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Re: Afrodisiaca, bellissima e...terribile

Ciao @Bardo96 

E' una storia autobiografica. Surreale, suggestiva forse ma reale. Parlo di me e per me. 
Ho deciso di condividere per leggere commenti costruttivi come il tuo. Sei stato prezioso per quanto riguarda la storia...quella reale.
Di più non posso aggiungere.

Grazie infinitamente ed alle prossime vele spiegate
Atlab

Afrodisiaca, bellissima e...terribile

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Afrodisiaca, bellissima e….terribile


Trapelava dal parabrezza un singolo raggio di sole. Vento da un finestrino appena socchiuso. Sui tuoi capelli si disegnava un intrico di luce di adorabile complessità.
Te ne stavi seduta e composta quasi a sfiorare il sedile, lo sguardo fisso sulla strada. Mi offrivi un solo lato del viso, sorridendo, mentre parlavi della tua quotidianità. 
Avevo sempre desiderato starti accanto. La circostanza imprevista riuniva frammenti di pensieri che accompagnavano le mie notti insonni. Sei sempre stata nella mia testa, l’ultima immagine della sera e la prima del mattino. Non avevo mai osato chiedere il permesso di sognarti, un rifiuto sarebbe stato insostenibile. Così continuai a farlo senza immaginarne le conseguenze.
Un passaggio in auto, solo questo. Il pretesto per dirti di sì. Forse avevo insistito per dartelo oppure eri stata tu a chiedermelo. Non ricordo. Ormai ero solo concentrato ad annullare me stesso per apparire neutro e distaccato. Non volevo tradirmi e farti capire cose che, forse, avevi già intuito.
Concentrato a guidare, mi giravo ogni tanto a guardarti, indeciso se essere rapito più dal taglio degli occhi o dall’angolo sfizioso che la tua bocca dipingeva sulla guancia. Fingevi di non accorgerti di nulla mentre continuavi a ignorarmi e io a pensare che eri bella come una giornata calda d’autunno.
L’auto procedeva sicura sulla strada affrontando una piccola curva. In quel momento ci girammo insieme e ci guardammo per un istante. Cercai di comunicare con i tuoi occhi per dimostrarti quanto sarebbe stato bello incrociare i nostri sguardi tutti i giorni e vivere l’uno per l’altra. Se mi avessi notato, avresti saputo che i cuori che non si toccano sono destinati ad essere per sempre il centro di galassie lontane. 
Afrodisiaca sarebbe stata la mano che stringeva la mia. Finalmente una sinapsi tra noi. Ma non successe, non poteva succedere tra due cellule così distanti. Eppure continuai a sentirmi come quel raggio di sole che ti aveva colpita disegnando un morbido cuscino su cui il tuo viso poteva riposare. Stupido, non potevo pensare a nulla di più sbagliato. Non avevo il diritto neanche di sfiorarti col pensiero e continuai a comportarmi con tenero distacco nei tuoi confronti. 
I miei sensi questa volta si concentrarono sulle parole che pronunciavi.
Bellissima la voce che invadeva il piccolo spazio dell’auto, riuscivo a filtrarla dall’ambiente circostante facendone un segreto da custodire, la perla da difendere. Mi accorsi, per la prima volta, di esserne totalmente dipendente. E aveva la stessa intensità di un’onda del mare che accarezzava la sabbia silenziosamente, inevitabile e sincera.
Le tue mani sottolineavano i discorsi che facevi con piccoli movimenti gentili quasi per non offendere l’aria che sfioravano e dare troppa enfasi alle parole. Le guardavo muoversi e avrei voluto trattenerle per ricoprirle di piccoli baci e inebriarmi del loro profumo. E poi, all’improvviso, chiudere gli occhi e lasciarmi trasportare in un universo parallelo e dolce dove saremmo esistiti solo noi due. Almeno per qualche secondo.
Continuai a guidare rammaricandomi perché presto avremmo raggiunto la meta e ti avrei lasciato andare come quel vento che ti sfiorava i capelli. 
C’era ancora della strada da percorrere e cercavi di essere gentile con me come per ripagarmi, in qualche modo, della mia disponibilità. Il capitano della nave va sempre assecondato.
Spesso l’indifferenza che mostravi mi aveva ferito, troppo. Alcune volte ti avevo evitato di proposito poiché pensavo mi odiassi profondamente. Altre, cercavo il tuo viso con l’impazienza di colui che ha tante frasi da dire ma nessuna voce per pronunciarle.
Il caso ci aveva fatti incontrare, colleghi in uno spazio troppo piccolo per stare lontani. Ricordo ancora la prima volta che ti conobbi. Notai gli occhi e i capelli lunghi e morbidi come il velluto che contornavano il tuo viso. Il suono di mille melodie che dovevo fingere di non percepire nonostante i miei sensi in estasi gridavano tutt’altro e una voce, dentro di me, mi diceva di abbracciarti e stringerti come il nastro che cingeva i tuoi capelli quando li legavi in una coda. Ondeggiava al ritmo del tuo cuore e così, piano piano, conoscevo qualcosa di nuovo di te. 
Rompere il silenzio, avrei dovuto farlo prima che il nostro breve viaggio volgesse al termine.
Terribile fu l’attimo in cui scendesti dalla vettura e mi salutasti in fretta come facevi di solito. Riuscii a prenderti la mano per un paio di secondi. Almeno quella volta. Piccola e calda. Mi accorsi del tuo sguardo fragile, troppo a lungo nascosto dietro l’aspetto da principessa che solitamente mi offrivi. Forse che anche tu avevi bisogno di essere amata e protetta come me?
Neanche allora riuscisti a notare il mio tormento e lo sguardo che ti inseguiva ad ogni passo.  
Ti lasciai andare consapevole che sarebbe stata l’ultima volta che avrei avuto l’occasione di starti così vicino e sentire la tua voce.
Ti lasciai andare restando in compagnia di una lacrima profonda come il mare d’amore che avevo nel cuore.
Ti lasciai andare gridando il tuo nome.
Dentro di me.

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