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[Lab12] La scelta sbagliata
Erano le dieci del mattino quando bussarono alla mia porta. Non aspettavo nessuno, tanto meno Valerio. Da quando sono andata in pensione le visite sono diventate meno che rare, abito fuori dal centro abitato, ma non è questo il motivo, la colpa è stata solo mia.
Vederlo lì, dritto sulla porta mi fece venire i brividi, era impossibile dimenticare ciò che era accaduto quindici anni prima al suo gemello, Corrado.
A quel tempo loro avevano dieci anni e io ero la loro insegnante.
«Valerio!» esclamai, «Vieni, entra» gli feci strada e ci accomodammo in salotto.
«Maestra, mi scusi se vengo a disturbarla, ma adesso che sono diventato Vice Commissario vorrei tornare a indagare sulla scomparsa di mio fratello. Sarebbe disposta a darmi una mano?»
«Oh, Valerio sei ammirevole, non so come io possa esserti d'aiuto, ma conta pure su di me. Volevo bene a quel birbante, e il dolore per la sua scomparsa non è mai passato. Tua mamma come sta?»
«Male, da allora non si è più ripresa.»
«Povera donna, posso capirla.» In realtà non potevo capirla affatto, chi non ha figli come me, non conosce l’apice di quel dolore. «Ti preparo un caffè?»
«Grazie, lo accetto volentieri.»
Andai a prepararlo, tornai con tazze e biscotti.
«Ricordo le sue lacrime al fianco di mia madre.» Disse Valerio con gli occhi bassi.
«Anch’io in un certo senso avevo perso un figlio.» Poi «Come pensi di procedere?» domandai mentre tremavo porgendogli la tazza «Scusa, alla mia età si comincia a essere malfermi e vederti mi ha reso ancora più instabile. Scoprire ciò che è accaduto a tuo fratello darebbe un po’ di pace a tutti quanti, anche a me.»
«E ciò che intendo fare, verrebbe domani a scuola per ricostruire ciò che accadde quel giorno?»
«Non posso negare che la sola idea mi faccia star male, ma ho detto che ti aiuterò e non mi tiro indietro.»
«Bene, passo a prenderla domani mattina alle 11,00.»
Finì di bere il caffè e andò via.
Il tremore mi rimase addosso per tutto il giorno, e la notte non riuscii a dormire. Pensavo alle ricerche che si erano protratte per settimane e settimane, alle fiaccolate, al pianto disperato della madre e mio quando fu chiaro a tutti che era inutile continuare a cercarlo. Mesi terribili che segnarono per sempre la comunità.
Il nostro è un piccolo paese ai piedi di un monte, una zona tranquilla senza particolari attrattive, tanto da non essere nemmeno meta di turisti.
Dal giorno della sparizione ognuno di noi divenne sospettoso dell’altro, nessuno si sentì più al sicuro. Le congetture su chi lo avesse rapito furono tante, troppe per potere arrivare alla verità perché tutte erano senza un reale fondamento.
Nel delirio delle accuse venne sospettato persino il padre dei due ragazzi. Si disse che poteva essere era stato lui per toglierlo alla madre con la quale, da due anni, non aveva più contatti.
La scuola era identica ad allora, anche il bidello era lo stesso, ci accolse con enfasi: «Maestra Di Liberto come sta? E tu Valerio? Che ci fate qui?»
«Ciao Edoardo, sono venuto con la maestra perché ho intenzione di indagare su cosa sia accaduto quel giorno a mio fratello. Allora ero troppo piccolo, ma oggi spero di riuscire a fare luce sul caso. Sei disposto a darmi una mano anche tu?»
«Certo, Valerio, tutto ciò che vuoi. Trova quel bastardo e lo ammazzo con le mie mani.»
Saliti al secondo piano dove c’era la nostra aula, ci fermammo davanti alla porta e io cominciai a raccontare: «Erano circa le 10,00 e, come ben sai, tuo fratello mi chiese il permesso di andare in bagno; dopo un quarto d’ora non era ancora rientrato. Andai a cercarlo. Dai bagni usciva Pietro Sanni un alunno della IV° B, gli chiesi se lì c’era Corrado, mi disse “sì” ma si corresse subito dicendo “no, no, in bagno non c’è nessuno.” Ricordo che la cosa mi stupì. Andai lo stesso a controllare, aveva ragione, Corrado non c’era.»
Rifacendo lo stesso percorso di allora continuai a raccontare: «Aprii tutte le porte, niente, nessuno. Ripassai dalla classe, vi dissi di fare silenzio perché andavo a cercare Corrado, ovviamente cercavo anche Edoardo che non era qui al piano. Scesi al primo e trovai Edoardo sulla scala, stava avvitando una lampadina, gli chiesi se aveva visto Corrado, mi rispose di no e gli dissi di aiutarmi a cercarlo. Insieme andammo in biblioteca, nei bagni degli insegnanti, in tutti i posti possibili, nelle classi no, non poteva essersi nascosto lì, ma niente non si trovava. Abbiamo pensato a uno dei suoi soliti scherzi, ma i minuti scorrevano e la mia classe era sola, lasciai Edoardo a continuare le ricerche, decisa a mettere una bella nota a tuo fratello.»
«Lo cercai dappertutto quando capii che era sparito avvisai la Preside» concluse Edoardo.
«Le finestre erano aperte?» Chiese Valerio.
«Sì» rispose il bidello. E io aggiunsi: «Era una bella giornata di primavera, la scuola stava per finire.»
Valerio si avvicinò a una delle finestre sul corridoio, si sporse; la scala antincendio correva proprio vicino allo stipite.
«Non trovandolo abbiamo pensato che qualcuno poteva essere entrato da lì per rapirlo» disse Edoardo.
«Portare via di peso un ragazzino agile più di una capra giù per la scala antincendio contro la sua volontà?» Valerio scosse negativamente il capo.
«L’alunno della IV° B mi aveva risposto quel “sì” che poi si era rimangiato» mi intromisi. «Lo dissi alle autorità. Di solito la risposta istintiva è quella che contiene la verità. Non mi presero in considerazione. Qualche giorno prima avevano pure litigato in malo modo. Eri corso tu a separarli, ricordi?»
«Sì, però architettare una sparizione senza più il ritrovamento non è cosa da bambini» disse. Valerio, poi chiese a Edoardo: «Dal cancello esterno qualcuno poteva entrare?»
«Non senza suonare il campanello, iniziate le lezioni il portone viene chiuso.»
«Però si può uscire.»
«Beh, sì, anche se io sono tenuto ad accorgermene. Però Corrado potrebbe essere uscito mentre ero nel magazzino a prendere la scala, i tempi sarebbero compatibili. Quel giorno ero solo, la mia collega era assente perché la madre doveva subire un intervento.»
«Ma Corrado non poteva sapere che tu in quel momento eri in magazzino e non nei paraggi della portineria» rifletté Valerio in un sussurro.
Finito il giro e la mia narrazione Valerio disse: «Credo che per oggi sia tutto. Grazie Edoardo, se avrò bisogno di qualche altra informazione verrò a disturbarti.» Poi, rivolgendosi a me: «Andiamo, la riaccompagno a casa.»
«Che idea ti sei fatto?» Domandai durante il tragitto. Io, se possibile, ero ancora più scombussolata del giorno prima, rivivere quelle ore d’angoscia non era stato facile, sebbene abbia cercato di mantenermi lucida e collaborativa, a tratti mi sentivo svenire.
«Mio fratello sembra sia stato rapito dagli alieni, qualcuno ha avuto il coraggio di avanzare persino questa ipotesi, tanto assurda è stata la sua sparizione. Lei cosa ha fatto dopo?»
«Quando, nel pomeriggio, si crearono le squadre per la ricerca volevo aggregarmi anch’io, ma il Commissario dell’epoca mi disse di tornarmene a casa, che non sarei stata d’aiuto, ero troppo provata. Aveva ragione. Era uno di quegli eventi che pensi non possano mai accadere nella tua vita e invece…»
«Sì, ho parlato anche con lui, non si dà pace per non avere mai ritrovato Corrado. È insopportabile non avere nemmeno un corpo su cui piangere.»
«Ai tempi il Commissario venne da me tre, quattro volte, cercando qualche dettaglio che potesse essere utile, non riuscii ad aiutarlo.»
Valerio dopo la visita a scuola cominciò a venirmi a trovarmi ogni giorno, presto mi resi conto che le sue non erano visite di cortesia. Non avevo niente da aggiungere a ciò che gli avevo detto già cento volte, ma lui insisteva, insisteva, insisteva; era diventato un tormento. Provai a dirgli che non stavo bene, che parlare a lungo mi stancava, ma lui non sentiva ragioni. Ad ogni sua visita il mio tremore aumentava sempre di più. Lui si aggirava per le stanze alla ricerca di non so cosa, fissava le foto sui mobili, c’era anche quella della loro classe, di quell’anno maledetto. Non avevo idea di cosa immaginasse di potere trovare in casa mia.
«Sa che ho scoperto che questa casa è stata costruita su un vecchio rifugio antiaereo della seconda guerra?» A questa affermazione la tazza con il caffè mi sfuggì dalle mani e finì sul tappeto.
«Credo che lei abbia parecchio da dirmi» disse puntandomi l'indice contro.
Ero stanca, non ressi più a tanta pressione. Avevo sperato di morire in quegli ultimi giorni, ma era evidente che non potevo andarmene senza rivelare la verità.
«Come hai fatto a capirlo?» Gli chiesi.
«Ho osservato la sua reazione quando mi ha visto la prima volta che sono venuto, sulla porta è sbiancata e poi quel tremore, tipico di chi ha paura. E perché avrebbe dovuto avere paura di me? Anche il Commissario a quel tempo ebbe qualche dubbio su di lei, non tanto per sospetti oggettivi, ma per il suo comportamento. Notò che, dopo l'accaduto, lei si chiuse del tutto in se stessa, a parte le ore trascorse al lavoro non fece più parte della comunità. Certo, la causa poteva essere una normale reazione all'evento; in fondo, era stato un trauma anche per lei.» Poi strinse gli occhi e in tono minaccioso incalzò: «Mi dica la verità su come sono andate le cose.»
Chiusi gli occhi, feci un respiro profondo: «Il suo è stato un gioco da ragazzi che ci ha rovinato la vita.» Non riuscivo ad andare avanti, ma gli occhi di Valerio puntati su di me esigevano risposte. «Quel giorno» ripresi «all’imbrunire, mentre tutto il paese pattugliava i dintorni alla ricerca di Corrado, lui si presentò a casa mia e, con la sua solita faccia da birbante, mi disse “sono riuscito a farle un altro scherzo colossale”. Rideva come un matto. Lo sai quante me ne aveva combinate, la gomma da masticare attaccata alla sedia mi aveva rovinato la gonna di velluto, la lucertola sulla cattedra mi aveva fatto venire quasi l’infarto, e grazie all’ombrello incollato con l'attak mi ero colata e buscata una febbre durata venti giorni. Andai fuori di testa, presi a picchiarlo con rabbia e violenza, non se l'aspettava, non reagì. Non potevo lasciargliela passare liscia, non questa volta. Decisi di castigarlo. Lo afferrai per il braccio e lo chiusi giù nel rifugio. Lo lasciai lì, pensavo di tenerlo in castigo un paio d’ore, dopotutto un’ora più o un'ora meno non cambiava nulla, e il castigo se lo meritava.
Feci la scelta sbagliata perché mi misi sul divano e, stremata com’ero, dopo un po’ mi addormentai.
Il mattino seguente mi resi conto della follia che avevo commesso. Avevo sequestrato un bambino mentre tutto il paese lo stava cercando. Avrei perso il lavoro, la stima di tutti. La sua marachella era perdonabile, il mio comportamento invece era un reato. Mi avrebbero accusata di averlo traumatizzato lasciandolo chiuso al buio per tutta la notte. Lo avevo pure picchiato, lasciandogli di certo qualche livido. Come potevo giustificarmi?»
Valerio mi guardava con gli occhi sbarrati «Sì, è andata proprio così» ammisi.
Non osava chiedere cosa fosse accaduto dopo, che fine avesse fatto suo fratello, mi afferrò per le braccia scuotendomi con violenza, gli occhi inferociti, non riusciva a parlare.
«È vivo» dissi, «lasciami e te lo mostrerò.»