La ricerca ha trovato 3 risultati

Torna a “L'isola”

Re: L'isola

Grazie @Marcello, in effetti questa cosa degli aggettivi possessivi non l’avevo mai considerata, adesso che me l’hai fatta notare mi sembra pure “ovvia”   :hm:

Aggiungo, giusto per togliere la curiosità anche a @bwv582 che l’aveva segnalata, che l’ultima frase è un richiamo a questa parte del testo
superju ha scritto: come una piccola isola saggia sulla quale si era rifugiato e su cui, senza alcun dubbio, continuava a uscire di casa scalzo per andare a camminare sulla spiaggia
e quindi sta a indicare una libertà riconquistata. Ma evidentemente, se non si capisce o non “arriva” in maniera così diretta come vorrei, andrebbe ripensata  :)

[color defaultattr=]Grazie ancora e alla prossima![/color]

Re: L'isola

Grazie @bwv582 per il tempo dedicato al mio testo. Sono caduta un po’ nello sconforto :s  , anche perché questo era il brano che nella mia cerchia di amici/parenti - che ovviamente NON fanno testo, ma spesso è l’unica cosa che abbiamo - era piaciuto di più… figurati se postavo uno di quelli che manco a loro piaceva    :P
Scherzi a parte, grazie ancora, è davvero utile vedere i propri testi analizzati da una prospettiva diversa

L'isola

Commento: https://www.costruttoridimondi.org/forum/viewtopic.php?p=64703#p64703

L'ISOLA
Quando arrivavo gli ricordavo sempre che giorno era, scommetto che gli altri non glielo dicevano mai. E invece anche un corpo che riposa ha bisogno di comprendere lo scorrere del tempo, è l’unica cosa che sente e conosce.
Per il resto, mi sembrava che tutta la sapienza del mondo fosse conservata in quel respiro, confinato in un letto con le sponde, protetto dalle cure amorevoli di tante api operaie che si alternavano nel ronzargli intorno per aggiustargli quell’angolo perfetto di mare.
Poco sopra il suo letto il lampadario della sua vecchia casa, forse l’unico oggetto che riusciva a scorgere e che per lui avesse ancora un senso; più dei nostri occhi, che non incrociava mai, più delle nostre voci irriconoscibili, così placide e cortesi, come mai sarebbero state se avessimo pensato che fosse davvero lui.
Rumori, pochissimi. Solo qualche sussulto, suo ovvio, riflesso incondizionato o sogno o messaggio che importa, ciò che per noi poteva essere mille cose - a seconda del bisogno della nostra pena - per lui era sempre e solo un tumulto che scuoteva le sue sopracciglia, sempre così innaturalmente contratte, cespugliose e attorcigliate, una piccola rivoluzione in quel volto altrimenti geometrico, dove ogni cosa era sempre al suo posto.
Eppure, io sentivo ancora il suo profumo. Coperto invano dai talchi e dalle medicine, era così che mi parlava, quell’essenza fluttuava nell’aria e sembrava volermi dire qualcosa, in un codice che solo io e lui conoscevamo ma che non ero ancora riuscito a decifrare - questo non glielo confessai mai. In quei momenti mi piaceva immaginare il suo letto, quella scatola da bambino cresciuto, come una piccola isola saggia sulla quale si era rifugiato e su cui, senza alcun dubbio, continuava a uscire di casa scalzo per andare a camminare sulla spiaggia, ad alzarsi presto per fare colazione con l’orzo e il pane vecchio, a indossare maglioni sdruciti ma a essere sempre impeccabile il giorno di festa, a conoscere tutte le leggi a memoria e anche le poesie, a correggere tutti e a cantare in casa le canzoni della chiesa, intonato sì ma senza una bella voce - e chi glielo poteva dire.
E quando mi dissero che era morto, perché me lo dissero, io non lo seppi, lasciò quel suo corpo e quell’ultimo baluardo di esistenza che gli era rimasto, ma l’isola, l’isola su cui si era rifugiato, quel letto che sembrava isolato dal mondo e dalle nostre quotidiane piccolezze (scontrini, verbali, registri, un mare di inutilità necessarie a spiegare i nostri giorni), l’isola non se ne andò con lui.

Mi rimane un letto che non abbiamo voluto cambiare, un profumo sulla vecchia federa che è sempre quello, per risentirlo mi basta scavalcare le sponde d’acciaio per tuffarmi, un po’ corsaro e un po’ vampiro, tra le onde delle lenzuola, stropicciate e increspate come il mare.
Chissà quanto a lungo può durare un odore, un’essenza di cui vorrei far impregnare la mia pelle, i miei capelli, i miei vestiti - per non cambiarli più. Ma non ci penso, e rimango ben disteso  con la schiena su quest’isola, a fissare un lampadario.

E il mare non è solo questa stanza, il mare diventa tutta la casa, tutto il palazzo è sommerso dall’acqua, il quartiere è un oceano, è tutta nostra la marea.

Usciamo e camminiamo scalzi.

Torna a “L'isola”