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Re: Perché si scrive?

Ho letto anche le spiegazioni di Primo Levi  ai punti riportati.
Io penso che si suicidò perché si era reso conto, nel 1987, che della sua esperienza nei lager non importasse più nulla a nessuno, nonostante le buone accoglienze alla sua testimonianza scritta. Per un uomo che aveva passato quello che aveva passato lui doveva essere stato un dolore immenso la constatazione dell’inutilità di voler spiegare a chi non era in grado di capire, a chi non voleva capire.
Penso che per gli stessi motivi si suicidò Cesare Pavese, ancora giovane nel 1950. Si era reso conto che stava nascendo una società insulsa, che non voleva fare i conti con il suo passato, non ne voleva sapere, non voleva imparare da persone come lui che avevano vissuto gli anni della guerra.
Per motivi analoghi si suicidò anche Luigi Tenco; pur non essendo uno scrittore scriveva canzoni che facevano pensare e la gente non voleva pensare nel 1967 ma solo divertirsi ed era rimasto molto deluso e lo aveva scritto in un ultimo foglio, che se la gente preferiva buttarsi in certe canzoni (non dico quali) non valeva più la pena di vivere e io la penso come lui.
Quindi io nella mia piccolezza perché non mi considero certo uno scrittore, non scrivo certo per insegnare qualcosa: dai precedenti esempi ma ne potrei citare anche altri a vari livelli, non vale la pena insegnare niente a nessuno, perché si ricevono solo cocenti delusioni e amarezze.
Forse scrivo per un atavico impulso di raffigurarmi un mondo a mia immagine, forse com’era, ma idealizzato, forse come avrei voluto che fosse. Di sicuro quando scrivo entro in un mondo tutto mio, lo sento, un mondo parallelo dove posso incontrarmi con qualcuno che mi capisce, che forse addirittura può amarmi… La scrittura come rifugio all’inutilità e allo squallore di un mondo completamente impazzito, andato fuori fase e che prima o poi salterà con risultati catastrofici.
Non sogno di migliorare il mondo: in quest’umanità è un compito inutile, impossibile, non c’è riuscito nemmeno Gesù, il che è tutto dire… Per far conoscere le mie idee… idee ormai che non vanno più di moda, non sono scaricabili e utilizzabili come App, quindi sono inutili.
Forse scrivo per liberarmi da qualche angoscia e ne avrei da liberarmene… talvolta l’ho fatto, ma è difficile liberarsi dal proprio passato, prima bisogna fare pace con se stessi e con gli altri e per me è sempre stato difficile, anche se ci sto provando da molto tempo.
Diventare famosi o ricchi… non sarebbe male, ma è una possibilità remota, impensabile, come vincere la lotteria di 150 milioni di dollari… e sarebbero pure pochi perché emeriti cialtroni semianalfabeti di ritorno hanno ville e panfili da miliardi…
Per abitudine scrivere? Più che abitudine la definirei la pazienza, la caparbietà di un amanuense illuminato (non nel senso massonico…) che nel gesto davvero manuale di scrivere a mano (con stilografica o penna Bic) riesce a  praticare l’equivalente di un mantra  che gli penetra ogni giorno nell’anima come un balsamo, che lo fa stare bene sia spiritualmente che fisicamente.
Lo stesso effetto che lo scrivere può fare a un detenuto in una cella angusta. Scrive tutti i giorni, abitudinariamente, per sentirsi libero, una libertà che nessuno gli può precludere. E riesce anche a provare gioia in quella piccola cella, a vederci un mondo, il suo mondo, e lui ne è il padrone e dominatore assoluto. In senso divino forse. Poveretto.

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