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Re: [CC24] La Ciocia

@aladicorvo @Modea72 grazie dei vostri commenti e degli spunti utilissimi!
Modea72 ha scritto: mer feb 21, 2024 7:36 amDa qui, fino alla fine del racconto, ho dei dubbi sullo sviluppo della trama e anche lo stile, a mio avviso, cambia, diventando un po' spiegone.
Sicuramente è vero. Mi sono resa conto, a posteriori, che il modo in cui ho sviluppato il contenuto è forse troppo didascalico. Cercherò di aggiustare il tiro in futuro.
aladicorvo ha scritto: mer feb 21, 2024 11:38 amOttima l’intuizione della protesta dell’io narrante, il suo rancore sommesso. 
È questo, secondo me, il nodo dell’intero racconto e invece è rimasto sottotraccia
Molto bello questo spunto. Anche se, alla fine, mi sembra che Agnese faccia ciò che molti (e molte) di noi facciamo: pur provando questo risentimento, semplicemente ci convive, senza necessariamente risolverlo fino in fondo.

Avete posto l'accento sull'abbandono da parte della madre e, d'altro canto, sul coraggio di Agnese che resta. Una forma per molti versi lodevole di coraggio e di abnegazione. La riflessione che spero di essere riuscita a suscitare, un po' provocatoriamente, con questo racconto, è che anche andarsene come ha fatto la madre, anche scegliere se stesse in una società che ti educa alla rinuncia è una forma di coraggio. Entrambe, in modo speculare, fanno del bene a qualcuno ma implicano un tremendo costo per qualcun altro.

Ancora grazie e a rileggervi presto!

Re: [CC24] La Ciocia

Ciao @Alberto Tosciri, grazie del benvenuto e del bellissimo commento!

Mi ha fatto molto piacere, nel leggere la tua interpretazione, confrontarmi con una visione molto diversa dalla mia, molto più in linea con quanto scritto da Mina, che ha definito il finale tragico. Agnese, di fronte alla possibilità di maggiore emancipazione e, appunto, di una forma di sorellanza, si tira indietro e preferisce continuare a vivere come ha sempre fatto, anche se significa restare in un contesto fondamentalmente misogino. Ovviamente è una scelta e quindi una sacrosanta forma di autodeterminazione, ma, mentre scrivevo, ne vedevo soprattutto il lato amaro. Il tuo commento sicuramente mi ha dato una prospettiva diversa, che valorizza molto di più l'autonomia di Agnese nella scelta del proprio destino. Senza rendermi conto, forse, ho guardato alla mia stessa protagonista con un pizzico di paternalismo.

Grazie molte del giudizio positivo e a rileggerci presto!

Re: [CC24] La Ciocia

Awww ti ringrazio tanto @Mina!
Mina ha scritto: lun feb 19, 2024 10:22 am"Il paese era già un gran vociare e tutti sgridavano i più piccoli, che scappavano nel bosco, tranne alcune bambine che piangevano i loro polli preferiti." o simili
In effetti ora che me lo fai notare così suona molto meglio  :asd:
Mina ha scritto: lun feb 19, 2024 10:22 amÈ tipo un arcolaio?
Ahahaha, è un attrezzo che serve a fare il pizzo!
Mina ha scritto: lun feb 19, 2024 10:22 amMentre il movimento interno di Agnese è chiarissimo, non si può dire lo stesso di quello esterno.
Sicuramente è vero. Forse avrei potuto dedicare più spazio a questo e definire meglio chi sono queste donne mascherate, perché fanno quel che fanno e così via, ma per cominciare ho preferito gestire un racconto breve, e non mi dispiaceva l'idea di lasciare queste figure sovrannaturali avvolte nel mistero, un po' come succede in alcune fiabe. 

Grazie mille delle dritte e del parere positivo, che valuto molto <3 specialmente considerando la tua capacità di fare le pulci! Con il paragone a Eveline, poi, mi lusinghi troppo :D 

Re: [CC24] La Ciocia

Ciao @Monica,  grazie mille del commento positivo e delle utili osservazioni formali (y)
@Monica ha scritto: lun feb 19, 2024 7:31 amPerché sei passata al remoto? Hai utilizzato il p.prossimo finora.
Ho usato il passato remoto perché volevo sottolineare la diversità di quel momento, quasi sovrannaturale e rimasto per sempre nel passato, rispetto a tutti gli altri, che, per quanto passati anch'essi, fanno parte della quotidianità per la protagonista. Ma in effetti è un'incongruenza.
@Monica ha scritto: lun feb 19, 2024 7:31 amNon si capisce molto bene che età abbiano i fratelli di Agnese perché (essendo trascorsi sette anni dalla sparizione della madre quando lei ne aveva tredici Marco quanti ne aveva? Lo fai esprimere come un bimbo piccolo.
Qui mi hai colta alla sprovvista  :facepalm:  la battuta di Marco mi sembrava un buon modo per introdurre la maschera della Ciocia, ma ora mi rendo conto che il suo modo di esprimersi non è affatto coerente con la sua età (visto che deve avere come minimo 8 anni). In futuro ci starò più attenta :asd:

Re: [CC24] La Ciocia

Ciao @Poeta Zaza, innanzitutto grazie mille del feedback e dell'accoglienza!
Poeta Zaza ha scritto: dom feb 18, 2024 8:19 pmNon capisco quel "ma". La Ciocia era una donna.
Per quanto riguarda questo, l'ho scritto in questo modo perché, tradizionalmente, la maschera della Ciocia del carnevale di Schignano è interpretata da uomini, mai donne, con la faccia dipinta di nero. Il "ma" avversativo, per come l'avevo pensato, è dovuto al fatto che la protagonista si aspetta di vedere un uomo in abiti femminili, non effettivamente una donna!
Evidentemente non ho reso totalmente chiaro questo elemento di contesto; in futuro ci farò più attenzione. Grazie ancora!

[CC24] La Ciocia

Traccia 6. "Chi c'è dietro la maschera?"

Ogni anno, a Carnevale, Schignano si anima come mai durante il resto dell’anno. Quand’ero bambina era una gioia incredibile: non prendevo nemmeno il tombolo per lavorare, la mamma ci aiutava a metterci tutti in maschera, me e i miei fratellini, e correvamo in cima al paese, dove si vedono la valle, il lago e le montagne tutt’intorno. Era sempre pieno di gente, ché vengono anche da lontano a festeggiare, ed era bello vedere facce nuove e rivedere anche i miei cugini, che se ne sono andati a lavorare alla fabbrica in città. Dicono che si sta bene, che lavoro ce n’è, però mi mancano. Poi, tutti con la maschera, si suonava e ballava, e si mangiavano anche le galline che la mamma aiutava a sgozzare il giorno prima. Si fa anche adesso, in realtà. Ma non è più lo stesso da quando la mamma è sparita, al Carnevale dei miei tredici anni. E soprattutto non è lo stesso da quando l’ho rivista, anni dopo, proprio lo stesso giorno… Quando ormai, però, ero una donna.
Alcuni bisbigliavano che era stata rapita da qualche creatura del bosco, dopo essersi allontanata dalla festa. Ma papà ripeteva che se n’era andata, che era scappata in città perché le eravamo venuti in odio. Che era andata a lavorare nella grande fabbrica, sola. Diceva sempre «A quella non le è mai bastato stare qui con noi, a filare la lana e fare il pizzo come fanno tutte. Doveva andarsene a lavorare la seta. Per quella lì, niente è mai stato abbastanza». Poi ha smesso di parlare di lei. E ovviamente io, che sono la più grande, sono diventata la donna di casa e ho iniziato ad aiutare i miei fratellini. All’inizio ero triste e arrabbiata, poi anch’io ho smesso di pensare a lei. Almeno fino a quell’anno.
Il paese era già un gran vociare e sgridare i bambini, che scappavano nel bosco, tranne alcune piccole che piangevano i loro polli preferiti.
«Marco, Beppe, Tino, venite qua! Ohi, va’ che vi servono le maschere!», gridavo ai miei fratelli.
«Ma sì, lasciali stare… Son ragazzi», aveva detto papà, fumando la pipa.
«Ma come facciamo per la festa? E poi non sono più così piccoli, io alla loro età lavoravo già il doppio ed ero anche brava a filare. In più son giorni che spenno di qua e cucio di là, sempre per loro»
«E dai, non far la caponiera. Io son mesi che te lo dico, più cresci, più mi sembri quella là»
Questo mi ha fatto male e mi sono zittita. Papà ci è rimasto male:
«Su, su, non fare così. Io lo dico per il tuo bene. Adesso che sei una donna, è ora che pensi a trovare marito. Che ne dici del Davidino? Mi sembra che andiate d’accordo. E poi è un bel figliolo, e il lavoro non gli manca. Andiamo a parlargli dopo, alla festa. E dai che è Carnevale, sorridi un po’ per me e i tuoi fratelli»
«Agnese, perché quegli uomini hanno la faccia sporca e sono vestiti da femmina?» mi ha chiesto Marco, il più piccolo, che era tornato a prendere il suo costume. E papà gli ha spiegato ridendo:
«Vedi, sono vestiti da Ciocia, una vecchia moglie che non se ne sta mai zitta! Se non mi ascolta pure tua sorella diventerà così!»
Poco dopo è iniziata la festa e siamo andati a vedere il panorama, dalla cima del paese. Quel giorno non pioveva, si vedevano le montagne bianche e il lago, grandissimo, tutto grigio, che faceva da specchio alle nuvole. Guardando a Sud si vedeva anche la città. La guardavo e mi chiedevo come fosse e se davvero lì c’era la mamma. Chissà se anche dentro me, da qualche parte, c’era la mamma.
Pensavo questo quando, all’improvviso, ho visto uno strano personaggio. Sembrava una Ciocia, ma non era un uomo con la faccia dipinta. Era qualcuno di alto e snello, con una maschera nera, dall’espressione disperata. Sembrava proprio… una donna! Con le gambe lunghe e il seno. È rimasta a fissarmi per un po’ e poi, quando iniziava a scendere il buio, mi ha fatto cenno di seguirla e si è messa a camminare verso il bosco. Mi sono guardata intorno ma tra la folla, il rumore e la musica, nessun altro sembrava essersi accorto di lei.
«Ehi, non ti ho mai vista in paese, chi sei?», le ho detto, correndole dietro. Nessuna risposta.
«Ti ho chiesto chi sei! Perché te ne vai via?»
La strana Ciocia non rispondeva; continuava a salire sempre più in alto. Qualcosa mi diceva di proseguire.
Quando il sole è calato dietro la montagna, si è fermata in una radura. Non riconoscevo nulla di quel luogo; nemmeno il cielo, infuocato all’improvviso da un tramonto rosso cremisi.
«Benvenuta, Agnese», mi ha salutato una voce che ricordavo fin troppo bene.
«… Mamma?», ho detto con un fil di voce.
«Tua madre, così come la conoscevi, non esiste più. Io sono lei, ma lei è solo una parte di me.»
«Cosa?»
«Non ho molto tempo, cara Agnese. Dall’ultima volta che mi hai vista, sette anni fa, ho acquistato la libertà; ma persino la libertà ha dei limiti. Non ho potuto mostrarmi a te fino ad oggi, perché tu non eri pronta a vedermi»
«Sei davvero tu? Ma dove sei stata?!»
«Sono qui per salvarti, sorella»
«Sorella?!» a quel punto ero confusa, spaventata, furiosa, mentre la donna con la voce di mia madre continuava a guardarmi attraverso la maschera piangente, «Ma che dici, sono tua figlia! Prima mi abbandoni e ora non mi riconosci? Lo sai quanto è stata dura senza di te? Papà dice che ci odiavi e sei andata in città da sola, non mi ha neanche lasciata venire a cercarti… Non capisco perché ci detestavi tanto, ma se non vuoi rispondermi allora torna nella tua fabbrica di seta.»
La donna è rimasta un attimo in silenzio. Quando ha ricominciato a parlare, la voce le tremava:
«Questo stesso giorno, sette anni fa, io sono stata salvata, esattamente come puoi esserlo anche tu. Una donna mi ha condotta qui e mi ha mostrato la bellezza del mondo, le vette delle montagne, la profondità del lago, l’azzurro del cielo oltre le nuvole, le pianure, lontano da qui. Mi ha dato un assaggio della libertà. E mi ha promesso che, un giorno, sarei potuta tornare da te per darti tutto questo. Oh, piccola Agnese» ha sospirato, «è solo per questo che me ne sono andata! Solo perché sapevo che, un giorno, sarei potuta tornare a liberarti!»
Lentamente, ha portato la mano alla maschera nera.
«Riesci a capire perché sono venuta da te in questi panni?»
Ho scosso la testa, confusa.
«Vestita così, con questa maschera, sono la Ciocia. Sono ciò che il mondo vuole che io sia: una moglie, una madre. E una serva.»
Lentamente, si è scoperta il volto. Era davvero mia madre, ma non era più la stessa: la sua pelle emanava una luce calda, dorata. Erano passati sette anni, ma sembrava più giovane. Gli occhi non erano quelli mori che ricordavo, con intorno occhiaie e rughe, ma brillavano di luce verde.
«Guardami, Agnese! Guarda la vera me. Io sono ancora e sarò sempre la tua mamma, ma sono anche questo. Prendi le mie mani, e vedrai ciò che ho visto io! Puoi essere mia figlia, mia sorella e mia amica.»
Stava piangendo a dirotto, lacrime di smeraldo. Ma allo stesso tempo sorrideva. Era bellissima. In quel momento ho sentito che era proprio lei e che mi voleva bene. Ho fatto un passo verso di lei e gridando «Mamma! Mamma!» ho lasciato che mi tenesse le mani.
Fu un turbine di immagini, suoni, profumi. Ci libravamo in volo sulla valle, sopra verdi pascoli e ghiacciai; poi giù, planando come cormorani, e ancora più a fondo, come lucci trote alici negli abissi del lago; poi la città, le persone, sapore di cibi mai provati, corpi in movimento, parole scritte da bambini e bambine col calamaio sulla carta. Poi, di nuovo, mia madre, a braccia aperte, insieme ad altre donne con la maschera da Ciocia.
«Di’ il mio nome, Agnese! Solo il mio nome, e anche tu potrai gettare via la maschera!»
Ma non ce l’ho fatta; era tutto troppo.
«No, no! Ti rivoglio com’eri! Rivoglio solo mia mamma!»
 
Quando sono tornata in paese ero di nuovo sola.
«Agnese, dov’eri? Ho parlato con tuo padre e… Perché stai piangendo?»
Sono rimasta a fissare Davidino, sconcertato, per un tempo che mi è sembrato infinito.
«Non è niente… Non mi è mai piaciuto sgozzare le galline.»
Poi, per quel giorno, non ci ho più pensato. Ho rimesso la mia maschera e ho continuato a ballare.

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