entusiasta l’offerta del suo fratello maggiore, Jonathan. Si trattava di un lavoro come istitutore nella scuola quacchera di Kendall. Nel tempo libero avrebbe potuto frequentare le lezioni del quacchero cieco John Gough, e questo valeva molto più del modesto salario che gli sarebbe spettato.
Con Gough, Dalton studiò matematica, fisica e chimica. Nella biblioteca di Kendall lesse le opere di Boyle e di Lavoisier, si convinse che la materia non potesse essere divisa ad infinitum, che dovessero esistere frammenti indivisibili, gli atomi di cui per primo parlò Democrito. Soprattutto, John imparò come ogni intuizione e ogni idea dovessero essere verificate dall'esperimento e di come spesso le generalizzazioni conducano in errore. La maggior parte dei corpi si espande se riscaldata, tuttavia alcuni materiali si comportano all’opposto. John lavorò duramente con il caucciù sotto tensione per poter misurare questo effetto, oggi noto come effetto Gough-Joule. 
Gli anni trascorsi con Gough furono eccitanti, ma la scuola di Kendall attraversava un periodo di gravi difficoltà economiche e nel 1793 dovette chiudere i battenti. Raccomandati da Gough, i fratelli Dalton si trasferirono presso l'Accademia Dissenziente di Manchester. John insegnava in corsi avanzati di matematica e filosofia naturale: tanti studenti e tante lezioni da preparare per un salario appena sufficiente alle sue limitate esigenze di quacchero. Per adeguare il suo guardaroba al crescente prestigio dell'Accademia, tuttavia, John dovette comprare a  credenza dal sarto redingote, panciotto, camicie, calze e pantaloni.  
Al primo incontro dei docenti dell'accademia, John fu sorpreso di sentire il decano Barnes rivolgersi adirato verso di lui:
«Le tue calze non vanno bene, quacchero Dalton. Cos’è questo rosso? Vuoi scimmiottare i ricchi signori anglicani? La modestia è la nostra regola, e tu dovresti saperlo».
«Scusami, quacchero Barnes. Credevo che le mie calze fossero grigie, come tutti gli altri indumenti che indosso. In effetti, io le vedo grigie. Non è certo mia intenzione mettermi in mostra».
Più tardi John tornò nella stanza che divideva con il fratello. 
«Anch’io» disse Jonathan «vedo le tue calze grigie, com’è giusto che siano. Per tutti gli altri sono rosse, tuttavia».
«Evidentemente tu e io vediamo in modo diverso dagli altri. Hai notato come tutti mi osservavano? Il nostro deve essere un difetto di famiglia».
Da scienziato sperimentale qual era, John continuò a confrontare la sua visione dei colori con quella dei colleghi e degli studenti. Le conclusioni dello studio furono presentate qualche anno dopo in una comunicazione alla Società Letteraria e Filosofica di Manchester, «quella parte delle immagini che gli altri chiamano rosso mi appare come poco più che un’ombra, una mancanza di luce; inoltre l'arancione, il giallo e il verde mi sembrano essere un solo colore: li percepisco tutti come differenti gradazioni di giallo». Nella stessa memoria, Dalton attribuì il suo difetto ad una particolare colorazione del suo umor vitreo e ipotizzò che la causa fosse familiare, oggi diremmo genetica. Per volere testamentario, i bulbi oculari di John Dalton furono conservati, in modo che i posteri potessero verificare le ipotesi fatte intorno a ciò che oggi è in tutto il mondo noto come daltonismo. Soltanto in Inghilterra, i nobili snob si ostinano a non voler citare il quacchero figlio di un tessitore e chiamano il difetto “cecità per i colori”. 

Torna a “Quaccheri”