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Re: [MI 173] Il peccato di frate Jordano

Ciao @Bob66 
Ti ringrazio per la tua attenta analisi, che mi ha molto colpito. Hai ragione sul fatto che ho voluto rappresentare due mondi opposti, quello del vecchio frate e del brillante e corrotto rettore del seminario. Mondi opposti ma che hanno la stessa origine, dalla quale frate Jordano non si è mai discostato, fino alle estreme conseguenze. Situazione che condivido. Ma, al contempo, anche ecclesiastici come don Fabrizio, pur vivendo in un altro mondo sotto tutti i punti di vista, anche in maniera non conforme al loro status, ritengo che abbiano sempre come un tarlo che li rode, probabilmente la loro coscienza, che non possono tacitare o ingannare.
Si parla di “modernità” che io intendo in senso deleterio (e mal me ne incolse, spesso) in quanto io interpreto la modernità con i segnali di preoccupante, apostolico avvertimento che ne diedero parecchi papi pre conciliari, (intendo il Vaticano II) addirittura ancora prima della rivoluzione francese, della quale ne avevano paventato i prodromi e poi in seguito le conseguenze per la società.
Non che prima nella chiesa ci fosse l’Eden, ma sicuramente c’era ancora il timor di Dio, timore in senso esegetico, patristico; non paura ma rispetto, devozione assoluta alle sue leggi.
Sarebbe un discorso lungo che porterebbe lontano.
Parlavo di tarlo e di coscienza per ecclesiastici come don Fabrizio, ma che gli consentono di andare avanti nella loro strada, in tutti i sensi. Fino a quando incontrano un vecchio come frate Jordano che davanti alla sua assoluta, esagerata consapevolezza di aver potuto peccare, pur senza aver mai fatto nulla materialmente, ma è peccato anche pensare, immaginare… davanti a questa consapevolezza si auto condannano a una vita di privazioni e di reclusione assolutamente spropositata, ma che rende il concetto di purezza di un’anima che si considera peccatrice.
Allora questo tarlo esplode e ritorna in modo totale la consapevolezza di dover rendere conto se non agli uomini, ormai chi più chi meno una massa di complici comprensivi, per usare parole castigatamente civili, rendere conto a Dio, all’entità che abbiamo chiamato Dio.
Nella mia ingenua speranza allora uno come don Fabrizio può rinunciare davvero a tutto ciò di cui ha letteralmente goduto fino a quel giorno per ritornare quello che forse voleva essere in origine, quando decise di prendere i voti. E a questo punto accettare di vivere in una sorta di pre Purgatorio, comunque cambiare vita, non in nome o per conto di uomini ma in nome e per conto di Dio.
Avrei voluto approfondire anche la visione del giovane monaco/angelo che sconvolse i pensieri di frate Jordano, penso che sarebbe stata una bella storia da raccontare, un dolce compendio di disperazione umana e di ineffabile felicità al contempo, ma staccata dal solo pensiero, dal solo giudizio umano.
Qualcosa di più. Non è difficile illustrare tutto un mondo chiuso in un chiostro.
Ma è molto doloroso. Davvero molto doloroso.

Re: [MI 173] Il peccato di frate Jordano

Ciao @Alba359 
molto contento che mi commenti anche in questo vecchio racconto. Le pulci vanno sempre bene...
Alba359 ha scritto: Abolendo ordini va bene ma buttando fuori  non mi sembra appropriato. Da l'impressione che si vogliano buttare le monache sulla strada  fisicamente.
Ho letto tempo fa che alcuni vecchi ordini contemplativi, maschili e femminili, magari conventi con quattro suore o quattro frati di oltre ottanta/novanta anni, ma non solo, anche più giovani, sono stati “sciolti” in quanto qualcuno, non so chi, o meglio lo so ma preferisco tacere, ha ritenuto che quelle suore e monaci di clausura “perdessero tempo” e che dovevano adeguarsi alla società odierna frequentando appositi corsi tipo assistenti sociali… Alcuni si sono rifiutati, per non contravvenire ai loro voti monastici e li hanno messi in ospizi.
Non si può dire che li hanno letteralmente “buttati” fuori dal loro mondo? 
Alba359 ha scritto: L'aspetto imprenditoriale della chiesa mi ha sempre disturbato, ma ci facciamo i conti da almeno duemila anni, pazienza!
Ne parlava già San Paolo, con i termini dei suoi tempi.
Purtroppo, in tutte le società e organizzazioni umane ci sono sempre stati mascalzoni che si coprono le spalle con gli abiti del loro status.
Alba359 ha scritto:
Capirebbe.
Bhè, il soggetto erano i frati, nel senso che, nel ragionamento del prelato, non possono essere utili alla società moderna, che (loro, i vecchi frati) non capirebbero.
Alba359 ha scritto: Una strana conversazione. Non ho capito perchè il prete arrossisce. E anche perchè il prete precisa che deve occuparsi anche degli allievi esterni. insomma io non ci ho letto nulla di male fino alla prima parte. Poi però lo sguardo penetrante del vescovo... mi è restato in significato nascosto, come se tu avessi voluto seminare un mistero che aleggia nell'aria.
Sì. Non sono voluto andare a fondo ma trattandosi che il rettore del seminario è omosessuale (e per la vera chiesa questa non è un’apertura al moderno ma altro…) il vescovo tra il dire e il non dire fa capire al rettore, un personaggio che ha fatto i suoi stessi studi e capisce i doppi e tripli sensi, che lui sa del suo comportamento. E non lo accusa apertamente. Ma sa.
Alba359 ha scritto: Strano questo senso del rispetto che ha il vescovo. All'inizio dice di voler sfrattare, fare pulizia dei vecchi ordini... in prima  lettura pensavo che il centenario serbasse un segreto scottante, qualcosa che nessuno deve sapere, poi, adesso so come va a finre quindi ho pensato che forse il testo crea una promessa narrativa che viene disattesa, Non ne sono sicura perchè io sono solo una che legge, ma gli editor fanno caso a queste sottili sfumature.
Pur essendo un  affarista che si copre la spalle con l’abito talare, personaggi come lui hanno sempre paura davanti a uomini che sono il loro opposto. Dice rispetto, ma forse si tratta di paura. O un sottile richiamo della coscienza che forse, avendola dovuta studiare, sa che incombe suo malgrado.
Alba359 ha scritto: Curioso come questo passaggio mi abbia fatto capire quanto poco so dei preti e delle loro carriere. Non avrei fatto caso a questa frase se la frase recitasse: sapeva di essere uno degli  avvocati più brillanti
Cosa fanno per mostrarsi più meritevoli e brillanti i preti? non ne ho prorprio naessuna idea e adesso la curiosità mi rode.
Ma a parte questa mia riflessione scema hai delineato la figura di questo prete con poche righe sappiamo che ha qualcosa da nascondere, che avrebbe preferito occuparsi dei fatti suoi più che di quelli della curia. Ne viena fuori un personaggio controverso molto interessante.
Oh… io conosco un po’ questo mondo...
Considera che tutti partono uguali al seminario, ma non tutti diventano vescovi, ancora meno cardinali e solo uno papa. (Considera anche chi non ha più coraggio nel continuare la sua scelta e abbandona il seminario non vivrà mai una vita felice. Avrà sempre quel rimpianto).
Qualcuno deve avere qualcosa in più degli altri, a livello di carisma personale, (molto importante: o lo si ha o non lo si ha), deve compiere studi, esperienze, azioni nella sua comunità; alcuni emergono, altri sono solo funzionari. Chi emerge nel suo ambito fa "carriera".
Alba359 ha scritto:
 Bellissimo passaggio. Breve e delicato Hai portato in evidenza la sua situazione senza troppo rumore.  Apprezzo molto che si scriva di quelle che chiamano Diversità con le stesse parole che si userebbero per qualsiasi altra situazione simile.
Mi piace che tu, e anche altri, abbiate apprezzato questo passaggio.
Alba359 ha scritto:
 Strade con buche? i fossi per me sono canali di campagna, quasi dei torrenti.
Sì, vero. Dalle mie parti per fosso si intende anche un buco piuttosto largo e profondo sulla strada. Però in italiano hai ragione tu.
Alba359 ha scritto: non si può immergere un'auto nell'erba, a meno che questa non ricopra la macchina del tutto o per una buona parte.
Allora capitano tutte a me… Quando rimango a lungo senza andare alla mia vigna la strada sterrata privata che mi conduce lì è invasa da erbacce e devo letteralmente immergermi in mezzo a loro con la macchina per andare avanti…
Alba359 ha scritto: In pratica l'hanno già sfrattati sti poveri frati, altro che rispetto!
Possono non avere soldi e le società di erogazione acqua e luce non guardano in faccia nessuno.
Alba359 ha scritto: mi ha affascinato: il contrasto con la modernità del giovane prete e le convinzioni del centenario, due mondi nati nello stesso universo, davvero una storia su cui riflettere.
Il senso del peccato dipende da chi da la punizione. Ai tempi del giovane frate si doveva avere la sensazione di essere dei mostri soltanto per aver guardato l'amore sotto un raggio di sole, Il prete, invce, si sente in colpa, prova vergogna al pensiero di essere scoperto ma è consapevole della sua umanità che comprende anche l'amore provato verso qualcuno.
Mi è piaciuto davvero moltissimo,  soprattutto per le riflessione a cui mi ha portato.
Grazie per l'ottima lettura.
Anche se non sono il tipo adatto per far riflettere gli altri, sono comunque contento che questo mio misero  testo ti abbia un po’ fatto pensare.
Ciao

Re: [MI 173] Il peccato di frate Jordano

Ciao @pale star 
Ti ringrazio tanto per aver scelto di commentare un mio racconto e per il tuo apprezzamento.
Sì, per un po' ho deciso di autoescludermi dal forum e di conseguenza anche dalla Narrativa, per quanto mi dispiaccia. Ciò non vuol dire che non risponderò a chi commenta qualche mio vecchio testo, la cosa mi fa sempre piacere, ho tanto da imparare nonostante non sia più un giovanotto.
I motivi del mio starmene da parte non c'entrano con la Narrativa, che amo tanto; sono sorti dei contrasti con persone che in Narrativa per fortuna non hanno a che fare e lo sbaglio è stato solo mio nel pensare di voler dialogare di temi d'attualità. È notorio che io non la penso come la maggior parte di tutti, i miei pensieri, la mia visione, le mie analisi del mondo moderno che vanno a risalire alle origini  delle cose non piacciono e  ogni volta che le esterno interviene qualcuno a farmi la disamina, considerandomi un provocatore nazista da bannare e denunciare. Inutile aver spiegato che mio padre era stato internato nei lager nazisti, come inutili altre mie spiegazioni, ulteriormente scambiate per provocazioni... Inutile.
Alla fine mi sono stancato di queste persone. Hanno vinto loro. Spero si sentano "liberi" nel loro mondo al quale non voglio appartenere, ma dal quale non ho certo mai inteso bannarli.

Scusami se ho approfittato del tuo commento per parlare di me.

Sono rimasto colpito che la persona a cui hai dedicato un romanzo non ti abbia risposto.

Il mio contatto con il mondo ecclesiastico è una vecchia storia con cui non ti tedierò. Avrebbe dovuto finire (o meglio: iniziare) come nel filmato che ho postato in un commento sopra e ti assicuro che il non averlo fatto mi ha reso per sempre la vita infelice. Forse anche per questo posso sembrare ottuso nelle mie convinzioni, ma non è ottusità: è amarezza nel vedere l'indifferenza  e la mistificazione degli altri.
Nel racconto ho usato volutamente il latino, so che ora la formula non si usa più ma io la preferisco e l'ambientazione potrebbe essere certamente datata qualche decennio indietro. Preconciliare di sicuro.
Il dialogo con il vescovo l'ho immaginato avendo in mente atteggiamenti di alcuni di loro ai quali ho anche assistito per motivi di lavoro o di mie ricerche personali e se non avessero avuto la talare potevi benissimo scambiarli per uomini d'affari o manager qualunque, interessati solo ai loro affari. Non sono tutti così ad ogni modo.
Il mio intento era, come hai giustamente notato, di rendere il personaggio antipatico.
Il fatto del dire e non dire, il grave peccato di don Fabrizio che faccio intravedere fra le righe è una mia peculiarità. In questa come in altre occasioni, per la mia mentalità, non amo dire certe cose per me scabrose in maniera esplicita anche se penso che dirle  e non dirle, cercare di far trasparire, possa rendere i fatti ancora più tremendi, inquietanti.
Il mio pensiero riguardo a certi atteggiamenti è conforme a San Paolo, lettera ai Romani 1: 26,32.

Il tuo giudizio, la tua attenzione e benevolenza per questo mio testo che in fondo si può scrivere meglio, mi ha fatto piacere e mi è stato di grande utilità per rivedere il tutto e di questo ti ringrazio.

Re: [MI 173] Il peccato di frate Jordano

Ciao @Adel J. Pellitteri e grazie.

Mi ero ripromesso di non intervenire più nel forum per un po’ di tempo, e così farò, ma non posso esimermi dal rispondere a MI scritti in precedenza, non potevo fare finta di niente a un commento gentile come il tuo.
Spero questa risposta non ti sembri troppo strana.  Mie fissazioni chiaramente, non farci caso.
Il fatto è che spesso nei racconti ci metto il mio modo di pensare, le mie idee sul mondo e sulla vita con integrazioni di filmati in quanto intendo la Narrativa un’arte a tutto tondo con anche inserimenti e suggestioni esterne.
Ma si tratta di idee che esternate in altre sezioni non godono di grande favore, nel migliore dei casi vengono ridicolizzate, demonizzate e mistificate.
Ho vinto il primo Labocontest con il racconto, inventato ma su basi reali, della fucilazione di un ragazzino nazista, e nessuno mi ha maledetto. Se ne parlo in altre sezioni tutti a darmi addosso…
Scusami, sono amareggiato.
Condivido le tue notazioni, mi sono molto utili. Come in questo caso, dove il peccato, che non metto tra virgolette perché di peccato si tratta, con il pensiero o con le azioni, non ha nessuna scusante per me. Il confessore è un grande peccatore, lo sapeva e davanti alla convinzione del vecchio frate di essere lui un peccatore, quando in fondo si tratta solo di un pensiero ingenuo, si rende conto in pieno delle sue azioni e fa ammenda, decidendo di cambiare il corso della sua vita.
Certo, ci sarebbe voluto maggiore spazio o uno davvero bravo nel sintetizzare questi enormi dilemmi e sentimenti.
Ti ringrazio ancora per il tuo intervento e per le belle parole sul racconto e sulla scrittura; mi hanno fatto piacere e mi hanno fatto vedere le cose in maniera diversa.

Re: [MI 173] Il peccato di frate Jordano

Grazie @Almissima 
Naturalmente il racconto, oltre a essere più lungo necessita di ulteriori ritocchi. Non mi piace molto scrivere o riscrivere con il tempo contato...  :)

Grazie @L'illusoillusore 
L ha scritto: Temi banali no, eh?
Ti giuro che talvolta ci ho provato. Ma è iniziata con due bambini che giocavano in un cortile per arrivare alla fine che in realtà erano il Bene e il Male che si contrapponevano sotto forma umana...  :D

Ti do ragione che al racconto manca qualcosa, praticamente tutto. Il contesto, ambientazione e personaggi non riesco a condensarli e molto si perde o diventa incomprensibile.
Vabbè, la prossima cercherò di sforzarmi di più.
Ciao

Re: [MI 173] Il peccato di frate Jordano

Ciao @Poeta Zaza 
Ti ringrzio per la lettura e il commento e per avermi segnalato gli immancabili errori che puntualmente faccio; devo rivedere e correggere.
Ti ringrazio anche per l’apprezzamento, sempre gentilissima.

Grazie @Modea72 @
Ti do ragione per il finale, che avrebbe avuto bisogno di maggiori spiegazioni e approfondimenti. Lo spazio e il tempo negli MI sono sempre categorici.

Ciao @bestseller2020 
Spero vada tutto bene.
Anche io ho avuto a che fare con i frati, sia pure non in maniera diretta, ma fin da sempre li ho ammirati, sono cresciuto con le loro storie e con le vite dei loro santi. Mi è rimasto però un profondo vuoto nel cuore, un desiderio inappagato, non ascoltato a sufficienza…
Ti do ragione che in fondo il finale del racconto non è grande cosa, mi ostino sempre a voler condensare tutto quello che voglio dire nello scarso spazio degli ottomila caratteri.
Come dici tu, ne sono accadute di storie di frati che poi alla fine si veniva a scoprire che non erano frati, in alcuni casi storie molto interessanti.
Ho lasciato i puntini di sospensione circa un desiderio inappagato.
Questo rende l’idea. Mi da sempre tanta forza vederlo.

Re: [MI 173] Il peccato di frate Jordano

Ciao @Kuno 
Ti ringrazio per la lettura e il commento, era da un po' che non ti vedevo...
Il limite dei caratteri per me è stato sempre troppo limitante, ho difficoltà per i racconti, ma così è.
Avrei voluto scrivere e descrivere davvero molto di più, perchè c'è molto da dire, comunque pazienza, mi piace partecipare anche per scambiare quattro chiacchiere.
In quanto al peccato dei due religiosi, San Paolo è stato molto chiaro nelle sue lettere, non ci potrà essere perdono o comprensione senza il pentimento, il totale cambiamento della propria vita, come in effetti sarà per il religioso che è davvero un peccatore, il frate è solo un'anima candida in preda alla disperazione, per me è già perdonato in partenza.
(Per restare sul fatto che quel peccato nasca dallo stesso seme, se vogliamo).
Non sempre è piacevole descrivere di queste situazioni e mi rendo conto che al giorno d'oggi un uomo intransigente come San Paolo non piaccia molto. Ma analizzando la sua vita, si capirebbero molte cose.  Infatti è il mio santo preferito.

Grazie @ScimmiaRossa 
Condivido le tue notazioni, mi sono molto utili e anche il fatto che la storia non sia delle più originali,  ci sono molte storie del genere, ambientazioni varie, e  inoltre avevo scritto qualcosa di simile nel WD, nel lontano 2009.
ScimmiaRossa ha scritto: Ho molto apprezzato come ci hai fatto capire che il protagonista trasgredisce al voto di castità senza dircelo esplicitamente.
Quanto mi avvicino a questi paraggi sono sembre bravo a divincolarmi. 
Ti ringrazio per l'apprezzamento.  

[MI 173] Il peccato di frate Jordano

Terza traccia: Il segreto.

commento: C18
― Mi dispiace darle questa incombenza, don Fabrizio.
― Non si faccia scrupolo eccellenza, ci mancherebbe ― rispose il prete seduto davanti alla scrivania del suo vescovo.
― Il fatto è… lei saprà, che dobbiamo chiudere il convento di santa Jela.
― Lo conosco di fama. Un rimasuglio del passato.
― In effetti fu fondato mille anni fa. La struttura è fatiscente ma con dei fondi appositi possiamo ristrutturarlo.
― Per fondare un altro convento?
― Ma ci mancherebbe! Stiamo abolendo e buttando fuori tutti i vecchi ordini di monaci e monache di clausura! Aria! Bisogna uscire dalle vecchie mura e buttarsi in mezzo alla gente, impregnarsi dell’odore delle pecore, darsi al sociale. L’idea è di farne un convitto, un ostello.
― Ottima idea. Almeno si guadagna qualcosa.
― A parte il guadagno, abbiamo un problema. Dentro al convento ci sono ancora una mezza dozzina di vecchi frati. Non possono essere utili nella società moderna, che nemmeno capirebbero. Perciò ho deciso, sia pure a malincuore, di ricoverarli in un ospizio apposito.
― Volete che me ne occupi io?
― Sì. Siete il più affidabile e portato per queste cose.
Don Fabrizio chinò con deferenza la testa.
― Quando devo agire?
― Prima di agire, ecco l’incombenza di cui le parlavo, lei dovrebbe recarsi al convento in veste di confessore.
― Confessore? Sono anni che non confesso.
― Lo so. La direzione del seminario l’assorbe molto a quanto pare, nonostante la scarsità di vocazioni.
― Consideri anche gli allievi esterni…
― Considero tutto don Fabrizio. Le assicuro che considero tutto.
Nel dire queste parole il vescovo lanciò un’occhiata penetrante sul viso del prete, che arrossì e accavallò le gambe.
― Dovrà confessare un vecchio frate malato da tempo. Veramente non muore mai, gli è già stata amministrata diverse volte l’estrema unzione in questi ultimi due anni, ma è sempre lì. Quando se ne sarà andato potremo trasferire gli altri frati.
― Si tratta del priore?
― Non hanno priore. È un frate quasi centenario, un semplice frate, molto rispettato. Con la scusa della confessione si accerti come sta, come la pensa, come la pensano gli altri frati, se sono propensi a trasferirsi dopo la morte del loro confratello. Se ancora non li ho fatti sgombrare è solo per una sorta di…
― Pietà?
― Rispetto. Vada, sondi il terreno e mi faccia sapere.
Don Fabrizio tornò al seminario. Era scocciato da questo incarico e non gli era piaciuto lo sguardo del vescovo; sicuramente sapeva qualcosa, ma difficilmente lo avrebbe accusato di alcunché. Sapeva di essere uno dei preti più brillanti della curia e personalità molto più in alto del vescovo, religiose e laiche, lo avevano in particolare considerazione.
Sentì bussare alla porta della sua camera; un tocco leggero, timido, che riconobbe con un tuffo al cuore, misto di ansia e di gioia. Andò ad aprire.
Il convento di santa Jela, un ammasso di mura scalcinate, sorgeva all’estrema periferia della città, circondato da prati rinsecchiti, rifiuti di ogni genere, file di condomini grigi e fatiscenti con lo sfondo di un cielo grigio da fine del mondo conosciuto. Intorno una rete di strade piene di fossi che a tratti apparivano sterrate. Parcheggiò a malincuore la macchina adiacente a un muro sbrecciato che tagliava a metà le mura del convento, immergendola in mezzo a delle erbacce.
Venne ad aprirgli un frate che sarebbe apparso bene in una stampa di secoli addietro, in un paesaggio dove incombeva la peste, talmente appariva emaciato, sporco e dolorante.
Don Fabrizio si presentò e il frate lo guidò, zoppicante, attraverso un corridoio che sbucava in un patio con un cortile interno e un pozzo centrale, un angolo che un tempo doveva essere stato fiorente a giudicare dalle numerose siepi incolte e stentati alberi da frutto.
― Avevamo anche un orto, ma è faticoso tirare l’acqua dal pozzo per annaffiarlo… ― disse il frate con una voce cantilenante.
― Non avete l’acqua corrente?
― No. Ce l’hanno tolta. Sia fatta la volontà di Dio.
Attraversato il patio entrarono sotto un lungo portico che si perdeva in altri portici più avanti. Salirono delle scale di pietra arcuate dal cammino dei secoli, attraversando un lungo corridoio buio.
― Ma perché non accendete la luce?
― Ce l’hanno tolta. Sia fatta la volontà di Dio.
Davanti a una vecchia e pesante porta borchiata, che starebbe stata di lusso se restaurata in qualche facoltosa villa, il frate si fermò umilmente.
― Qui c’è frate Jordano. Sa che è venuto un confessore e noi tutti ringraziamo il vescovo per averci fatto questo dono. Noi non siamo sacerdoti e non possiamo confessarci.
La stanza era piccola, con un letto, un tavolo, una sedia e un attaccapanni. Sul letto stava disteso un vecchio frate dalla lunga barba bianca.
― Questa è la volta buona padre ― disse vedendo il prete.
― Mi dispiace che dopo, tutto questo sparirà per sempre. ― Indicava in alto e intorno a sè.
― Non tanto per me, ma per i miei fratelli. Sia fatta la volontà di Dio. Questa è la volta buona padre.
― Perché dici che è la volta buona?
― Sto per morire padre. Sono un peccatore e vorrei confessarmi.
― Sono qui per questo.
― Ancora di più peccatore perché una cosa non l’ho mai confessata prima. Peccatore per sempre. Perché non si siede e non si mette la stola, padre?
― Ah! Certo.
Don Fabrizio si sedette con circospezione sulla sedia indossando la stola viola. Dopo i generici preliminari, che gli venivano in mente a stento, il prete fece delle domande specifiche sul genere di peccato che il frate asseriva di aver commesso.
― Concupiscentia pater.
― Concupiscentia!
― Indegnamente mi sono cinto del cordone. Ho ingannato tutti, ho ingannato Dio.
― Non piangere. E raccontami.
― Sono in questo convento da ottanta anni, padre.
― Quanti anni hai?
― Novantatre.
― Ma…
― Sono entrato a tredici anni.
― Continua.
― Dopo pochi anni, nel cortile dei novizi ne vidi uno che leggeva le Scritture. Non dovevo guardarlo, ma non potei farne a meno. Era un angelo. Il sole scendeva a illuminarlo sotto il patio, sembrava chiamarlo in cielo. Io rimanevo incantato a guardarlo.
― E poi?
Il cielo lo chiamò davvero alla fine. Si ammalò e morì.
― Non capisco…
― Mi ammalai anche io per il dolore ed ero contento, perché così speravo di raggiungerlo e ritrovarlo. Ma guarii. Allora andavo sotto il patio, nel punto esatto dove il novizio si sedeva a leggere e aspettavo che il sole scendesse su di me, come era sceso su di lui. Il sole sulla mia pelle, che era stato sulla sua pelle, quel calore che lui aveva provato, che anche io ora provavo, che mi entrava dentro come un balsamo, che mi scioglieva l’anima, che mi inebriava, mi faceva svenire… Ero con lui padre, capisce? Ero con lui. Volevo essere con lui. Sono andato tutti i giorni sotto il patio, per tanto tempo. Poi ho smesso.
― Perché?
― Perché non era giusto padre. Lo so. Ma ho peccato. Non l’ho mai detto, neanche in confessione. Peccato mortale. Ho cercato di punirmi. Feci voto di non uscire più dal monastero, ho messo il cilicio che mi lacera le carni ed è troppo poco, ho passato intere notti per anni prostrato davanti al Santissimo, interi giorni a digiuno e in preghiera. Per tanti lunghi anni. Ma è niente davanti al mio peccato, al mio silenzio. Merito l’inferno padre!
― Dunque questo è il tuo... peccato?
― Si padre. Sono perduto! Sono un peccatore! Mi dispiace aver ingannato tutti!
― Tu… Voi un peccatore! Voi un peccatore!
Don Fabrizio cadde in ginocchio davanti al frate, con gli occhi pieni di lacrime. Sollevò la mano tremante e disse ― Ego te absolvo a peccatis tuis, in nomine Pater, et Filii, et Spiritus Sancti... Amen.
Frate Jordano sorrideva estatico, gli occhi che già vedevano oltre.
― Dio mi assolve!
― Dio non vi ha mai condannato padre! Vi prego di intercedere per me quando sarete davanti a Lui. Io sono un peccatore! Non siete voi! Prenderò il vostro posto, padre. Non mi basterà tutta la vita per espiare! Che Dio abbia pietà di me!

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