La ricerca ha trovato 6 risultati

Torna a “[Lab2] Un uomo fortunato”

Re: [Lab2] Un uomo fortunato

Grazie @L'illusoillusore 
In efetti ho tentato di esporre una situazione problematica adeguandomi alla mente del protagonista, abbastanza piena di suoi problemi,  cercando di mostrare diversi salti di pensiero e di vedute.
Una situazione un po' complessa da gestire al meglio, non sempre ci riesco, al limite creo qualche scena pittoresca...
Grazie ancora

Re: [Lab2] Un uomo fortunato

Ciao @ivalibri 
Grazie. Sì. molti spunti e generi differenti, troppa roba per un racconto che deve essere articolato, e potrebbe andare, ma con un capo e una coda. Non che sia impossibile, ma bisogna avere una certa padronanza di scrittura e di stesura che io sono lungi dall’avere.
Volevo dire tante cose e non ci sono riuscito come avrei voluto, non del tutto almeno e quel poco andava messo meglio.
Il personaggo è anche un misto di Rambo, ma non pensavo proprio a lui bensì al personaggio di Joker, interpretato da Joaquin Phoenix e al colonnello Kurtz di Marlon Brando in Apocalypse now, roba per la quale non basterebbe una saga, impossibile da riassumere.
Il riferimento, certo incomprensibile, mi rendo conto, a Rembrandt deriva dalle visioni del protagonista che scrive essendo già in isolamento ed è convinto di poter incontrare chiunque, anche Ulisse. Però andava reso in maniera più comprensibile.

Ciao @Nightafter 
Sia assolutamente benvenuta la critica. Non ero convintissimo nemmeno al termine di questo mio allucinato lavoro, al quale ho pure dedicato molto tempo, ma mi sentivo a disagio oltre che per i miei temi truculenti anche per la tematica del contest, per me problematica, per i vincoli temporali e per il numero di caratteri, sempre pochi. Mi sarei dovuto fermare nelle paludi e farci affondare il protagonista, almeno sarebbe morto bene e invece ho voluto farlo tornare alla vita civile da completo disadattato. La cosa è andata avanti in maniera farraginosa e stentata, specie nella seconda parte, ne convengo.
In effetti dovrei anche cambiare argomenti, cerco sempre di convincermi che la guerra è finita, ma non è così, non sono mai riuscito a crederci e ci casco sempre. Non è mai finita e i fantasmi tornano alla mente, travestiti da assurde maschere e pseudo elucubrazioni tendenti a spiegare argomenti che non ci sono riusciti nemmeno fior di filosofi.
Un carissimo saluto

Re: [Lab2] Un uomo fortunato

Grazie @sefora 
Condivido il tuo pensiero, ammetto di essere stato eccessivamente prolisso, mi ci son buttato vista la "quasi abbondanza" di caratteri, che pure  anche in questa occasione sembravano non bastarmi mai.
La guerra a un certo punto dovrà pur finire e subentrare una fruttuosa quiete. 

Re: [Lab2] Un uomo fortunato

Ciao @Monica
Parole molto belle le tue e significative per me. Sì, in questo racconto, su cui ho avuto un paio di giorni per lavorarci, c’è anche qualcosa del mio pensiero e pure della mia esperienza, anche se non è mai giunta ai livelli che ho descritto. Ho forzato e romanzato, come faccio sempre, alcuni particolari e situazioni in cui talvolta mi sono trovato ai limiti e in cui potevano generarsi altre situazioni. Se ognuno di noi estremizzasse lavorando di fantasia scriverebbe capolavori imperituri.
Questo reduce, dalla vita particolare anche prima di essere un soldato, è un essere molto infelice, non vuole raggiungere niente, non vuole cambiare il mondo, non vuole essere redento. Si rende conto che in lui c’è qualcosa che non va, che magari è stato scientemente “programmato” non nel senso letterale del termine ma indirettamente sì, educato in un determinato modo affinché pensasse e si comportasse come poi ha fatto, quasi come una macchina, ma anche le migliori macchine possono avere dei difetti e lui non ha risposto in pieno ai requisiti della “fabbricazione”.
È soltanto un uomo solo, non può e non vuole fare nulla contro il sistema, la società. Non vuole nemmeno sconti o comprensioni, ma si rende conto che avrebbe desiderato vivere una vita diversa, addirittura felice. Non gli è stato permesso, ha scelto di uscire di scena, di chiudere. Quando ha dato di matto poteva finire ucciso, invece lo mettono in isolamento perpetuo, ma lui è abituato da sempre a parlare soltanto con i fantasmi del suo inconscio.
Anche nel posto più chiuso del mondo lui ha la capacità, che non è trascendentale ma una componente caratteriale di alcuni individui, di riuscire a vedere quello che vuole, vivere nel suo mondo perfetto.
Presumo sia qualcosa di poco normale, però affascinante e non bisogna essere dei sanguinari disadattati per applicare una fantasia del genere. A questo punto non vuole e non desidera più interferenze, contatti con il mondo reale, che certo lo ha deluso. Potrebbe barattare la sua situazione ultima se gli venisse consentito veramente di uscire da quel mondo che non ha mai amato, andarsene come Ulisse oltre le colonne d’Ercole, che io chiamo a ragion veduta oltre Antartide. Ma qui sto scrivendo un altro racconto, sto andando sotto la punta dell’iceberg, nel non detto ma nel conosciuto da chi scrive… È un personaggio molto complesso, appena accennato.

Ciao @Alba359 
La distopia non è necessariamente un frutto della fantasia ipotetica. Nel mondo vi sono molte realtà distopiche, peggiori della fantasia. Tu dici che nella realtà nessuno programma i bambini? Forse non singolarmente, forse non in poco tempo, ma un lungo lavoro in questo senso, per programmare una società particolare, in grado di capire o non capire determinate cose, penso che sia stato abbondantemente fatto. Uomini come il protagonista (che non ha nome nel senso che potrebbe essere chiunque), possono credere all’Autorità, possono dedicare la loro vita all’Autorità perché non hanno, non credono di avere altro. Ma quando vengono traditi e abbandonati da chi hanno seguito da sempre, la loro reazione può essere imprevista, perché non potuta programmare. Si insegna a obbedire ai bambini, non a ribellarsi a chi deve dare loro ordini.
Rambo potrebbe essere un esempio, ma c’è anche l’anti Rambo, Tom Cruise di Top Gun, che lotta e reagisce e pur uccidendo dirige la sua forza e le sue capacità contro chi considera un nemico della sua società, del suo ordine, non contro la sua stessa società. Ma a Tom è andata bene. Non sempre è così.
La società non ama i reduci, li evita come la peste, sono la loro cattiva coscienza, la loro ipocrisia, non vogliono saperne o se sono costretti a interessarsene ne fanno dei fenomeni da circo come sempre Tom Cruise nel film L’ultimo samurai, dove all’inizio è un capitano di cavalleria in congedo e alcolizzato che fa divertire la gente in un circo. Poi si riscatta mirabilmente.
Oltre Antartide è un mio modo come per dire oltre il conosciuto, dove dicono finisce il mondo. Per qualcuno andando oltre ci sono altri oceani, innumerevoli terre… Non fanno trasmissioni e non si parla di ciò, ci sono parecchi pazzi in giro che spargono idiozie e quando se ne parla si ridacchia sbeffeggiando i soliti sfigati terrapiattisti.
Sbeffeggiando non si andrà mai molto avanti e alla fine le realtà costruite e costituite crolleranno da sole come un castello di carte.
Alba359 ha scritto: Non ho trovato nessun errore, il testo è ben scritto e aderente al punto di vista: prima persona al passato. Un'ottima storia, come sempre sei tra i migliori.
   Qualcosa da aggiustare ci sarà sempre. Forse un pochino di meno questa volta, considerato che avrò riletto e rimaneggiato minimo una cinquantina di volte… Ma non bastano mai, te lo assicuro.

Ciao @Almissima 
Grazie, onorato del tuo giudizio, ma commenta pure tranquillamente, non sai quanto mi è utile per scoprire i miei difetti.
Io sono l’ultimo da prendere come esempio di perfezione, c’è gente molto più capace di me in questo forum.
Mi piace scrivere, talvolta per compensare il fatto che sono sempre stato un tipo taciturno.

Ciao @aladicorvo 
Accidenti, le tue davvero sontuose parole e giudizi nei confronti di quel pandemonio che ho scritto mi costringeranno a nascondermi per un po’…
Davvero, non sono abituato a ricevere elogi. Certo mi fanno piacere, mica lo nego, anzi ti ringrazio e ringrazio tutti, vuol dire che qualcuno apprezza come scrivo, ma mi sento disorientato. Non credo di aver scritto niente di che, ho avuto qualche giorno per “studiare” meglio, diciamo così, e questo può aver giocato a mio vantaggio.
Grazie ancora.

Re: [Lab2] Un uomo fortunato

Poeta Zaza ha scritto: Dove ti sei avventurato stavolta?  :aka:
Nei giardini dei sentieri che si biforcano... (come scriveva il grande Borges)
In una vita che ne racchiude altre. Nessuna perfetta e tutte a loro modo anelanti alla perfezione.

Poeta Zaza ha scritto: E mi viene da dirti: è una storia da brividi che andava scritta, e la tua penna c'è riuscita, @Alberto Tosciri  (y)
Si è da brividi. E pensa che non è tutto tutto inventato. C'è molta fantasia, assolutamente, ma alcuni piccoli particolari, piccoli all'apparenza, per quanto tagliati e depotenziati dalle esigenze di spazio, sono stati davvero vissuti da qualcuno...

[Lab2] Un uomo fortunato


Dovrei dire che per me è stato facile, ma non è così. Non è mai stato così. Quello che per gli altri era normale, anzi, dovuto, io dovevo lavorare il doppio per averlo; qualcosa non andava. Alla fine della strada dovrebbe essere logico impazzire, ma ho constatato che anche su questo qualcuno aveva dei dubbi su di me, li hanno sempre avuti. Non che io sia un uomo degno di nota, non ho mai fatto niente di rilevante. Ma qualcosa ho fatto. Bastava vedere i miei occhi fin da bambino: tristi, scuri, su un volto con un sorriso sofferente, come presentendo l’infelicità perpetua. Eppure ho vissuto, non posso negarlo. Sì, ma come ho vissuto? Non saprei da dove cominciare, ma se mi chiedete di paludi putride piene di morti sotto un sole infuocato, io so cosa sono da sempre: le ho vissute nel mio cortile di bambino. E se mi chiedete di tutte le città e le guerre del mondo io le ho viste da bambino; se mi chiedete di eroi e rinnegati io li ho impersonati da piccolo innocente, con i miei soldatini di plastica che comandavo nel fango nero delle aiuole irrigate degli aranci. Soffrivo con le mie mani bianche immerse nel terreno nero, bagnato e profumato di morte. Avrei voluto vivere anche l’amore, la pace, la felicità, ma le loro visioni e poi le loro realizzazioni sono state precluse dalla mia vita. Eppure ero ingenuo e pensavo di poter cambiare il mondo. Quando la vita mi ha portato davvero nelle paludi a vedere morire gli uomini intorno a me, su quel dolore c’ero già passato. Un mare di uomini con uniformi color sabbia, coperti di sudore e sangue, uomini che non erano più, che erano vissuti assieme a me, e io che ero stato felice di aver vissuto con loro. Ma non era più un gioco visionario da bambino vivere nei cortili da soldato dispersi nel mondo, con la consapevole attesa sotto il sole durante l’educazione alla morte, l’educazione alla guerra vincitrice, alla madre di tutte le battaglie. Dopo non riuscivo a togliermi il loro sangue di dosso, avrei voluto urlare e pregare, ma avevo scordato tutte le parole. L’unica preghiera possibile era il silenzio della strage, non perché Dio non meritasse invocazione, ma perché avevo capito di non comprenderlo.
Ci volle molto tempo per riprendermi. Lavarono il sangue degli altri dalla mia pelle, ma non poterono togliere il dolore che avevo dentro fin da quando ero nato. Discussero su di me, li sentivo quando pensavano che dormissi in quel letto d’ospedale per reduci. È un eroe? Lo decoriamo? Ha subito danni permanenti? È opportuno?

Un giornalista venne a trovarmi e mi fece un mare di domande, per mesi. La mia stranezza si credeva dovuta ai traumi della guerra, scrisse un libro su di me, ebbe successo. Non lo lessi mai. Comunque a quel punto ero diventato popolare mio malgrado. Il giornalista si occupò della mia reintegrazione nella vita civile. Intervenne anche il governo. Mi fecero avere una casa, mi diedero una rendita, mi levarono la patente perché non ero più mentalmente in grado di guidare un’auto. Quando ero un soldato utile per morire potevo guidare qualunque mezzo in terra, in acqua e in cielo; ora che non servivo più non ero buono a guidare neanche un monopattino. Mi dissero che dovevo avere una donna, ma per finta, e mi diedero una donna finta, cioè vera ma allevata nelle loro scuderie: un’eroina di non so cosa con le labbra enormi che non riuscivano mai a chiudersi. Si chiamava Olga, poveretta. E tutti vissero felici e contenti verrebbe da dire. Era uno spettacolo penoso nell’insensata gioia generale. Per fortuna sapevo di non avere diritto nemmeno a quella parvenza di malsana felicità. A Olga non importava niente di me e a me non importava niente di lei. Si viveva assieme per modo di dire, la casa dove abitavamo era piena di telecamere che registravano la nostra vita per il divertimento della gente e l’arricchimento degli organizzatori. Penso che a quel punto sia iniziata la mia fine. Per giorni mi chiusi a riccio, evitando qualunque contatto con Olga che faceva il possibile per coinvolgermi sotto le telecamere. Io la evitavo, rimpiangendo di non essere morto con i miei compagni, di non essere diventato fango di palude sotto il sole. Venne convocata una riunione nella casa. Pezzi grossi: il giornalista, direttori di televisione, uomini del governo e un generale dell’esercito per cercare di convincermi a essere gentile con Olga, che le cose sarebbero potute andare bene per la mia vita futura, anche nel mondo dello spettacolo o della politica. Sapevo che il mondo era dolore e che io lo provavo da sempre dentro di me; sapevo che taluni uomini erano immuni al dolore dei loro simili, che lo sfruttavano e aumentavano a loro vantaggio, sia per le ricchezze che per il piacere che gli procurava questa insana sensazione. Ma non potevo sopportare il loro sorriso mentre me lo dicevano. Ecco, a questo punto posso affermare che diventai davvero pazzo, dissi che l’avrei sottoscritto, anche per evitare ulteriore lavoro a chi mi stava intorno, ma rifiutarono ridendo.
Poi all’improvviso capii. Come se mi si fosse conficcato un diamante nel cervello, sparato da un cecchino pietoso. Adesso tutto era chiaro, limpido, assoluto. Qualcuno mi aveva programmato fin da bambino quando giocavo nel cortile. Ricordai il dolore, le notti insonni pensando ai miei soldatini di plastica che affondavano nel fango, con le loro belle uniformi, gli zaini, le borracce, i fucili tenuti in mano per l’assalto. Le mie piccole mani li avevano uccisi sul serio. Dovevo diventare anche io un soldatino con l’uniforme color sabbia, affinché qualcuno giocasse a far affondare nel fango anche me, con tutti gli altri soldatini in carne e ossa.

Perché non avevo potuto avere un’altra vita? Ad esempio essere amico di Rembrandt ― poi lo divenni ― mentre dipingeva la sua Ronda di notte. Volevo chiedergli d'insegnarmi la sua sensibilità, la sua maestria nel rappresentare quei soldati  barocchi in tempo di pace che uscivano dalla loro caserma nella notte rischiarata dalla luna di Amsterdam, mentre la sua amata moglie Saskia stava lentamente morendo nella sua stessa casa. Quale forza gli aveva permesso di fare questo? Poi me lo disse. Non era pazzo. Aveva sofferto molto. Come io avevo sofferto a giocare ai soldati, a diventare un soldato, a scoprire che altri giocavano anche con me. Tutti giochiamo in un gioco degli incastri? Volevo saperlo, ma il generale mi ordinò di non dire sciocchezze e di obbedire. La mia programmazione non fu sufficiente a farmi obbedire. Sono un essere superiore a quanto pare. È presto detto. Andai in cucina, presi un coltello grande e bilanciato come un machete e tornai nel salotto della riunione, dove stavano ancora ridendo per le mie osservazioni. Cominciai con il generale, che presupponevo addestrato come me, ma era solo un funzionario con lo stipendio da sultano. Poi attaccai gli altri. Non lo nego, fu una mattanza. Vidi il giornalista uscire da un angolo con le mani alzate. Gli chiesi con quale mano scrivesse. Vomitò. Immaginando che usasse entrambe le mani al computer sollevai il machete e con due mosse gliele amputai entrambe. Molto più facile che tagliare le canne di bambù in esercitazione. Vidi Olga, bianca e pietrificata dal terrore, boccheggiare con le sue labbra. Mi sentii magnanimo e divino. Avrei voluto dirle:
 ― Va’ e non peccare più ― ma mancava qualcosa: ― E sgonfiati le labbra ― ma non mi sembrava di buon gusto infierire su un rifiuto umano a uno stadio superiore al mio e lasciai perdere. Grondante sangue mi sedetti su una poltrona. Irruppe una torma di giovanotti profumati, divise da circo, occhiali neri avvolgenti, pistole spianate. La strage era andata in diretta in tutto il mondo, un successo.

A quel punto iniziò una nuova fase della mia vita. Dopo una pletora d'interrogazioni, visite di luminari, avvocati e altra gente che si guadagnava da vivere con uomini come me, finalmente fui rinchiuso in un carcere di massima sicurezza in attesa di processo, ma mi fecero capire che non ne sarei uscito mai più. Leggendo il mio foglio matricolare si accorsero che ero stato addestrato a squartare un uomo anche a mani nude. Isolamento perpetuo, diurno e notturno. Non mi posso lamentare. Ho una cella con una finestra in alto, doccia e servizi igienici dentro, un letto, un tavolino e una sedia imbullonati al pavimento. L’ora d’aria è ogni giorno in un cortile dalle mura altissime, sopra il quale il cielo è solo per me. Nessuno viene nel mio cortile. Come da bambino. Pensano che sia una punizione per me l’isolamento perpetuo? È quello che ho cercato tutta la vita per paura di vivere in questo mondo. E ho paura di odiare, ho paura di amare. Non voglio essere amato. Mi hanno dato carta e matita per scrivere, può essere importante; le parole scritte hanno una loro magia, aiutano, consentono di oltrepassare il tempo, lo spazio, la paura. 
Ora non ho paura, ma anche se la perfezione non è degli uomini io so come fare. Passo ore a guardare e toccare le pareti della mia cella, vedo screpolature, macchie, muffe, tonalità di colore e di ombre diverse a seconda della luce del sole che sale e scende dalla mia finestra. Ci vedo un mondo di terre e di mari nuovi che non basterà una vita a raccontare tutto. Quando scende la notte sto ancora rimuginando, rivedendo tutti i viaggi e gli incontri che faccio ogni giorno in luoghi meravigliosi con persone buone, magnifiche e operose. Entro in tutti i porti, in tutte le capitali, in tutti i palazzi e cattedrali del mondo conosciuto e sconosciuto; ho parlato con tutti e tutti hanno parlato con me. E ogni giorno salpo in nuove terre, e rivedo i miei compagni morti, il mio equipaggio, gli uomini di Ulisse e io sono con loro. Dobbiamo vivere, vedere, scoprire, amare. Sì anche amare, ho deciso: sono cambiato. Oltre Antartide! Quante cose da scoprire ogni giorno! Sono un uomo fortunato. Vivo in un mondo perfetto, sono in pace ora. Sono tornato il bambino che avrei dovuto essere. Ma non gioco più ai soldatini.

Torna a “[Lab2] Un uomo fortunato”