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Rag Ball - Capitolo 1 Charlotte

Una foglia gialla cadde dal ramo. Tempestivamente. Ondeggiò leggera fino a scontrarsi con una pozzanghera ancora viva. Charlotte si meravigliò per quell’incanto, era talmente bello vedere qualcosa di nuovo che si appoggiò con le sue manine alla grande vetrata della scuola materna. I suoi occhi color nocciola si riflettevano nel vetro scalfito dalla pioggia. Il riflesso della bambina scorreva come un pianto senza fine. Il suo taglio corvino sbarazzino si confondeva con i colli del Winchester.
L’autunno nell'Inghilterra meridionale era da sempre così piovoso.
«Charlotte vieni qui...» Disse prontamente la maestra Wendy.
La bimba non parlava ancora, rimaneva incollata al vetro tappezzato di goccioline fredde. Osservava stupefatta la pioggia cadere. Il suo viso pallido imbrogliava il suo vero stato d’animo. Nessuno sapeva se Charlotte in quell’istante era felice o triste.
«Dai vieni…Non vuoi giocare con me??» Wendy la incoraggiò.
Charlotte Castler era l'enigma della yellow class. Lei era la più fragile tra ventiquattro bambini misti tra maschi e femmine. Le sue maestre la consideravano una bambola di cera, nivea come la neve in pieno inverno.
«Dai, guarda che bella palla colorata che ho, vuoi prenderla?»
Wendy lanciò una palla di pezza vicino al corpo di Charlotte, si fermò come un gomitolo di lana di fianco alla bimba. Da lontano, l’alunna di Wendy assomigliava ad una tenera sagoma che doveva essere fatta a maglia.
«Dai Charlotte prendi la palla...Forza...»
I due corpi rimanevano immobili, la palla di pezza mostrava il suo lato più caldo: l’arancione come il riflesso di un tramonto mentre Charlotte continuava a fissare la pioggia e le foglie cadere. Le sue mani aperte sembravano parare ogni goccia.
Wendy non si rassegnò a quella situazione immutata e priva di senso. Voleva capire, andare a fondo, scavare in profondità quel mondo silenzioso e infantile. Così sconfinò il suo spazio e andò vicino al corpo indifeso di Charlotte. Si avvicinò senza far rumore, come una piuma delicata che voleva accarezzare la pelle di una bambina. Charlotte non si accorse di nulla, continuava a guardare fuori dalla finestra con quegli occhi grandi come le praterie inglesi. La sua maestra amava profondamente vedere quel verde accendere il suo viso, gli ricordavano i fili d’erba in primavera: forti e sani.
Man mano che si avvicinava, la giovane maestra poteva sentire il profumo della bimba: un improvviso abbraccio di latte riscaldò il camice di Wendy.
«Ciao piccola, come stai?» Il sorriso meraviglioso di Wendy la sorprese.
Charlotte si girò di scatto, il suo volto pareva imbronciato come ogni volta che si sentiva circondata da qualcosa di estraneo. I suoi occhioni persi in una nebbia autunnale, fissavano i numerosi quadretti disegnati sul grembiule materno della maestra. Scioccata da quel colore così inteso, Charlotte si rimise a guardare fuori dalla finestra.
«Ehy Charlotte, guarda che bella palla che ho? La vuoi?» Disse con tenerezza.
La voce di Wendy in quell’istante poteva rassicurare il mondo intero, era stata assunta proprio per la sua tenera devozione per i bambini. La giovane maestra aveva preso a cuore Charlotte, sapeva che Charlotte Castler era un caso tosto. Nelle varie riunioni se n’era parlato, tutte le sue colleghe erano a conoscenza della sua condizione famigliare. Charlotte era la figlia di due tossicidipendenti, la più piccola di quattro figli. Tra mille battaglie viveva ancora con i suoi genitori, non fu possibile allontanarla da casa perché più volte la madre reclamò la sua potestà con atti autolesionistici.
Charlotte finì nella yellow class grazie a Wendy che si impegnò personalmente nel suo inserimento in classe, l’obbiettivo principale era far interagire la bambina con gli altri bambini. Un compito abbastanza arduo.
«Dai Charlotte prendi la palla, forza!» Wendy incitò la bambina.
Intanto continuava a piovere interrottamente, oltre il vetro non c’era nessuna speranza di un sorriso. Per terra, le pozzanghere riflettevano occhi spenti e tristi ma truccati in modo permanente da colori accesi autunnali. Questa era la vera forza della natura, resistere alle temperie. Charlotte era come un albero senza foglie e senza obiettivi. Quando Wendy la sfiorò delicatamente con una carezza, apparì gelida più della neve. Per Charlotte, il calore umano era qualcosa di estraneo.
In quel momento, il suo corpicino era contratto, specialmente le sue labbra bianche e screpolate.
«Ehi piccola, come stai?» Le sussurrò dolcemente.
Charlotte girò nuovamente il capo, ma non incrociò mai gli occhi di Wendy. Con una timida smorfia allungò la manina e afferrò la palla colorata che cercò di mordere all’istante.
«No, non è da mangiare Charlotte… Dai lascia, da brava...»
Il mento della piccola si rilassò in un secondo e immediatamente lasciò la presa. Un tonfo ovattato fece felice la maestra che prontamente raccolse la palla da terra. Per lei i giocattoli non dovevano avere nessun batterio, Wendy era rigorosa in questo.
«Ora questa palla la puliamo un po', che ne dici?» Disse la maestra.
Charlotte inclinò la testa all’indietro in segno di dissenso. Sul suo collo, quei segni strani sulla pelle nivea preoccupavano da sempre la maestra Wendy, eritema alimentare presumevano i colleghi, e i genitori confermavano sfacciatamente. Sembravano tutti esperti tranne Wendy. No Wendy non se la beveva.
Un eritema alimentare si risolveva col tempo, i coniugi Castler si sarebbero attivati e in poche settimane avrebbero trovato una soluzione. Invece no, i “problemi alimentari” della piccola non scomparivano anzi aumentavano sempre di più. Le macchie sul collo di Charlotte in realtà sembravano schiaffi netti in superficie. Ogni tanto qualche piega la decorava con un bordino color viola. Gli occhi di Wendy sapevano riconoscere un pizzicotto da uno schiaffo altroché, erano attenti ad ogni dettaglio su quella pelle delicata ma sfregiata con violenza da chi le era indifferente.
«Fa bibi qui, Charlotte?» Chiese Wendy.
Gli occhi della bimba rimanevano incollati sul camice quadrettato della maestra, chissà cosa vedeva Charlotte in quei profili così perfetti. Forse cavalli volanti? Oppure la perfezione materna che lei stessa sognava? Si, perché in un quadrato c’è sempre un contorno perfetto e rassicurante. Forse Charlotte si voleva sentire al sicuro?
Wendy attese a lungo una risposta che non arrivò. Il silenzio della bambina diventò sempre più fitto e disarmante ma mimato da piccoli gesti. Charlotte muoveva le braccia a vuoto, alzate al soffitto. Sembravano volesse essere presa in braccio ma ogni volta che la maestra tentava di prenderla tra le sue braccia, Charlotte si irrigidiva.
«Su Charlotte, non fare così» Disse demoralizzata la maestra.
I minuti passavano senza nessun cambiamento, la bimba continuava ad essere seduta per terra, ogni tanto fissava la vetrata.
Dopo un po' la pioggia cessò, le ultime goccioline trattenute dalle foglie sembravano di cristallo: rigide e scalfite dal freddo. In quell’istante anche Charlotte assomigliava ad una goccia trattenuta dalla vita, fredda e inflessibile.
La maestra fece un altro tentativo con la bimba, prese la palla colorata e la rimise accanto a Charlotte. Non mutò nulla in quella circostanza, due corpi freddi continuavano a restare vicino ignorandosi a vicenda. Una bambina e una palla di pezza colorata.
I colori accendono la fantasia ai bambini, questo è un dato di fatto attestato da ogni psicologo. Le maestre dell’asilo avevano partecipato con interesse ad un convegno che trattava il tema: - Colore ed Emozione infantile -. Un equipe di psicologi specializzati in comportamenti puerili spiegavano come una qualsiasi forma colorata andasse a stimolare la creatività di ogni bambino. Un tono vivace stimola felicità, invece un tono cupo provoca tristezza. Questo era alla base di tutto, il mondo dei bambini doveva essere pitturato con colori tenui e allegri. Questo aveva imparato Wendy e sperava tanto che Charlotte rispondesse a questo stimolo, invece era stato tutto invano. Gli occhi di Charlotte rimanevano incollati alla vetrata, persi come ogni giorno.

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