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Re: Volevo solo volare

bwv582 ha scritto: Ciao @Alberto Tosciri, oltre ai tuoi commenti che apprezzo molto - specie in questo caso - non posso dimenticarmi che sei stato il primo a darmi il benvenuto sul WD.
Questo mi fa davvero piacere, credimi.
bwv582 ha scritto: In questa fase della vita/di lettura sto leggendo quasi esclusivamente saggi/diari riguardanti il periodo bellico. Non lo faccio perché ho in mente un romanzo o un racconto storico, non è il mio genere e non credo che lo sarà mai, ma per interesse personale. Questo racconto vuole essere un po' un'eccezione e nient'altro.
Se ancora non lo hai letto ti consiglierei "La grande giostra" di Pierre Clostermann. È il diario di un pilota francese della Seconda Guerra Mondiale che essendo di origini ebraiche si rifugiò in Inghilterra e si arruolò nella RAF, pilotando gli Spitfire e combattendo contro i tedeschi. Divenne un asso dell'aviazione. La sua descrizione delle missioni, dei momenti drammatici e della vita nelle basi, aspettando gli allarmi per decollare, è davvero avvincente, vita vissuta.

Re: Volevo solo volare

Ciao@bwv582
 
Una storia che commuove, descritta un po’ velocemente, considerando che potevi usare ulteriori caratteri.
Ci sono molti riscontri storici e della vita reale di quei tempi, in particolare per l’aspetto emotivo. È accaduto in diversi casi che prigionieri italiani in Inghilterra e anche negli USA decisero di rimanervi per sempre alla fine delle ostilità. Così come fecero anche prigionieri tedeschi, uno per tutti,  famoso, Bert Trautmann, soldato tedesco prigioniero in Inghilterra che divenne acclamato portiere del Liverpool.
Per quanto riguarda il fattore militare, aereonautico in questo contesto, pur non essendo certo io un esperto mi permetterei di fare alcune piccole osservazioni.
Il protagonista, se era destinato a pilotare il caccia Fiat C.R.42 Falco non poteva effettuare il relativo addestramento su un aliante, per di più solo di qualche ora, come scrivi all’inizio.
Forse l’aliante era complementare per l’addestramento al Falco e successivamente iniziava l’addestramento in Belgio, nelle basi tedesche della Luftwaffe? Potrebbe anche essere ma non sarebbe stato funzionale, avevano bisogno di piloti formati  e per formare un pilota da caccia ci voleva praticamente quasi un anno di corso su aerei a motore. Perché l’aliante non aveva motore, decollava al traino di un altro velivolo ed era adibito al trasporto truppe, molto usato dagli Alleati in quanto l’aliante, una volta sganciato dal traino, planava silenziosamente in territorio nemico, spesso di notte, senza essere individuato e dopo un atterraggio nel primo tratto pianeggiante liberava i soldati per la loro missione. Dopodiché l'aliante veniva abbandonato. Preferibile al lancio di paracadutisti, che venivano individuati dai motori degli aerei da trasporto e mitragliati mentre atterravano, per quanto fosse vietato dalla convenzione di Ginevra se non erro, ma molte convenzioni furono ignorate in guerra.
bwv582 ha scritto: Il freddo e l'umidità del tardo autunno non minavano i nostri ideali: lottavamo per lo spazio vitale, lottavamo con i nostri fieri alleati contro chi voleva soffocare la nostra stessa esistenza. Almeno era questo che mi dicevano ogni giorno.
Più che fieri erano assolutamente determinati e convinti, parlando di molti tedeschi di quell’epoca.
bwv582 ha scritto: I nemici non hanno impiegato molto a trovarmi e ad accogliermi.
Mi hanno estratto a forza dal Falco per trascinarmi a terra, imbrattato di sangue; sono stato colpito in volo e non ho avuto nemmeno il tempo di accorgermene. Non riuscivo a parlare, le tante uniformi mi hanno steso su una barella e trasportato in un vicino ospedale.
Certamente intendevi una brutta accoglienza, come specifichi più avanti. Il protagonista, pur amando poeticamente il volo, è sempre un militare, credo che dovendo descrivere soldati nemici non si limitasse a definirli genericamente come “tante uniformi”, come un civile, ma sapesse riconoscere i reparti territoriali e la polizia che di solito accorreva quando un aereo, amico o nemico precipitava sul loro territorio, oltre ai civili del luogo. I territoriali erano soldati anziani richiamati per presidiare i paesi e le campagne circostanti, non erano propriamente truppe combattenti e pur avendo l’uniforme uguale all’esercito si distinguevano, se non per i distintivi per l’età avanzata.
bwv582 ha scritto: Il letto era scarno, ma la pazienza di medici e infermieri mi ha rimesso a nuovo.
È la prima volta che sento definire un letto “scarno”. Intuisco cosa vuoi dire, forse un letto molto “spartano”?
bwv582 ha scritto: Ero una pedina ostile nelle loro mani, avrebbero potuto farmi fuori, invece mi hanno salvato la vita.
Il ragazzo mi sembra molto buono, anche con i nemici, a giudicare da come si è preoccupato per il pilota che ha abbattuto. Non lo definirei “ostile”.
bwv582 ha scritto: accompagnata da un generale, mi ha detto che dovevano parlarmi.
Mi sembra un po’ esagerato, i generali non si scomodano per un semplice pilota nemico. A meno che il prigioniero non fosse importante come Rudolf Hesse, il delfino di Hitler che si paracadutò in Inghilterra nel 1941 per intavolare improbabili trattative di pace. (A proposito: non hai specificato il grado del nostro eroe, forse era un sergente maggiore, un sottufficiale. A quei tempi anche i sottufficiali, da ambo le parti, pilotavano i caccia).
 
 
bwv582 ha scritto: Mi trovavo in un ospedale militare e, terminata la convalescenza, sono finito ad attendere la fine delle ostilità lavorando nei campi, a stretto controllo. Avrei scoperto in seguito che i prigionieri italiani in Inghilterra potevano ritenersi fortunati, soprattutto se paragonati ai connazionali finiti in Germania dopo l'armistizio.
Se ti riferisci ai prigionieri di guerra, militari, anche in Germania molti prigionieri italiani lavoravano nei campi e non erano sorvegliati. Mio padre fu catturato dai tedeschi dopo l’armistizio, era un carabiniere di 19 anni, e trascorse in Germania due anni. Fece diversi lavori nelle campagne, dove venivano accompagnati a gruppi con i camion. Lavoravano e mangiavano con i contadini e la sera ripassavano i camion per riportarli al campo di detenzione. Poi lavorò assieme ai vigili del fuoco tedeschi quando intervenivano dopo i bombardamenti, per estrarre i superstiti e i cadaveri dalle macerie… Lo fecero sfilare con gli altri prigionieri sotto la porta di Brandeburgo a Berlino e successivamente, con altri prigionieri, si trovò A Dresda subendo il bombardamento a tappeto che fecero gli Alleati per tre giorni consecutivi radendola al suolo, uscendone indenne per miracolo ma sconvolto per quello che vide e del quale raramente parlava.
 
bwv582 ha scritto: Poco mi interessava di un'Italia lontana e divisa tra chi aveva voglia di guerra e chi si trovava in guerra. Ho capito presto che non c'era più nulla per me: mia madre era morta di stenti mentre per mio padre e i miei fratelli non erano sufficienti nemmeno le preghiere. Da quei fili spinati potevano sperare di uscire solo come fumo.
La fine del tuo racconto è perfettamente plausibile e veritiera e anzi io avrei aggiunto che fece bene a non tornare in Italia nemmeno alla fine della guerra e in seguito: non ne valeva più la pena. Non che prima fosse meglio, ma dopo… meglio non parlarne.
 
È un racconto da sistemare un po’ in alcuni punti diciamo “tecnici” e anche introspettivi dalla parte del personaggio, che in alcuni punti pecca di una ingenuità trasognata. Penso che un pilota che si trova su un caccia che precipita, tra fuoco e olio bollente che lo investe, ferito, accolto a botte, sia costretto a rendersi conto che i sogni, per quanto belli, non si trasformeranno mai in realtà, e bisognerà convivere con i propri tormenti, per quanto alleviati dall’avere avuto la fortuna di avere accanto una donna che ci ama.
Anche i ragazzi più ingenui e poetici si trasformarono con la guerra, dovettero farlo e cambiarono completamente. Ne uscirono disillusi se non distrutti.
Ciao e a rileggerti.
 

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